C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXV Dinastia

LA DINASTIA DELLE DIVINE ADORATRICI DI AMON

Di Piero Cargnino

Per secoli il titolo di “Sposa del Dio” era riferito alla moglie del faraone con un valore religioso mai chiaramente spiegato.

Il titolo di “Divina Sposa di Amon” (Hemet Netjer) fu introdotto durante la XVIII dinastia come titolo onorifico e costituiva un privilegio della regina o di principesse rigidamente appartenenti alla famiglia Reale (salvo rare eccezioni), con il quale venivano insignite le mogli, le madri o le sorelle del sovrano, quali sacerdotesse di Amon. La presenza della Divina Sposa di Amon sul palco per la Festa Sed era indispensabile, il suo compito prioritario era quello di “soddisfare la potenza creatrice del dio”.

La prima “Divina Sposa di Amon” fu Ahmose Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ahmose I, iniziatore della XVIII dinastia. Spesso il titolo veniva tramandato da madre a figlia come nel caso della regina Hatshepsut e di sua figlia Neferure, che andrà poi sposa a Thutmosi III. Il titolo cadde in disuso verso la fine della dinastia con lo scisma amarniano di Akhenaton, ma fu poi ripreso, in forma più che altro onorifica già dalla XIX dinastia.

Per tutta l’epoca Ramesside il faraone tornò ad esercitare in piena autonomia il potere che gli era riconosciuto. Con l’avvento della XXI dinastia, nota come la “Dinastia dei Profeti di Amon”, l’incoronazione di un sacerdote quale “Primo Profeta di Amon”, ingenerò l’assunzione di un maggior potere da parte del clero tanto che si può parlare di Teocrazia.

A questo punto anche la casta delle “Divine Spose di Amon” ne trasse beneficio. Al titolo originario venne loro attribuito anche quello di “Divina Adoratrice di Amon” (Dwat Netjer), carica che col tempo si evolvette al punto da divenire indipendente persino dal faraone stesso. Quest’ultimo titolo veniva attribuito in un primo tempo a una figlia del faraone ma, venendo meno il potere centrale, iniziò ad essere attribuito ad una figlia del Primo Profeta, e fu proprio con la nomina a Divina Adoratrice della figlia di Pinedjem I, Primo Profeta di Amon durante la XXI dinastia, che si creò un vero e proprio regolamento che prevedeva che le Divine Adoratrici di Amon dovevano restare nubili e vergini a vita.

Ad esse veniva attribuito il potere di consacrare monumenti e celebrare i rituali, godevano inoltre del privilegio di possedere lussuose dimore dove erano accolte le giovinette destinate a succedergli alle quali venivano impartite vere e proprie lezioni per la loro formazione futura. A dimostrazione dei benefici che il titolo comportava basta pensare che la Divina Adoratrice possedeva enormi ricchezze, controllava un gran numero di funzionari e, come solo al faraone era permesso, poteva fare offerte agli dei.

Solo le giovani gradite al faraone potevano ambire a tale titolo e per essere certi che ciò si verificasse il titolo poteva essere tramandato esclusivamente per adozione del successore da parte della Sposa del dio in carica e aveva carattere ereditario, in quanto una Divina Adoratrice non poteva essere sostituita.

Una volta investita dell’incarico alla nuova Sposa veniva consegnato un cartiglio con il suo nuovo nome derivato sempre dalla radice di Mut, in onore alla sposa celeste del Dio.

Gli attributi principali della Divina Adoratrice in carica li riscontriamo in numerosi rilievi dove appaiono nella loro ampia risonanza: “mano del dio” (in egizio: Djeret Netjer); “colei che rallegra la carne del dio”; “colei che si unisce al dio”; “colei che ha la gioia di vedere Amon”. Ma sarà solo durante il Terzo Periodo Intermedio, in particolare sotto la XXV dinastia che il titolo assumerà un’importanza assai rilevante, oltre al potere religioso, che già possedevano, le “Divine Adoratrici di Amon” acquisirono un notevole potere politico di controllo su Tebe, città sacra al dio Amon, e sulla regione circostante soppiantando quello precedente del “Primo Profeta di Amon”, provvedimento che i sovrani adottarono nell’intento di limitare lo strapotere dei sacerdoti.

