Ramses II, Tombe, XIX Dinastia

LA TOMBA DI RAMSES II

Di Patrizia Burlini

La KV7 è una delle tombe più grandi della Valle dei Re (868 m2). É stata fortemente danneggiata nell’antichità da almeno 10 alluvioni che hanno causato l’ammassamento di detriti e il distacco delle decorazioni parietali.

Come noto, il corpo di Ramses fu traslato nella XXI dinastia prima nella KV17 e poi nella DB320 di Deir-el-Bahari, dove fu trovato nel 1881.

A questo link è possibile vedere la tomba nello stato attuale:

https://mused.org/…/tomb-of-ramesses-ii-kings-valley…

Benché la tomba sia fortemente danneggiata, sono sopravvissuti dei rilievi che lasciano percepire quanto questa tomba dovesse essere magnifica.

Le foto allegate, provenienti dal sito di The Theban mapping project, ci permettono di stupirci ancora oggi di fronte alla grandezza di un faraone che ha oltrepassato la storia.

Piante di papiro rappresentanti il Basso Egitto (sotto la figura alata di Ma’at)

Papyrus plants representing Lower Egypt [under winged Ma’at figure].
Image # 10053
DIRECTION OF VIEW: Northeast
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997
Ma’at alata sopra le piante di loto dell’Alto Egitto

Winged Ma’at above lotus plants of Upper Egypt.
Image # 10050
DIRECTION OF VIEW: Southwest
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997
Ma’at alata sopra le piante di papiro del Basso Egitto

Winged Ma’at above papyrus plants of Lower Egypt.
Image # 10052
DIRECTION OF VIEW: Northeast
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997
Ramses II saluta Hathor

Rameses II greeting [Hathor].
Image # 10055
DIRECTION OF VIEW: Southwest
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997
Quinta ora dell’Amduat (dettaglio)

Imydwat, fifth hour (detail).
Image # 10054
DIRECTION OF VIEW: Southwest
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997
Ramses II tiene la mano di Hathor (dettaglio)

Rameses II with Hathor: holding hands (detail).
Image # 10063
DIRECTION OF VIEW: Southwest
PHOTOGRAPHER/ARTIST: Francis Dzikowski
IMAGE TAKEN ON: June 1997

Fonte immagini:

https://thebanmappingproject.com/tombs/kv-07-rameses-ii

Didascalie: The Theban mapping project

Ramses II

QUANDO RAMSES DECISE DI DIVENTARE UN DIO

Di Francesco Alba

Ramses II adora la sua persona divina
Bassorilievo dal tempio di Abu Simbel

Il faraone non manteneva solamente unito l’Alto e il Basso Egitto, egli era anche il tramite tra il mondo umano e quello divino; per questo motivo, era nella singola persona del re che la dualità dell’Egitto diventava una singola realtà. Benchè il re fosse egli stesso un essere umano, l’ufficio della regalità era divino; il corpo umano del re era l’involucro nel quale la divina regalità manifestava sé stessa nella forma del “ka reale” o forza vitale che veniva trasmessa da un re all’altro.

Dunque il re era in un certo modo simile, seppure non identico, agli dei, ed uno dei suoi titoli, netjer nefer, viene tradotto come “il Dio Perfetto”. In effetti il re poteva essere divinizzato dopo la sua morte o anche nel corso della sua vita, come dimostrano alcune raffigurazioni del sovrano vivente mentre compie atti rituali di fronte alla propria forma divina.

Per diventare un dio, il re era obbligato a compiere dei doveri che gli dei gli avevano imposto al momento dell’incoronazione. Questi doveri erano: costruire la propria tomba o casa dell’eternità; costruire templi per gli dei; sottomettere i nemici dell’Egitto; presentare offerte agli dei e non ultimo, garantire l’unità delle due Terre d’Egitto. Raggiungere tutti questi obiettivi innalzava il faraone alla statura divina. Nel costruire e decorare i templi o nel commissionare arredi e oggetti di uso cultuale, il re si impegnava a compiere veri e propri atti di creazione che rafforzavano l’ordine e mettevano al bando il caos.

L’autoconcezione divina di Ramses II

Ramses II tuttavia, portò la propria autoconcezione divina a un livello completamente nuovo. Molti sono i documenti storici dai quali si possono ottenere informazioni in merito. Ad esempio, la Stele 410 del Museo di Hildesheim indica Ramses II come “Re dell’Alto e del Basso Egitto, Signore delle Due Terre, Ramses-Meriamun, il Dio”. Ramses non si dichiarava soltanto re o sovrano ordinato da Dio ma, al contrario, definiva sé stesso “il Dio”. Si direbbe proprio che non si considerasse semplicemente un essere umano divinizzato, cioè un uomo convinto di condividere lo stato divino: al contrario, Ramses considerava sé stesso come una divinità che condivideva la condizione umana. Egli vedeva la sua persona godere di una categoria di esistenza completamente nuova: un re-dio al massimo grado, che viveva, respirava e governava sulla terra come Ra in cielo.

Ramses fra Ptah, Amon-Ra e Ra-Horakhty. Santuario interno del tempio rupestre di Abu Simbel. Fotografia di Araldo De Luca.

Ramses II non fu il primo a fare questa affermazione. Il faraone Snefru della IV dinastia (ca. 2600 a.C.) si dichiarò in un graffito “grande dio” (ntr a). Ma anche se Ramses non fu il primo a vedere sé stesso in questo modo, fu uno dei pochi a dichiararlo pubblicamente e con tale grandezza. Per mezzo di queste rivendicazioni e aspirazioni architettoniche, egli rese nota la propria concezione di sé su tutta la terra con una modalità che pochi faraoni avevano utilizzato prima e pochi avrebbero fatto dopo di lui.

Il Grande Tempio di Abu Simbel fornisce ulteriori prove del modo in cui egli vedeva la propria persona. Al di là dell’atrio, lungo la parete di fondo del santuario interno, troviamo una statua di Ramses II assiso accanto a Ra, Amon e Ptah. Il particolare non da poco è che la statua di Ramses è equivalente per dimensioni e dettagli alle divinità che gli stanno accanto. Queste statue non sono colossi come quelle sulla facciata dello stesso tempio. Ma il loro significato sembra piuttosto chiaro: il nostro si considerava degno di sedere accanto ai più grandi dei del cielo. Non sottomesso a nessuno, ma accolto fra i suoi pari, soddisfatto, con lo sguardo rivolto verso il mondo, accanto a queste divinità che sarebbero altrimenti trascendenti.

La divinità del faraone

Altrove, in questo tempio e in altri luoghi di Abu Simbel, Ramses II commissionò rilievi che raffiguravano sé stesso nell’atto di venerare la propria persona divina. Un rilievo ritrae Ramses due volte: qui un Ramses è seduto sul suo trono, con le corna della divinità sulla testa e il disco del sole divino che aleggia sopra di lui mentre l’altro Ramses è in piedi e presenta offerte al Ramses seduto. A livello elementare, il rilievo sembra raffigurare Ramses II sia come re (in piedi) che come dio (seduto) ma sembra esserci qualcosa di più. Dal momento che si trovano sia le rappresentazioni reali che quelle divine di Ramses II, si è propensi a credere che questo rilievo voglia sottolineare il concetto peculiare di “fluidità divina” attribuito al re. Egli sembrava aver compreso che gli dei potevano abitare più corpi contemporaneamente senza per questo perdere la loro singolarità. Sapendo questo, scelse di raffigurare sé stesso come se godesse della stessa esistenza “fluida” degli altri dei e cioè che anche lui, come loro, potesse abitare due corpi contemporaneamente, proprio come raffigurato in questo rilievo.

Ramses assiso fra Amon-Ra e Mut. La scultura proviene dal Tempio di Amon, in Karnak. In mostra al Museo Egizio di Torino.

Non è del tutto chiaro se tutti i faraoni intendessero la loro costituzione ontologica e/o la funzione delle loro immagini in questo modo. Di certo, la maggior parte concordava sul fatto che, dopo la morte, i loro ka sarebbero tornati nel mondo per dimorare in immagini e statue con le loro sembianze.

Riferimenti:

  • M. K. Shank, The Meaning of the Reliefs at the Temple of Abu Simbel. History 438. Prof. Benedict Lowe. November 15, 2009
  • T.L. Putthoff, Gods and Humans in the Ancient Near East; Godlike Bodies and Radiant Souls – Divine Embodiment in Ancient Egypt. Cambridge University Press – 2020
Arte militare, Ramses II

IL POEMA DI PENTAUR

Di Francesco Alba

Ramses II combatte contro gli Ittiti sulle rive dell’Oronte, a Qadesh.

Ora benché pregassi nella terra lontana, la mia voce risuonò nel meridione di On.

mi porse la sua mano ed io fui pieno di gioia.

Mi chiamò alle spalle, come fosse vicino:

“Avanti, sono insieme a te,

Io, tuo padre, la mia mano è con te,

prevalgo su centomila uomini,

Io sono il signore della vittoria, amante del valore!”

Ritrovai il mio cuore saldo, il mio petto pieno di gioia,

riuscivo in tutto quello che facevo, ero come Mont.

Scagliavo dardi alla mia destra, aggrappato con la mia sinistra,

ero davanti a loro come Seth nella sua ora cruciale.

Mi accorsi della massa di carri in mezzo alla quale mi trovavo,

si disperdevano davanti ai miei cavalli;

nessuno di loro trovava la propria mano per combattere,

i loro cuori non reggevano nei loro corpi per la paura di me.

Le loro braccia erano come rallentate, non potevano scagliare,

non avevano il coraggio di afferrare le proprie lance;

Li ho fatti precipitare in acqua come si tuffano i coccodrilli,

Caddero sulle loro facce, uno sull’altro.

Portai il massacro fra loro a mio piacimento,

nessuno guardò dietro di sé, nessuno si voltò,

chi cadde, mai più si rialzò. . .

Il testo del Poema di Pentaur, riportato sui monumenti di Tebe, Karnak e Abido e nei Papiri Sallier, descrive la Battaglia di Qadesh e le prodezze di Ramses Il grande. Pentaur fu probabilmente uno scriba vissuto ai tempi di Merenptah, figlio e successore di Ramses. È estremamente probabile che egli abbia copiato il testo da una versione più antica. Non si tratta in effetti di un vero e proprio poema; l’opera tratta diversi episodi della campagna contro gli Ittiti culminata con lo scontro presso le rive dell’Oronte. Ulteriori dettagli sono contenuti in bollettini militari e nei rilievi monumentali.

Ramses il Grande (1290 – 1224 a.C., XIX Dinastia), nel quinto anno del suo regno si scontrò con gli Ittiti guidati dal re Muwatallis, a Qadesh (odierna Siria), presso il fiume Oronte. Entrambe le parti reclamarono la vittoria dopo una serie di scontri, inclusi spionaggio e imboscate; infine Egizi e Ittiti riconobbero di trovarsi in una situazione di stallo. La battaglia di Qadesh è ben documentata nei bassorilievi ramessidi e sulle tavolette ittite in linguaggio cuneiforme accadico. Dopo alcuni anni di conflitti, ambedue le potenze si accordarono sulla stipula di un trattato di pace che fu sigillato dallo sposalizio di Ramses con una principessa ittita, la figlia di Hattusilis III e della regina Pedukhipa.

La riproduzione pittorica è di Émile Prisse d’Avennes, egittologo francese (1807 – 1879):

Ramses, ritratto come l’unico eroe della battaglia, conduce il carro mediante delle redini legate alla vita e scaglia frecce verso gli Ittiti. Il fiume Oronte, prossimo al campo di battaglia, è visibile sul fondo della scena, ma la fortezza di Qadesh (che non fu presa) è stata tralasciata. L’abito, l’imbracatura e l’equipaggiamento del carro sono stati riprodotti con dettagli elaborati e nei loro completi e originali colori. La scena proviene dal Secondo Pilone del Ramesseum, a Tebe.

Arte militare, Ramses II

IL TRATTATO DI PACE CON GLI HITTITI

Di Ivo Prezioso

Si tratta del primo trattato conosciuto dalla storia e fu redatto in babilonese, la lingua diplomatica dell’epoca. Dal tipo di espressioni utilizzate, sembrerebbe che sia stato opera di giuristi del re Hattusili, ma alla stesura avevano contribuito anche tre eminenti uomini di legge egiziani delegati da Ramses II. I membri di questa commissione mista, presero la volta dell’Egitto, attraversando la Siria sui carri protetti da una scorta armata e facendo tappa nelle località che anni prima erano state devastate dai continui conflitti tra i due paesi. Arrivarono a Pi-Ramses, nell’anno 21 di regno del faraone, circa trenta giorni dopo la partenza da Hattusa (l’odierna città turca di Boghazkoy), e giunsero alla reggia il ventunesimo giorno del primo mese invernale (presumibilmente tra novembre e dicembre del 1259 a.C.) . Usermaatra Setpenra Ramessw Meriamon, aveva quarantasei anni. I delegati recavano una grande tavola d’argento, lucidissima sulle cui facce erano incisi caratteri cuneiformi. Al centro spiccava il grande sigillo dello stato Ittita. Sul verso era,in rilievo, l’immagine di Seth che stringe un’effigie del Gran Principe di Hatti, circondata da un’iscrizione che recita: “ Il sigillo di Seth, sovrano del cielo, il sigillo del trattato fatto da Hattusili, il grande signore di Hatti, il potente figlio di Mursili”. Sul verso un rilievo con la dea di Hatti che stringe una figura femminile che rappresenta la grande sovrana del paese. La relativa iscrizione dice: Il sigillo della dea-sole Arinna, la sovrana del paese, il sigillo di Pudukhepa, grande sovrana di Hatti, figlia di Kizzuwadna, sacerdotessa della città di Arinna”.