Al fine di valorizzare ulteriormente il loro potere venne disposto che il loro nome venisse inscritto in un cartiglio, simbolo della regalità. Basti pensare che la Divina Adoratrice Nitokris I giunse persino ad adottare la titolatura regale attribuendosi un nome Horo. Anche se limitato alla sola regione di Tebe, durante la XXV dinastia, indipendentemente dal caos in cui versava l’Egitto, la tebaide mantenne la sua notevole autonomia sotto il governo delle “Divine Adoratrici di Amon” che costituivano quella che molti chiamano la “Dinastia delle Divine Adoratrici di Amon”.

Ritengo doveroso citare almeno i nomi di queste fiere donne che seppero, anche nei momenti più difficili, reggere il governo della tebaide, cosa che uomini guerrieri non seppero fare: Shepenupet I,  Amenirdis I, Shepenupet II, Amenirdis II, Nitocris I, Ankhnesneferibra, Nitocris II. Tanto gli è dovuto. Con l’avvento della XXVI dinastia i Persiani restituirono il titolo a fanciulle vergini, nate da famiglie locali.

Fonti e bibliografia:

  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Edda Bresciani, “L’Antico Egitto”, De Agostini, Novara, 2000
  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Kenneth Kitchen, “Il terzo periodo intermedio in Egitto (1100–650 a.C.)” 3a ed, Warminster: 1996
  • Jurgen von Beckerath, “Das Verhältnis der 22. Dynastie gegenüber der 23. Dynastie”, 2003
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, 9ª ed., Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Christian Jacq, “Le donne dei faraoni”, Mondadori, 1998
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXV Dinastia

I FARAONI NERI – TANUTAMANI

Di Piero Cargnino

E siamo così giunti anche all’ultimo faraone nero con il quale si chiuderà la XXV dinastia kushita.

Dopo un anno di coreggenza, alla morte di Taharqa, sul trono dell’Egitto e del regno di Kush sale il nipote Tanutamani (Tanutamon) il cui nome di Horo era Wah-merut. Manetone non ne fa cenno ma il suo nome compare negli annali assiri.

Iniziò bene il suo regno, trovandosi l’esercito assiro lontano dall’Egitto, Tanutamon tentò il colpaccio, armò il suo esercitò e discese il Nilo fino a Tebe che raggiunse in breve e venne accolto con tutti gli onori dal governatore Montuemhat e dalla “Divina Sposa di Amon” Shapenewpet II.

Le principali notizie della suo campagna militare che sono giunte fino a noi provengono dalla stele nota come “Stele del Sogno”, scoperta a Gebel Barkal, eretta dal sovrano stesso, (da non confondere con la più nota “Stele del Sogno” di Thutmasi IV). L’etiope narra che nel suo primo anno di regno vide in sogno due serpenti, uno a destra e l’altro a sinistra, e il sogno gli fu interpretato con queste parole:

Grazie all’appoggio dei tebani, Tanutamani marciò col suo esercito verso nord con l’intento di riconquistare il Basso Egitto, iniziò una battaglia contro i principi egizi rimasti fedeli al sovrano assiro che sconfisse presso Menfi dove cadde pure Necao I di Sais che secondo alcuni viene considerato il fondatore della XXVI dinastia. Nella sua Stele del Sogno, Tanutamani descrive nei particolari come i principi sconfitti, guidati da Peqrur di Per-Soped, gli resero omaggio sottomettendosi. Stranamente nell’elenco dei principi non viene fatto alcun cenno a Psammetico I di Atribi, figlio di Necao I. E’ interessante il fatto che la battaglia sia stata raccontata anche da parte assira su di un cilindro scritto in cuneiforme anche se ovviamente dal loro punto di vista.

Possiamo immaginare con quale contrasto vengano esposte le due versioni, in quella etiope il vincitore fu Tanutamani, in quella assira ovviamente fu invece Ashurbanipal. Tanutamani partì dunque per Napata

dove giunse senza alcun problema. Qui fece celebrare una grande festa in onore di Amon-Ra al cui termine discese il Nilo e andò ad Elefantina a rendere omaggio al dio Khnum, da qui poi si recò a Tebe per onorare il dio Amon-Ra.