Ramses, circondato dai consiglieri fece chiamare lo scriba interprete, perché il testo gli fosse tradotto immediatamente al fine di confrontarlo con la versione egiziana, già redatta. Dopo lievi modifiche apportate al testo babilonese, le copie su papiro furono depositate presso quello che oggi chiameremmo Ministero degli Affari Esteri. La versione definitiva, in babilonese, fu incisa su tavolette di argilla ed affidata alla delegazione incaricata di consegnarla ad Hattusili.Questi fece deporre il testo egiziano sotto i piedi del dio Teshub , mentre ad Eliopoli la tavoletta ittita fu posta ai piedi di una statua del dio Horakhty. Inoltre Ramses, ordinò che il testo fosse inciso in geroglifici sui muri di Karnak, dove fu decifrato per la prima volta da Champollion, che non conosceva l’esistenza degli ittiti, ed anche nel Ramesseum, accanto alla rappresentazione della battaglia di Kadesh. E’ probabile che una copia fosse stata incisa anche a Pi-Ramses.

La versione ittita del trattato Museo Archeologico di Istanbul

IL CONTENUTO DEL TRATTATO

La redazione di questo trattato ha suscitato l’interesse di giuristi che hanno constatato come il testo sia sorprendentemente moderno. Uno degli studi più autorevoli è stato pubblicato dal giudice Ch.-P.Loubière, “Les chroniques égyptiennes: le traité de paix égypto-hittite, une negociation vieille de 3200 ans”. L’autore si esprime in questi termini:

<<il trattato è così un atto soggetto al diritto internazionale….che si afferma veramente come tale quando mette la guerra “fuorilegge”. Questo principio fondamentale ci ricorda la Carta dell’ONU, che vieta di ricorrere alla forza come modo di regolare le differenze fra gli stati; la guerra ormai concepita come illecita, cede il posto ai procedimenti pacifici di negoziazione>>.

Il trattato proponeva prima di tutto “bella fraternità e pace”. In sostanza un patto reciproco di non aggressione con norme sull’estradizione, sul trattamento umano degli estradati e sulla mutua assistenza contro eventuali aggressori. Si parla, inoltre dell’alleanza fra le famiglie regnanti . Il suo contenuto sorprende per la modernità di alcuni elementi di diritto internazionale, che son ancora oggi in vigore. Una nota curiosa innanzitutto: ciascuno dei due sovrani afferma essere stato l’altro a prendere l’iniziativa verso il grande passo. Nonostante le due versioni mostrino qualche lieve differenza, esse sono in sostanza sovrapponibili nella parte conservata che hanno in comune. Si tratta di una ventina di paragrafi concordanti sui punti essenziali in cui viene citato più volte l’accordo stretto tra i due paesi al tempo in cui Suppilluliuma, contemporaneo dei faraoni dell’epoca amarniana, regnava su Hatti. Quel primo accordo fu gravemente minacciato allorquando il principe Zannanza (il figlio di Supilluliuma), che la vedova di Tutankhamon, Ankhesenamon, aveva chiesto in sposo, fu assassinato, mentre si recava in Egitto, probabilmente per ordine di Horemheb. Ma veniamo ad illustrare alcuni elementi fondamentali di quel trattato.

Estradizione di semplici rifugiati:

Se uno o più uomini senza importanza fuggono e si rifugiano nel paese di Hatti per servire un altro padrone, non devono restare nel paese di Hatti. Bisogna ricondurli a Ramses-Meriamon, il grande sovrano d’Egitto.”

Amnistia per i rifugiati:

Se un egiziano o anche due o tre fuggono dall’Egitto e arrivano nel grande paese di Hatti….in questo caso il grande signore di Hatti li catturerà e li manderà a Ramses, grande sovrano d’Egitto. Non gli sarà rimproverato il loro errore, la loro casa non sarà distrutta, le loro donne e i loro figli avranno salva la vita, non saranno messi a morte. Non gli saranno inflitte ferite, né agli occhi né alle orecchie né alla bocca né alle gambe. Nessun reato gli sarà imputato.”

Segue la clausola di reciprocità da parte ittita esposta esattamente con le stesse modalità.

Divinità dei due paese chiamate a testimoni del trattato:

Per quanto riguarda le parole del trattato che il grande signore di Hatti ha scambiato con il grande re d’Egitto Ramses-Meriamon, esse sono incise su questa tavola d’argento. Mille dei e mille dee del paese di Hatti, e mille forme maschili e femminili le hanno intese e ne sono testimoni: il sole maschio signore del cielo e il sole femmina della città di Arinna. Seth del paese di Hatti, Seth della città di Arinna, Seth della città di Pittiyarik, Seth della città di Hissaspa, Seth della città di Saressa, Seth della città di Haleb (Aleppo), Seth della città di Luczina, Seth della città di Nerik, Seth della città di Nushashe, Seth della città di Shapina, Astarte della terra di Hatti……la dea di Karana, la dea del campo di battaglia, la dea di Ninive….la dea del cielo, gli dei signori del giuramento …la sovrana delle montagne dei fiumi del paese di Hatti, gli dei del paese di Kizzuwadna; Amon Ra e Seth, le forme divine maschili e femminili, le montagne e i fiumi d’Egitto, il cielo, la terra, il grande mare, i venti, le nubi, la tempesta.

La salvaguardia del trattato:

Per quanto riguarda le parole incise su questa tavola d’argento della terra di Hatti e della terra d’Egitto, le mille forme divine della terra di Hatti e le mille forme divine della terra d’Egitto distruggeranno la casa, la terra e i servi di colui che non le rispetterà. Quanto a colui che rispetterà le parole incise su questa tavola d’argento, ittita o egiziano, e che ne terrà conto, le mille forme divine della terra di Hatti e le mille forme divine della terra d’Egitto, assicureranno prosperità e vita a lui, alla sua casa, al suo paese, ai suoi servi.

Ci fu tra i due paesi uno scambio di felicitazioni e doni. La regina Pudukhepa scrisse a Nefertari (Naptera, in babilonese), ignorando Isinofret, l’altra grande sposa reale di Ramses. Le esprimeva la sua soddisfazione per la pace fraterna che da quel momento avrebbe unito i due paesi . Nefertari, si affidò ad uno degli interpreti che trascrisse la sua risposta in caratteri cuneiformi.