Tornato in Egitto Tanutamani si diresse subito verso Menfi, durante il tragitto il sovrano venne accolto ovunque con scene di giubilo, dopo aver preso Menfi e ringraziato con offerte Ptah e le altre divinità, ordinò che a Napata venisse costruito un grande portale in ringraziamento agli dei. Tanutamani scese ancora verso il Basso Egitto per combattere gli ultimi principi ribelli i quali però si ritirarono dentro le loro mura e non uscirono a combattere con lui. Anziché assediare le città, forse per scarsità di soldati, il sovrano tornò a Menfi, non passò molto tempo che i principi gli mandarono a dire, per bocca del principe di Pi-Sopd, che erano pronti a servirlo ed a diventare suoi vassalli.

Tanutamani riunì allora tutti i principi nel palazzo reale e qui li informò che la sua vittoria gli era stata promessa dal suo dio, l’Amon di Napata. Terminato il banchetto il principi tornarono alle loro città, e l’iscrizione termina qui bruscamente. Ma il trionfo non ebbe lunga durata, Ashurbanipal scese nuovamente in Egitto, dove il suo esercito sconfisse quello di Tanutamani, dopo di che riconquistò Menfi, scese fino a Tebe che saccheggiò e derubò del tesoro del tempio di Karnak. Procedette quindi a dividere tutto l’Egitto in piccoli territori che affidò a principi a lui fedeli. Nei testi cuneiformi non troviamo più citato il faraone etiope ed a quanto pare neppure il re assiro. Tanutamani fuggì per l’ennesima volta e si rifugiò a Napata, pur continuando a considerarsi faraone legittimo, e qui morì nel 656 a.C. e fu sepolto a Kuru.

Da questo momento i sovrani etiopi non entrarono più in Egitto limitandosi a governare la Nubia e spostando la loro sfera d’influenza più a sud, dove daranno vita a quello che sarà il regno di Meroe.

Fonti e bibliografia:

  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Edda Bresciani, “L’Antico Egitto”, De Agostini, Novara, 2000
  • Gianpiero Lovelli, “Tanutamani, l’ultimo monarca della XXV dinastia”, da Strorie di Storia, 2020
  • R. William Gallagher, “Sennacherab’s campaign to Juda”, Boston, Brill Press, 1999
  • Marco Joshua J., “Esathaddon”, Enciclopedia della storia mondiale, (estratto), 2019
  • Radner Karen, “Antica Assiria: una brevissima introduzione”, Università di Oxford, 2015
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, 9ª ed., Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011 A. Kirk Grayson, Sennacherib in Anchor Bible Dictionary, New York, 1992
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I FARAONI NERI – TAHARQA

Di Piero Cargnino

Non voglio indugiare oltre per scoprire se fu Shabaka o Shebitqo a regnare per ultimo ma proseguirò seguendo le linee accademiche in generale. Diciamo quindi che a Shebitqo successe il cugino Taharqa che per sua fortuna si trovò la strada spianata dalle campagne di successo di Pianki e Shabaka avviandosi a governare un prospero regno.

Per quanto riguarda la durata del regno di Taharqa la si evince dalla “Stele del Serapeum” (cat. 192) dove viene registrato che un toro Apis nato il “quarto mese della stagione di Akhet, giorno  9”, nell’anno 26 di Taharqa morì nel Anno 20 di Psammetico, “quarto mese di Shemu, giorno 20 dopo aver vissuto 21 anni”. Da ciò si deduce che Taharqa regnò almeno 26 anni.

Abbiamo già incontrato Taharqa quando, durante il regno del suo predecessore, guidò l’esercito egizio inviato a supporto della  coalizione anti-assira formata dal regno di Israele, da quello di Giuda e dalle città di Ascalon e Sidone, dove la coalizione fu sconfitta ad Ashod.