Allora Naptera, la grande regina d’Egitto, disse: << Per Pudukhepa, la grande regina di Hatti, mia sorella, io parlo così. Per me, sorella mia,, tutto va bene, per il mio paese tutto va bene. Per te sorella mia (auguro) che tutto vada bene. Vedi, ora ho apprezzato che tu sorella mi abbia scritto a proposito dei rapporti di buona pace e fraternità in cui sono entrati il grande re, sovrano d’Egitto, e suo fratello il grande re, sovrano di Hatti. Possano il dio sole e il dio della tempesta (Seth) apportarti la gioia; possa il dio sole fare che la pace sia buona e accordi la fratellanza al grande re, sovrano d’Egitto, e a suo fratello il grande re, sovrano di Hatti, per sempre.”

Fonti:

Christiane Desroches-Noblecourt: “Ramsès II, le Véritable Histoire”, (It. Ramsete II figlio del Sole, Trad. Maria Magrini).

Ch.-P. Loubière: “Les chroniques égyptiennes: le traité de paix égypto-hittite, une negociation vieille de 3200 ans”, Journal du Tribunal de Grande Instance de Paris, 1993.

Arte militare, Ramses II

LA BATTAGLIA DI QADESH

di Giuseppe Esposito

Chissà quante volte avete sentito parlare della Battaglia di Qadesh (ma anche Kadesh, o Qades) e anche in questo stesso sito/gruppo esiste qualcosa di quella che Ramses II, il Grande, “contrabbandò” per una folgorante vittoria quando al massimo, calcisticamente parlando, si trattò di un pareggio. Ma, si sa, la pubblicità è l’anima del commercio, e in politica la pubblicità, e la visibilità, sono elementi utili per il mantenimento del potere come, purtroppo, hanno scoperto tanti dei nostri politici nostrani compulsivamente attirati dai social. Sperando di non ripetere troppo cose già dette e ridette, a mia volta vi parlerò di una delle battaglie più famose della storia egizia e, forse, della storia in senso lato. Direi che, per chi segue con assiduità questo sito/gruppo, questo articolo farà il paio con quello che, nel novembre 2021, pubblicai su Thutmosi III e la Battaglia di Megiddo.

E ora, armiamoci e gettiamoci nella mischia… buona lettura!

La freccia lasciò l’arco e con una traiettoria leggermente curva volò sopra il campo, quasi si fermò alla sommità della parabola, poi precipitò verso il suo bersaglio accelerando impercettibilmente. Un leggero vento trasversale tentò di deviarla dalla sua corsa, ma la rossa impennatura, la mantenne stabile nell’aria finché incontrò il bronzo della corazza del Generale hittita.

Se il campo fosse stato più silenzioso, se non ci fossero state le urla dei combattenti e quelle dei moribondi, se il rumore delle ruote falcate dei carri hittiti e di quelle dei leggeri carri della terra di Kemi non avesse monopolizzato l’aria, si sarebbe allora sentito nettamente lo stridio del legno che attraversava il bronzo, poi il tonfo sulla leggera cotta imbottita che, non reggendo all’impatto, avrebbe consentito alla punta in metallo di penetrare profondamente nella carne traendone un risucchiante rumore che sovrastò definitivamente la vita del Generale.

Quasi sbigottito, questi guardò il legno che gli sporgeva dal torace e l’ultima cosa che vide fu l’impennaggio rosso, poi precipitò dal carro lanciato a folle velocità, si ritrovò sotto le ruote di quello che lo seguiva dappresso; né il cielo, né il Grande Re Khattusil, ne’ Qadesh, ne’ la terra di Kheta, ebbero più importanza!

MENNA

Là, nella piana, sta accadendo qualcosa, ma non si sa quale sia l’esito della battaglia… dalle spesse mura merlate di Qadesh si vede solo un’impenetrabile nuvola di polvere in cui, a stento, si scorgono i possenti carri da guerra, con i loro equipaggi di tre uomini, correre in tutte le direzioni. Tra quei carri così massicci, vanto dell’esercito confederato, si muove, a velocità doppia, un carro leggerissimo; ha ruote a sei raggi e un pianale che splende ai pochi raggi di sole che riescono a colpirlo in quella baraonda infernale.

Forse non conosciamo il nome dei grandi generali di entrambi gli schieramenti, ma di quel carro conosciamo il nome del conducente, si chiama Menna e, probabilmente, porta le redini legate alla vita per aiutare l’unico altro combattente che, accanto a lui sullo stretto pianale di vimini e giunchi che corre all’impazzata sul campo di battaglia, scaglia frecce, le uniche con impennaggio rosso, che trovano sempre, mortalmente, un bersaglio.

VITTORIA IN TEBE e MUT E’ SODDISFATTA

Ancor più incredibile è che di quel carro conosciamo anche il nome dei cavalli che, bava alla bocca e groppa grondante sudore, lo fanno quasi volare tra gli oltre duemilacinquecento carri nemici[1]: “Vittoria in Tebe”, l’uno, “Mut è soddisfatta”, l’altro.

I pennacchi che ne ornano le teste sono imbrattati di polvere e di sangue, e rendono quel carro decisamente un bersaglio per tutti i carri nemici: come la strana pietra nera che attrae il metallo delle stelle, tutti convergono su quei pennacchi, e tutti sanno che, catturare, colpire o uccidere quel carrista può portare inimmaginabili onori, gloria, titoli, ricchezza, perché solo lui, il Re nemico in persona, può spavaldamente sfoggiarli.

Vittoria in Tebe”, “Mut è soddisfatta”, strani nomi, direte voi, e ancor più strano sarà che il combattente di quel carro, al termine della battaglia dichiarerà, facendolo addirittura scolpire nella pietra[2], che ogni giorno, quando sarà a Palazzo, assisterà al pasto di quegli animali così coraggiosi[3] unici, assieme all’auriga Menna, a essere con lui nella mischia mentre Principi, Ufficiali e lo stesso Esercito, troppo impauriti, neppure lo hanno seguito[4].

Davanti al rilievo che ricorda quella cruenta battaglia nella piana di Qadesh[5], User-Maat-Ra Setpenra Ramses[6], secondo di questo nome, l’amato di Amon, il Grande Re delle Due Terre, Colui che regna sul Giunco e sull’Ape, risente ancora nelle orecchie quelle urla e, involontariamente, le dita della mano destra si atteggiano a stringere la cocca e la corda del suo possente arco… in quella, il primo raggio del sole improvvisamente esplode all’interno delle scure profondità ed illumina i quattro dei che lo attendono sul fondo del tempio[7] e che simboleggiano il mondo delle Due Terre: Ptah il “creatore”, in onore dell’antica Mennefer[8], Amon per Niwt, Ra-Horakti per On, e lo stesso Ramses che simboleggia l’intera Terra di Kemi.

 Figlio di Sethy I, iniziatore della XIX Dinastia, sarà uno dei Faraoni più longevi che si conoscano (morirà infatti ad oltre 80 anni) ed il suo regno durerà per oltre 60 anni. Si dice inoltre che abbia avuto 100 tra figli e figlie (e la tomba KV5[9], ritrovata nella Valle dei Re, parrebbe confermarlo viste le dimensioni) e che abbia iniziato la costruzione di una grande città che da lui prese il nome.