Rientrato in Egitto salì al trono dopo la morte di Shabaka o Shebitqo e lo descrive lui stesso esplicitamente nella stele di Kawa, riga 15:

Stranamente nella stele Taharqa non accenna mai chi fosse il Falco Reale. Pertanto rimane l’incertezza su chi dei due suoi predecessori abbia regnato per ultimo.

Affidò subito l’amministrazione dell’Alto Egitto al Quarto Profeta di Amon presso Karnak, Montuemhat, al quale concesse i titoli di “Governatore di Tebe” e “Sovraintendente ai Distretti Meridionali”. Stabilì la sede della sua corte nel Basso Egitto in modo tale da avere l’opportunità di  seguire meglio le complesse vicende palestinesi, nel contempo sottomise i piccoli dinasti locali, di origine libica, che spadroneggiavano ancora in alcune zone del Delta del Nilo.

Intanto il re assiro Sennacherib venne assassinato in seguito ad un complotto, lo racconta Erodoto ed anche la Bibbia:

Non è detto che nell’uccisione di  Sennacherib Taharqa sia stato del tutto estraneo tanto che iniziò a coltivare alleanze con elementi in Fenicia disposti a rendersi più indipendenti dal potere assiro. Intraprese alcune campagne militari con successo ed invase la Palestina meridionale, come attestato dalla “lista dei principati asiatici conquistati” nel tempio Mut a Karnak e “popoli e paesi conquistati (libici, nomadi Shasu, fenici e Khor in Palestina) nel tempio di Sanam”.

Ma Taharqa aveva fatto male i conti, Esarhaddon succeduto a Sennacherib intraprese una campagna militare contro Khor (avamposto egiziano situato nel sud della Siria), distrusse Sidone e sottomise Tiro. si rivolse quindi all’Egitto, Taharqa fu sconfitto nel 677 a.C.; fuggì prima a Tebe poi, quando il governatore Montuemhat fu costretto a fare atto di sottomissione consegnando tutta la regione a Esarhaddon, dovette ritirarsi a Napata.  Esarhaddon invase e trasformò il Basso Egitto in una provincia assira, proseguì quindi, attraversando il deserto, fino a Menfi, che conquistò catturando la famiglia del faraone, le mogli reali ed il principe Nes-Anhuret che inviò in Assiria come ostaggi, impose tributi e poi si ritirò. Per la prima volta da secoli l’Egitto dovette subire un’invasione straniera.

Ma Taharqa tornò  portando truppe di riserva da Kush, come menzionato nelle iscrizioni rupestri e sconfisse gli Assiri nel 674 a.C., secondo i documenti babilonesi rioccupando Menfi ed il Delta. Secondo alcuni studiosi pare che questa sia stata forse una delle peggiori sconfitte dell’Assiria.

Nel frattempo l’improvvisa morte del re Esarhaddon fermò l’avanzata dell’esercito assiro, anche perché Ashshurbanipal, succeduto al padre, dovette accorrere in patria per risolvere una crisi politica scoppiata nel suo turbolento impero. Ne approfittò subito Taharqa che, tornato a Tebe riuscì in breve a formare una nuova alleanza con dinastie locali che avevano fatto atto di sottomissione all’occupante; alla coalizione aderì anche Necho, principe di Sais che fonderà la XXVI dinastia.

Ashshurbanipal, risolta la crisi interna, rientrò appena possibile in Egitto, sconfisse nuovamente Taharqa e avanzò fino a Tebe, ma non stabilì un controllo assiro diretto, nominò suo vassallo sovrano in Egitto Necho I e tornò in patria. Pochi anni dopo i sovrani di Sais, Mendes e Pelusium tornarono a complottare contro gli assiri cercando di attirare con loro Taharqa che si trovava a Kush. Assurbanipal scoprì quello che si tramava ai suoi danni, scese nuovamente col suo esercito e sconfisse i ribelli giustiziandone molti e deportando Necho I a Ninive. Ancora una volta Taharqa si rifugiò nella sua terra d’origine dove di li a poco morì.