Quell’uomo, quel Dio, è conosciuto anche come Ramses il Grande, ed è solo il secondo a portare questo prestigioso nome giacché, dopo di lui, ne seguiranno altri nove.

Ma ora che abbiamo presentato i protagonisti di questa storia, direi che è il momento di sapere come mai Ramses si trova in quella piana sconfinata e, soprattutto, perché è solo contro tutti quei nemici agguerriti. Da sempre gli Hittiti, che vivevano nell’area attualmente occupata dalla Turchia, erano una spina nel fianco dell’Egitto che si era, in qualche modo, protetto alleandosi con nazioni vicine che dovevano fungere da “zone cuscinetto” contro i frequenti tentativi di invasione.

Ovvio che un’alleanza internazionale di questo tipo deve basarsi su un corrispettivo e questo, oltre a consistenti aiuti economici, è la protezione proprio dagli attacchi e dalle scorrerie degli Hittiti.

Già in precedenza, nella battaglia di Megiddo combattuta da Thutmosi III (e chi ha letto l’articolo precedente in questo stesso sito sa di cosa sto parlando) erano apparsi, e da allora sono ormai trascorsi oltre 200 anni, ma quegli attaccabrighe degli Hittiti sono sempre lì con le loro incursioni ed ora il “vile Principe di Kheta” (come lo chiama Ramses) è addirittura riuscito a raccogliere attorno a se una coalizione davvero enorme di Re e Principi[10].

Ovvio che se non vuole essere aggredito da un esercito di oltre 40.000 uomini e 3.700 carri (ognuno con tre uomini a bordo) Ramses deve prendere l’iniziativa e così, nel V anno del suo regno, il giorno 9 del mese della stagione estiva, muove con quattro Divisioni che portano il nome degli Dei protettori di ciascuna: la Amon, la Ra, la Seth e la Ptah.

Ogni Divisione ha una forza di 4.000 fanti e 1.000 tra aurighi e combattenti montati su 500 carri.

Si tratta, perciò, di 16.000 fanti e 2.000 carri veloci. Una curiosità riguarda la composizione dell’esercito in cui, spicca, unico ad essere menzionato negli atti ufficiali della guerra, un contingente di Sherdan[11] in cui molti studiosi hanno visto i coraggiosi guerrieri “Sardi”. Ma anche nello schieramento Hittita c’è una curiosità giacché, secondo gli studiosi, uno dei popoli confederati, quello degli Arwna, potrebbe indicare gli abitanti di Ilio, ovvero Troia.

Ma torniamo al campo di battaglia: l’esercito egiziano è in marcia e le Divisioni, giunte al guado dell’Oronte, sono disposte in colonna: in testa la Amon, che passa il fiume e pone il campo, mentre la Ra si trova ancora ad un “iterw” di distanza (ovvero a circa 2,5 Km).

La Ptah si trova dietro la Ra e la Seth è addirittura ancora in marcia.

Qui ci vengono in aiuto i “bollettini” di guerra che il Re farà incidere su alcuni dei suoi monumenti più importanti come il Ramesseo, o il tempio di Abu Simbel; i “servizi segreti” del Re, infatti, catturano ben presto due “shasu”, ovvero due beduini che opportunamente interrogati (e possiamo immaginare con quali metodi), confessano che l’esercito Hittita, capeggiato da Re Muwatalli, si trova addirittura ad Aleppo, ovvero alla frontiera opposta dell’Impero.

Ovviamente si tratta di un tranello, l’esercito confederato Hittita è infatti schierato alle spalle della città, ma Ramses “abbocca” e si rilassa nel campo intanto eretto, in attesa dell’arrivo e del consolidamento delle altre tre Divisioni.  Muwatalli, Re Hittita, scatena allora i suoi carri da guerra che attraversano l’Oronte (fig. 1, n.ro 1), attaccano la Divisione Ra che sta sopraggiungendo (fig. 1, n.ro 2) e proseguono nell’attacco verso l’accampamento della Amon dove si trova Ramses (fig. 1, n.ro 3).

La Ptah, come abbiamo sopra detto, è ancora ben lontana dal campo di battaglia e lo è ancor di più la Seth.

Potrebbe essere la disfatta, ed i soldati della Amon, colti completamente di sorpresa, si sbandano mentre il Re con la forza della disperazione raccoglie quanti può (a sentir lui nessuno) e coraggiosamente contrattacca più volte (fig. 2, n.ri 1, 2 e 3) mettendo in fuga i carri Hittiti che riattraversano l’Oronte e si rifugiano a Qadesh subendo considerevoli perdite, specie nei Comandanti. Da sud, intanto, sta sopraggiungendo la Ptah (fig. 2, n.ro 4) e da nord, insperatamente, una quinta Divisione di rinforzo, pure prevista ma di cui non si avevano notizie (fig. 2, 5),proveniente da Naharina (uno degli stati cuscinetto di cui si è sopra accennato) che subito si getta nella mischia.

I carri Hittiti, con numerosissime perdite, si sono ormai ritirati e le forze in campo, sfumata la sorpresa, sono ormai pari; è vero che le Divisioni Amon e Ra hanno subito a loro volta perdite considerevoli, ma è anche vero che si sono ormai attestate nella piana tre Divisioni fresche: la Ptah, la Seth e la divisione di rincalzo proveniente da Naharina che conservano intatta la vera forza di sfondamento costituita dai carri.

Dall’altra parte, gli Hittiti hanno due Divisioni fresche, ma la vera forza d’assalto, costituita anche in questo caso dai carri, è molto mal ridotta. E’ ancora vero che i carri egizi portano un solo combattente, escluso l’auriga, a fronte dell’equipaggio composto da due unità combattenti degli Hittiti, ma questi ultimi sono anche più pesanti, meno maneggevoli e molto malridotti dagli scontri precedenti. 

La situazione è decisamente di stallo: da una parte gli egizi si apprestano a iniziare l’assedio della città, dall’altra Muwatalli, che ha perso nel combattimento due fratelli, il Comandante della sua Guardia personale, svariati comandanti carristi e Generali, comprende che una guerra di logoramento non potrà che aggravare la sua posizione politica che, in questo momento, è ancora stabile. Vengono perciò inviati messi a Ramses con una proposta di pace. Ramses, non sentendosi a sua volta forse troppo sicuro della possibilità di vincere, forse appagato nell’onore dalla vittoria tattica riportata, accetta e fa ripiegare il suo esercito di fatto non concludendo la guerra, ma semplicemente rimandando il problema Hittita.

E’ verosimile che tale decisione sia stata presa anche per la scarsa fiducia che il Re aveva ormai nella sua classe dirigente militare che non tralascerà di criticare apertamente nelle trascrizioni della battaglia[12] [13](vedi anche nota 3).

Tornato in patria, Ramses II spaccerà la battaglia di Qadesh per una vittoria sfolgorante quando, di fatto, calcisticamente parlando, al massimo si potrebbe parlare di un pareggio. Le sue “gesta”, potenza della propaganda, verranno perciò scolpite, secondo la sua interpretazione s’intende, sui suoi monumenti più importanti a Luxor, a Karnak, ad Abydos e saranno poi trascritte innumerevoli volte dagli scribi tanto che ce ne restano, oggi, addirittura sette esemplari. Di uno di questi conosciamo anche il nome dello scriba che lo redasse; si trova oggi al British Museum ed è, infatti, noto come “Poema di Pentaur”.

Passano gli anni, Ramses II è ancora sul trono (non dimentichiamo che regnò per oltre 60 anni e che quando combatté la battaglia di Qadesh non doveva averne che poco più di venti), mentre Muwatalli è stato sostituito dal figlio Khattusil III, e gli Hittiti continuano ad essere i soliti turbolenti alle frontiere. Ma nel 1258 a.C. circa, le due Super-Potenze del mondo antico decidono di firmare, finalmente, un trattato di pace duratura che costituisce il primo trattato internazionale paritetico che si conosca.

Si legge, tra l’altro[14]:

…Ecco, l’ha stabilito Khattusil, il grande principe di Kheta, con il grande principe dell’Egitto [Ramses], per far che, da oggi in poi esista fra loro la pace e una buona fraternità, per sempre. [Ramses] fraternizzerà con me e sarà in pace con me, io fraternizzerò con lui e sarò in pace con lui, per sempre. …

Di questo trattato, inciso sulle mura dei templi di Karnak e nel Ramesseum nonché su lastra d’argento, restano anche tre copie di provenienza Hittita su tavolette in terra cotta; una di queste è quella riportata qui sotto di cui, data proprio l’importanza a livello di politica internazionale, esiste una copia nell’atrio del Palazzo di Vetro dell’ONU (la foto è stata da me scattata presso il Museo Archeologico di Istanbul, se volete potete tranquillamente usarla, ma citando la fonte, grazie).

Il trattato tra Ramses II e Khattusil III (foto dell’autore)

[1]   «…Trovai coraggioso il mio cuore, mentre il mio animo era gioioso.

Divenni come Monthu: lanciai frecce a destra, catturai prigionieri a sinistra; ero come Seth nella sua ora, davanti a loro. 

Le duemilacinquecento pariglie in mezzo alle quali mi trovavo, erano ammucchiate davanti ai miei cavalli. Non uno trovava fra loro coraggio per combattere.  I loro animi erano sciolti nel loro corpo, le loro braccia deboli, e non riuscivano a lanciar frecce. Non trovavano il coraggio per impugnare le loro lance. Li feci allora cadere nell’acqua come cadono i coccodrilli, uno sull’altro.

Feci strage fra loro a mio piacere, e non uno guardò dietro a sé, ne’ un altro riuscí ad andarsene.  Ogni caduto fra loro non si rialzava più…»

(Tutti i brani riportati nelle note sono tratti dal “Poema di Pentaur”, nella versione di Edda Bresciani in  “Letteratura e Poesia dell’Antico Egitto”, ed. Einaudi, p.286 e sgg.)

[2]   Del cosiddetto “bollettino di Qadesh”, esistono varie versioni egizie scolpite sui muri dei templi di Abidos (muro di cinta), Luxor (lato nord del pilone e mura dell’avancorte), Karnak (angolo nord-ovest della corte detta “della cachette”; faccia occidentale del muro ovest della corte del nono pilone; muro esterno meridionale della sala ipostila) e nel Ramesseum. La più famosa è, tuttavia, quella sul muro nord del tempio di Abu Simbel. Esistono, inoltre, versioni su papiro così come trascritte, in ieratico, dallo scriba Pentawer, o Pentaur (di qui il nome con cui è maggiormente conosciuta di “poema di Pentaur”). Il Poema c’è giunto in due frammenti, uno si trova oggi presso il British Museum di Londra (papiro Sellier III), l’altro presso il Louvre di Parigi (papiro Rifèh): si tratta di complessive 112 righe risalenti all’anno VII di regno “di Ramses Meri-Amon dispensatore di vita come suo padre Ra, dal capo bibliotecario degli archivi reali, lo scriba Pentaur”.  

[3]   «…Ho vinto milioni di paesi da solo, con Vittoria in Tebe e Mut è soddisfatta, i miei grandi cavalli.

     Solo loro mi hanno aiutato a combattere quando ero da solo contro paesi numerosi. Darò disposizioni per farli mangiare io stesso, quando sarò a Palazzo, ogni giorno in mia presenza: solo loro ho trovato in mezzo ai nemici, con l’auriga Menna mio scudiero…»

[4]   «…Non c’è un principe con me, non c’è auriga, non c’è un soldato, non un ufficiale. Mi ha lasciato il mio esercito, la mia cavalleria si è in ritirata davanti a loro, non si è fermato uno di loro per combattere…»

[5]   Kinza, in lingua Hittita, ubicata nell’attuale Siria, a circa 25 km da Homs e verosimilmente identificabile nei resti di Tell Nebi Mend.

[6]   Nome di Horus: Kanakht-Merimaat (Toro possente, amato da Maat); titolo le Due Signore: Mek-kemet-uaf-khasut (Protettore d’Egitto, Dominatore dei Paesi Stranieri); Horus d’Oro: Userrenput-Aanekhtu (Ricco di Anni, Grande di Vittorie); Nesw-Bity (Colui che regna sul Giunco e sull’ape): User-maat-ra Setepenra (Potente è la Maat di Ra, Eletto di Ra); Sa-Ra (Figlio di Ra): Ramses Meri-Amon (Ra lo ha Generato, Amato da Amon).

[7]   Il tempio di Abu Simbel era orientato in modo che, in due date ben prestabilite (verosimilmente il 21 febbraio e il 21 ottobre), il sole sorgente illuminasse l’interno del sacrario e, in particolare, proprio la statua di Ramses assisa tra gli altri Dei. Tale fenomeno si ritiene servisse a rigenerare il vigore e la forza del Re. Con la costruzione della diga di Aswan, negli anni ’60 del secolo scorso, e lo spostamento dell’intero tempio di 210 m più indietro e 65 m più in alto della precedente posizione, il fenomeno, pur mantenendo l’orientamento originale, si spostò al 22 febbraio e al 22 ottobre.

[8]   Mennefer = Menfi; Niwt = Tebe; On = Heliopolis.