Va riconosciuto a questo faraone che, nonostante un regno in continuo conflitto con la potenza assira, fu anche in grado di garantire un prospero periodo di rinascita sia in Egitto che nel suo paese Kush. Favorito da una eccezionale inondazione del Nilo, che permise un raccolto molto abbondante a tutto vantaggio della popolazione, il governo centrale fu particolarmente efficiente da sostenere molte  risorse intellettuali e materiali, la religione, le arti e l’architettura furono riportate alle loro gloriose forme dell’Antico, Medio e Nuovo Regno.

Taharqa e la XXV dinastia fecero rivivere la cultura egiziana, dalle numerose iscrizioni si riscontra che il sovrano fece grandi donazioni d’oro sia al tempio di Amon di Karnak che a quello di Kawa. Sotto Taharqa, l’integrazione culturale dell’Egitto e di Kush raggiunse un punto tale da non poter essere annullata, nemmeno dopo la conquista assira. L’impero della Valle del Nilo tornò grande come lo era stato nel Nuovo Regno.

Taharqa fu anche un grande costruttore, restaurò templi e ne costruì di nuovi, fece delle enormi aggiunte ai templi di Karnak e di Kawa oltre che al tempio di Jebel Barkal, la cui somiglianza con quello di Karnak costituì un punto centrale per i suoi costruttori.

Taharqa costruì anche insediamenti militari presso i forti di Semna e Buhen e il sito fortificato di Qasr Ibrim. All’ingresso del palazzo di Ninive furono trovate tre statue colossali di Taharqa,  probabilmente portate come trofei di guerra da Esarhaddon con altro bottino.

Taharqa morì a Tebe ma a differenza dei suoi predecessori non fu seppellito a el-Khurru ma nella sua piramide a Nuri, (piramide NU 1) anche se è nota una seconda piramide di dimensioni modeste, a lui dedicata e situata a Sedeinga. La piramide NU 1 di Taharqa è la più grande e meglio conservata, misura circa 52 metri per lato ed è alta 67 metri con un’inclinazione di 69 gradi, è la più elaborata tomba rupestre kushita.

La camera funeraria è una replica dell’Osireion di Seti I ad Abydos, ha sei colonne che sostengono un tetto a volta. Nella sua tomba furono deposti oltre 1070 ushabti di varie dimensioni fatti di granito, ankerite verde e alabastro.

Fonti e bibliografia:

  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • R. William Gallagher, “Sennacherab’s campaign to Juda”, Boston, Brill Press, 1999
  • Marco Joshua J., “Esathaddon”, Enciclopedia della storia mondiale, (estratto), 2019
  • Radner Karen, “Antica Assiria: una brevissima introduzione”, Università di Oxford, 2015
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, 9ª ed., Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • A. Kirk Grayson, Sennacherib in Anchor Bible Dictionary, New York, 1992
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I FARAONI NERI – SHEBITQO

Di Piero Cargnino

A Shabaka succede il fratello Shebitqo (o Shebitku), entrambi figli di Pianki.

Shebitqo, almeno inizialmente, si appropria di un ruolo di prestigio nella politica internazionale in modo particolare nel Medio Oriente. Il suo praenomen o nome del trono, Djedkare, significa “perseverare è l’anima di Ra”; sua moglie era una sorellastra figlia di Pianki, Arty – tanto si evince da un frammento della statua JE 49157 del Sommo Sacerdote di Amon Haremakhet, figlio di Shabaka, rinvenuta nel tempio di Mut a Karnak.

Shebitqo regnò forse dodici anni (Sesto Africano gliene attribuisce quattordici, Eusebio di Cesarea dodici, in realtà la data attestata più alta a livello archeologico è il 3° anni di regno).

In politica estera, Shebitqo, dovette sostenere il difficile confronto con la potenza assira che per la seconda volta si rivolse contro Israele alla cui richiesta di aiuto il faraone nero non poté sottrarsi. La vicenda della difesa di Gerusalemme è avvolta dall’alone della leggenda: sembra infatti che Shebitqo non si sia mai congiunto con le truppe nubiane del fratello Taharqa richiamate per l’occasione ed inviato in aiuto delle città fenice contro re Sennacherib che assediava Gerusalemme. L’assedio si concluse inverosimilmente con la fuga precipitosa dell’esercito assiro, causata da un avvenimento che le fonti tramandano come miracoloso. La Bibbia parla dell’intervento di un angelo sterminatore, Erodoto di un esercito di topi che avrebbe reso inservibili le armi dei nemici. Resoconti ambedue inverosimili; secondo gli storici si trattò forse di un’improvvisa pestilenza.