[9]   Nota fin dall’antichità, era considerata non recuperabile per la gran quantità di detriti e fango che la riempiva anche a causa delle molte alluvioni succedutesi nei millenni (almeno 11). Nel periodo 1960-1990, inoltre, proprio sopra la tomba si trovava il parcheggio dei pullman turistici, il che causò numerosi altri crolli. Nel 1825 molto verosimilmente la KV5 era stata visitata dall’egittologo inglese James Haliburton (cognome poi variato in Burton) (1788-1862) che però, a causa dei detriti, poté penetrare solo per pochi metri; fu poi la volta, nel 1902, di Howard Carter che, pure, non riuscì ad andare molto oltre l’ingresso. Abbandonata del tutto, della tomba si persero quasi le tracce finché non venne “ri-scoperta”, nel 1984-85, dall’egittologo statunitense Kent R. Weeks (1941-vivente) che iniziò lavori sistematici di scavo e recupero che, a oggi, hanno consentito di individuare oltre 150 locali.

[10] «…il vile principe, il caduto di Kheta, aveva riunito a sé tutte le terre straniere, dai confini del mare alla terra di Kheta, che  erano venute al completo, Naharina, Arzawa, Derden, Qesheqesh, Mesa, Pidasa, Arwna, Qarkesc, Luka, Qagiuaden, Karkemish, Ugarit, Qedi, la terra di Nugas al completo, Mushanet, Qadesh…»

[11] «…Sua Maestà aveva preparato il suo esercito, la sua cavalleria, gli Sherdan… forniti di tutti i loro attrezzi di guerra…»

[12] «…Tutte le terre straniere si sono unite contro di me. 

     Io sono solo, non c’è nessuno con me, mi ha abbandonato il mio esercito numeroso. 

     Non uno ha guardato verso di me fra i miei carristi, se io grido, non uno di loro mi sente. Ma io grido ugualmente e trovo forza in Amon, più di milioni di soldati, più che centinaia di migliaia di cavalieri, piú che decine di migliaia di fratelli e di figli…»

[13] «…Oh, la bella impresa del titolare di molti monumenti a Tebe, la città di Amon, e l’impresa vergognosa compiuta dal mio esercito e dalla mia cavalleria, troppo grande per essere detta!…»

[14] traduzione tratta da “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”, E.Bresciani, ed. Einaudi, p. 286

Donne di potere, Ramses II, Templi

IL TEMPIO MINORE DI ABU SIMBEL

A cura di Grazia Musso

Abu Simbel è uno dei siti archeologici più belli e interessanti di tutto l’Egitto.

Si trova presso il governatorato di Assuan, sulla riva occidentale del Lago Nasser, località della Bassa Nubia in cui si trovano i due celebri templi di Ramses II.

Il nome di Abu Simbel fu registrato fino al secolo scorso come Ibsambul, Ebsambul, Abusambul.In egizio il sito era chiamato Meha.

Un tempietto di Horus di Meha che si trovava in situ fu completamente distrutto nella costruzione del Tempio Maggiore, che fu chiamato Per-Ramesses-Miamon. Nella collina di un sito più a nord, noto come Abeshek, fu scavato il Tempio Minore.

L’intero sito fu scoperto nel 1813 dallo svizzero Burkhardt, ma fu Battista Belzoni che lo liberò dalla sabbia e vi entrò nel 1817.

Il Tempio Minore dedicato alla sposa di Ramses II, la regina Nefertari, e a Hathor di Abeshek, cui la regina fu qui associata.

La facciata è alta 12 metri e larga 28 e davanti si trovano sei statue alte 10 metri, le statue raffigurano 4 volte Ramses e due Nefertari. Ai lati del faraone si trovano le statue dei figli, in dimensioni minori, mentre ai lati delle statue della regina vi sono raffigurate le figlie.

All’interno si trova la sala ipostila con sei pilastri hathorici decorati dal sistro Hathorico, sul “manico” del quelle è iscritta la formula d’offerta, due colonne laterali recano invece i cartigli di Ramses II e di Nefertari. Il passaggio assiale dell’ipostila ha ai lati pilastri raffiguranti, oltre a Nefertari e Ramses II, diverse divinità. Il pronaos introduce al naos, in cui si trova una statua di Hathor in forma di vacca.La regina, all’interno del tempio é ritratta frequentemente con il sistro Hatorico e bouquet di fiori, la sua fronte è ornata dal così detto ureo hathorico e dalla testa di avvoltoio.

I due templi sono stati salvati dalle acque del lago Nasser con un colossale lavoro frutto di un progetto svedese finanziato da fondi UNESCO e USA, con la collaborazione di specialisti italiani. Tagliate in immensi blocchi le statue delle facciate, le colline sono state scavate fino a staccare le pareti degli edifici dalla roccia. Le 15.000 tonnellate di roccia che costituivano i templi sono quindi state rimontate in due grandi cupole di cemento armato e ricoperte da colline artificiali, 210 metri più indietro e 65 metri più in alto del sito originario.

Questa veduta raffigura il passaggio assiale dell’ipostila del Tempio Piccolo di Abu Simbel.Sui lati dei pilastri sono raffigurate, oltre a Nefertari e Ramses II, diverse divinità.

All’interno del Piccolo Tempio di Abu Simbel, la regina Nefertari è ritratta frequentemente con il sistro hathorico e bouquet di fiori. La sua fronte è ornata dal cosiddetto ureo hathorico e dalla testa di avvoltoio.

Fonti:

  • Dizionario Enciclopedico dell’antico Egitto è delle civiltà Nubiane – Maurizio Damiano – Mondadori
  • Le Regine dell’antico Egitto a cura di Rosanna Pirelli – Edizioni W Hite Star
  • http://www.egitto.it.siti archeologia.
Donne di potere, Ramses II

IL PRINCIPE AMON HER KHEPESHEF

IL PRIMOGENITO DI RAMSES II

A cura di Luisa Bovitutti

Come ci ha raccontato Grazia, la Grande Sposa Reale Nefertari diede a Ramses II il suo primogenito ed erede Amon-her-kepeshef (Amon è con il suo braccio forte), il quale, forse, assunse il nome di Seth-her-kepeshef circa vent’anni dopo l’ascesa al trono del padre (alcuni studiosi ritengono che il principe con questo nome fosse invece un altro figlio di Ramses).

In qualità di principe ereditario, Amon-her-kepeshef portava i titoli di “Confidente effettivo” e di “Generale”, come figlio del sovrano era “Portatore di ventaglio alla destra del re”; “Scriba reale”; se si chiamò anche Set-her-kepeshef, allora fu anche “Capo dei segreti della casa del re”, “Lord incaricato di tutta la terra”, “Sacerdote sem del Buon Dio”, “Delegato e giudice delle due terre”, “controllore delle terre lontane”.

Ramses II ed il figlio catturano il toro sacro, Abydos, tempio di Sethi I

Egli è raffigurato come presente alle prime campagne nubiane del padre ed alla battaglia di Kadesh insieme al fratello minore Khaemwese, ma è dubbio se abbia veramente combattuto o se si limitò ad assistere, anche perché all’epoca doveva essere davvero molto giovane.