Certo è che Gerusalemme si salvò, ma non grazie a Shebitqo. E qui va detto che l’egittologo Brunet, prima e Baker poi, hanno fatto notare che i regni di Shabaka e Shebitqo andrebbero invertiti. Michael Bányai nel 2013 ha pubblicato, in una rivista mainstream, molti argomenti a favore di tale inversione. Dalle prove archeologiche evidenziate nel 2016/2017 appare chiaro che Shebitqo regnò prima di Shabaka; ciò risulta evidente nel bordo superiore dell’iscrizione sulla stele di Karnak.

Baker, e poi Frederic Payraudeau scrissero che la “Divina Adoratrice di Amon” Shepenupet I, l’ultima Adoratrice libica, era ancora in vita durante il regno di Shebitqo perché compare in atto di eseguire riti, descritta come “vivente” sul muro ed all’esterno della cappella Osiride-Héqadjet costruita durante il suo regno. All’interno, Amenirdis I, sorella di Shabaka, è rappresentata come Adoratrix con un nome di incoronazione.

Pertanto Sepenupet I successe a Amenirdis I come “Divina Adoratrice di Amon” durante il regno di Shebitqo; questo dettaglio dimostra che Shabaka non può precedere Shebitqo.

Una delle prove più evidenti che Shabaka governò dopo Shebitqo è stata dimostrata dalle caratteristiche architettoniche delle piramidi reali kushite a El Kurru. Solo nelle piramidi di Pianki (Ku 17) e Shebitqo (Ku 18) le camere funerarie sono strutture a taglio aperto con un tetto a sbalzo, mentre le sottostrutture delle camere funerarie completamente scavate si trovano nelle piramidi di Shabaka (Ku 15), Taharqa (KU 1) e Tantamani (KU 16). L’evidenza del design della piramide mostra anche che Shabaka deve aver governato dopo, e non prima, Shebitqo. Ciò favorisce anche una successione Shebitqo-Shabaka nella XXV dinastia.

Va detto inoltre che nella statua del Sommo Sacerdote di Amon, Haremakhet, figlio di Shabaka, si definisce

Da notare che sulla statua di Haremakhet non viene fatto assolutamente cenno a Shebitqo, che dovrebbe aver governato tra Shabaka e Taharqa. L’assenza di questo re è strana poiché l’intento del testo della statua era quello di rendere una sequenza cronologica dei re che regnarono durante la vita di Haremakhet. Questa sarebbe un’ulteriore prova a sostegno del fatto che fu Shebitqo a regnare per primo e Shabaka gli succedette. Una possibile spiegazione per l’omissione di Shebitqo dalla statua di Haremakhet era che Shebitqo era già morto quando Haremakhet nacque sotto Shabaka.

Per concludere vorrei evidenziare il fatto che da parte della loro patria nubiana ci siano giunte ben poche tracce sia di Shabaka che di Shebitqo, a parte le piramidi di Kurru ed un cimitero di cavalli sempre a Kurru. Su di una stele al Museo Egizio di Torino sono raffigurati Shabaka e Shebitqo seduti insieme (Shebitqo è seduto dietro Shabaka) di fronte ad un tavolo delle offerte. Secondo William J. Murnane questa è una prova che ci sia stata una coreggenza reale tra questi due re. Il Museo di Torino, prima, poi Robert Morkot e Stephen Quirke, hanno analizzato la stele ed hanno confermato che l’oggetto è un falso. Per la maggior parte degli studiosi non ci fu alcuna coreggenza tra Shabaka e Shebitqo.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Frédéric Payraudeau, “Retour sur la succession Shabaqo-Shabataqo”, 2014
  • Robert Morkot, “The Black Pharaohs: Egypt’s Nubian Rulers”, The Rubicon Press, 2000 Henry Breasted, “The Philosophy of a Memphite Priest”, Leipzig, 1901
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXV Dinastia

I FARAONI NERI – SHABAKA

Di Piero Cargnino

Succeduto al fratello Pianki, Shabaka Neferkara-Meriamon marciò verso nord e sconfisse definitivamente gli avversari completando così la conquista dell’Egitto lasciata incompleta, dal fratello. Manetone racconta che:

Autoproclamatosi faraone legittimo, il primo vero “faraone nero”, Shabaka procedette alla restaurazione degli antichi culti, cosa che vedrà la completa realizzazione solo con la XXVI dinastia.

A Menfi tornò il culto di Ptah, venne redatto il “Testo di teologia menfita”, la più articolata cosmogonia della tradizione egizia.

Alla sorella di Shabaka, Shepenupet, fu assegnato il titolo di “Divina Sposa di Amon” mentre il figlio di Shabaka, Harmakis, assunse il titolo di “Primo Profeta di Amon” con valenza prettamente teologica.

Shabaka si dedicò presto alla politica estera con particolare riguardo verso l’Assiria che minacciava i confini egizi, senza indugi provvide ad inviare doni a Sargon II per accattivarselo ma visto che la cosa non funzionava si fece promotore di una coalizione di stati palestinesi che si trovavano nelle stesse condizioni dell’Egitto minacciati dagli assiri.

Shabaka rinforzò il suo esercito, ormai composto per la maggior parte di mercenari, col quale affrontò l’esercito assiro. Le sorti purtroppo non furono favorevoli alla coalizione che venne sconfitta nella battaglia di Raphia. Fortunatamente per l’Egitto l’Assiria era travagliata da problemi interni per cui Sargon II non ebbe modo di sfruttare la vittoria.

Riguardo alla durata del regno di Shabaka le fonti dissentono, la data più alta registrata è il 15º anno di regno, Manetone gli assegna 14 anni, mentre per i suoi epitomi, Giulio Sesto Africano, sarebbero solo otto, per Eusebio di Cesarea sarebbero dodici. Nonostante avesse posto la sua capitale a Menfi, sono state rilevate alcune testimonianze anche a Tebe, Karnak e Medinet Habu dove si trovano alcune sue cappelle.

Fu sepolto nella necropoli nubiana di El-Kurru. Verso la fine del 1700, il conte George John Spencer, primo Lord dell’Ammiragliato britannico, noto mecenate e cultore di letteratura dell’epoca entrò in possesso di una stele, realizzata intorno al 710 a.C. per ordine del faraone Shabaka, che contiene la copia di un testo molto più antico, il cui incipit risale a periodi di molto anteriori, (2780 – 2260 a.C.). Sfuggita alle varie ricerche archeologiche in quanto, in epoca post-faraonica, essa fu utilizzata dai contadini come pietra per mulino. Lord Spencer ne fece poi dono al British Museum di Londra nel 1805.

Chiamata comunemente “Pietra di Shabaka”, consiste in una stele di granito nero di forma rettangolare, leggermente smussata agli spigoli, di 1,37 x 0,92 m., ove sono riportate delle iscrizioni in corsivo geroglifico molto rovinate, in un’area ristretta al centro del reperto di cm. 132 x 69.

Essa riveste grande importanza soprattutto nell’ambito della storia del pensiero filosofico. In detto reperto vengono infatti esposti i principi della cosmogonia menfita incentrata sul concetto del nous e logos, principi che, come acutamente osservò l’archeologo e storico statunitense James Henry Breasted, rappresentano uno dei pilastri, delle fondamenta su cui poggia la speculazione filosofica dei grandi pensatori greci. Una prima pubblicazione dell’iscrizione fu fatta da S. Sharpe nel 1837, dopo di che la stele finì chiusa nei magazzini del British Museum come in una specie di dimenticatoio, vi rimase per circa un secolo senza destare particolare interesse da parte degli studiosi.