Amon-her-khepeshef compare inoltre nei rilievi che raffigurano le cosiddette “processioni” dei figli del re o in scene di caccia nei templi di Abu Simbel, di Abydos, di Derr, di Luxor (numerose volte), di Wadi es-Sebua (due volte) e nel Ramesseum. E’ altresì raffigurato su di un carro da guerra ad Abu Simbel e a Beit el-Wadi; a Karnak e a Luxor è con altri fratelli mentre afferra dei prigionieri.

Amun-her-khepeshef morì a circa quarant’anni, prima del padre, al quale successe Merenptah, il suo tredicesimo figlio maschio; fu sepolto nella KV 5, l’imponente ipogeo composto da più di 150 camere scavato nella Valle dei Re per i figli di Ramses II, all’interno del quale l’archeologo prof. Kent Weeks ha rinvenuto i vasi canopi contenenti i suoi visceri e resti ancora in fase di studio che gli sono attribuiti.

Le immagini: il principe è raffigurato ancora con la treccia laterale tipica della giovinezza.

In alto a sinistra, il principe su di un carro da guerra. A destra, il principe raffigurato alla destra del re nella famosa statua di Ramses II, al Museo Egizio di Torino. In basso a sinistra, il principe raffigurato tra le gambe del padre (non gli arriva nemmeno al ginocchio) nel colosso all’ingresso del tempio grande di Abu Simbel

L’INAUGURAZIONE DEL PILONE DEL TEMPIO DI LUXOR FATTO COSTRUIRE DA RAMSES II
Amon her kepeshef in processione con i fratelli all’inaugurazione del pilone del tempio di Luxor fatto costruire da Ramses II

Si può ammirare nel dettaglio, sulla sinistra, la sagoma della facciata del tempio come doveva apparire all’epoca del suo maggior splendore, con i due obelischi, i pennoni con gli stendardi e le sei statue colossali del re; purtroppo oggi è appena percepibile…

NOTE DEL PROF. DAMIANO sul tempio
LA RICOSTRUZIONE DEL VISO DI AMON HER KEPESHEF

Nei primi anni di scavo nella KV5, in una fossa posta vicino all’ingresso della tomba sono tornati alla luce i resti di quattro uomini, tra i quali quelli che il prof. Weeks, sia per il posizionamento che per le iscrizioni parietali che lo menzionavano, attribuisce ad Amon her kepeshef.

Solo l’analisi genetica potrebbe dirimere ogni dubbio in merito alla sua relazione familiare con Ramses II, ma il DNA all’interno dei resti è risultato troppo danneggiato per essere utilizzato a tale fine; peraltro gli antropologi forensi hanno confrontato il teschio con quelli di Ramses II, di Seti I, di Merneptah e di Ramses I ravvisando forti somiglianze anatomiche.

Il cranio recava una profonda frattura (visibile nell’immagine), prova di una ferita violenta e fatale, molto probabilmente inferta con una mazza, arma da guerra molto usata ai tempi di Ramses, e ciò ha indotto l’egittologo ad ipotizzare che il principe, comandante dell’esercito, fosse stato ucciso in battaglia e poi riportato a Luxor per le esequie.

Sulla base delle misure del teschio la Dott. Caroline Wilkinson ha realizzato una ricostruzione del viso dalla quale si evince che Amon her kepeshef aveva le caratteristiche somatiche tipiche dei ramessidi, ossia viso allungato e mento appuntito (il naso e le labbra sono stati “inventati”, avendo a disposizione solo la parte ossea della testa).Da un articolo pubblicato il 12.1.2004 da Alan Boyle, Direttore scientifico di msnbc.com

Nelle fotografie il teschio con la ferita da mazza, la ricostruzione del volto del principe ed i visi delle mummie di Seti I, Ramses II e Merneptah, dalle quali si notano il mento ed il naso particolari.

Fonti: liberamente tratto da un articolo di Jimmy Dunn, che richiama varia bibliografia specializzata.

Donne di potere, Ramses II

LA STATUA DI RAMSES II

Basanite; altezza 194 cm.; circa 1380 a.C.; collezione Drovetti. Museo Egizio di Torino

A cura di Grazia Musso

“L’Apollo del Belvedere Egiziano“: così Champollion definì questa superba opera scultorea che egli ebbe modo di vedere per la prima volta durante il lungo soggiorno a Torino dal giugno del 1824 al febbraio 1825.

Lo studioso francese rimase letteralmente estasiato dalla bellezza della statua, che resta tutt’oggi il capolavoro indiscusso e il simbolo del Museo Egizio di Torino.

La scultura raffigura Ramses II, seduto su un trono e vestito con gli abiti della cerimonia : una lunga tunica di lino plissettata che esalta le forme del corpo, e la corona khepresh costituita da una sorta di ” elmetto modellato”.

Il sovrano, il cui volto sereno accenna un leggero sorriso, indossa il khepresh, questo copricapo, che nelle raffigurazioni è in genere dipinto di blu, era probabilmente realizzato in pelle e decorato con dischi d’oro applicati sulla sua superficie, qui resi con piccole incisioni circolari. Il sovrano è caratterizzato da alcuni simboli della regalità, quali l’ureo che svetta sulla fronte snodandosi sinuosamente sulla corona, e lo scettro heks che egli impugna saldamente con la mano destra.

Il potere del sovrano è ulteriormente sottolineato dall’immagine di nove archi, incisi sulla base della statua, che il faraone calpesta con i propri sandali : gli archi sono un antico emblema dei popoli nemici dell’Egitto che vengono qui metaforicamente sottomessi e annientati dal sovrano..

Sulla base anteriore del basamento sono effigiati inoltre due prigionieri con le braccia legate al papiro e al loto, le piante araldiche simbolo del paese. In questo modo si è voluto simboleggiare il controllo esercitato dal sovrano sui territori a sud e a nord dell’Egitto.

Ai piedi di Ramses II, sulla sua destra, è raffigurato in dimensioni ridotte uno dei numerosi figli del faraone. Il fanciullo indossa una tunica pieghettata e ha una ciocca di capelli che scende dalla tempia, caratteristica tipica dei fanciulli e adolescenti secondo l’iconografia egizia. Sulla parte frontale del trono, in posizione opposta rispetto alla figura del figlio, si trova l’immagine di Nefertari: la regina vestita anch’essa con un lungo abito plissettato, ha il capo sormontato da corna bovine liriformi che cingono un disco su cui svettano due alte piume.

La statua faceva parte del ricco “bottino” di antichità recuperato da Rifaud a Tebe nel 1818 su incarico di Drovetti.

Fonte : I grandi musei – Il Museo Egizio di Torino – Electa – volume 21