Sarà poi solo a fine 800 che Breasted intraprese lo studio dell’iscrizione in maniera approfondita che pubblicò col titolo “The Philosophy of a Memphite Priest”, Leipzig, 1901. L’iscrizione inizia con un prologo dove viene precisato che si tratta della copia di un documento molto più antico, trascritto sulla pietra per essere conservato. Dal linguaggio arcaico utilizzato si presume che la stesura del testo debba essere fatta risalire all’antico regno, nel quale vediamo l’affermarsi di tre importanti centri religiosi: Eliopoli, Menfi ed Ermopoli.

Onde evitare di tediarvi eviterò di descrivere le differenze tra le tre teologie, che i più già conosceranno, ma rimarrei nella descrizione dell’iscrizione della Pietra di Shabaka. Breasted elaborò una ricostruzione dei vari geroglifici tracciando un particolare disegno che ne facilitasse la lettura. La scrittura si snoda nell’iscrizione come segue: dapprima appaiono due linee orizzontali per l’intera lunghezza nella parte introduttiva, seguono poi 61 colonne a raggiera che si dipanano dal centro, oltre alla linea n. 48 di breve lunghezza. In tutto 64 tra linee e colonne. Lo scritto è composto da tre parti, nella prima, (linee 1 e 2), viene citato a ricordo dei posteri la volontà del sovrano Shabaka di far copiare una antica iscrizione, notevolmente rovinata a quell’epoca, nella quale erano tracciati i principi della Teologia Menfita. Dalle linee 3 a 47 incluse viene raccontata la storia della unificazione dell’Alto e Basso Egitto dove Geb, in un primo momento assegna a Seth il Basso Egitto e l’Alto Egitto a Horus, salvo poi assegnare, in un secondo tempo, l’intero paese a Horus ritenendo che, in quanto figlio del proprio figlio primogenito Osiris, ne avesse  maggior diritto. Nella terza parte (dalla linea 48 alla colonna 64), quella più importante, vengono esposti i principi fondamentali della cosmogonia menfita.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
  • Mario Menichetti, “Teologia menfita – La Pietra di Shabaka”,  Gubbio 29 maggio 2007
  • Joshua J. Bodine, “The Shabaka Stone”, Studia Antiqua, vol. 7, 2009
  • Henry Breasted, “The Philosophy of a Memphite Priest”, Leipzig, 1901)
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I FARAONI NERI – PIANKI (PIYE)

Di Piero Cargnino

In alcune liste lo troviamo al terzo posto dopo Alara e Kashta, ma dalla maggior parte degli studiosi viene a ragione, considerato il vero fondatore della XXV dinastia, Pianki è colui che per primo dette inizio all’espansione della Nubia fino a riunificare quasi tutto l’Egitto.

Pianki (Piye) era un re kushita, figlio del suo predecessore Kashta e di sua moglie Pebatjma, governò sempre dalla sua capitale Napata nel profondo sud della Nubia, oggi Sudan.

Prese tre o quattro mogli, Abar che gli generò il successore Taharqa, oltre a Tabiry, Peksater e forse anche Khensa.

Approfittando del disordine che regnava in Egitto a causa della litigiosità dei governanti locali, Pianki discese il Nilo estendendo il suo potere oltre Tebe nel Basso Egitto. Abbiamo già accennato alla coalizione dei sovrani libici organizzata da Tefnakht di Sais che assediò Heracleopolis il cui re, Peftjauawybast chiese aiuto a Pianki. Pianki si trovava nel suo 20° anno di regno e colse subito la palla al balzo, Forte di un grande esercito invase il Medio e Basso Egitto arrivando fino a Tebe in tempo per partecipare alla grande festa dell’Opet.

A fornirci una documentazione sugli avvenimenti del suo regno ci ha pensato lui stesso facendo erigere una stele, la “Stele delle Vittorie”, scoperta a Gebel Barkal da un ufficiale dell’esercito del Pascià d’Egitto nel 1862, ora al Museo del Cairo. Sulla stele viene descritta la sua vittoria sulla coalizione, non viene però riportato il motivo che lo spinse, dopo la vittoria, a fermare la sua avanzata verso il Basso Egitto ed a ritirarsi a Napata lasciando al loro posto i principi sconfitti accontentandosi di un semplice atto di vassallaggio.

Lasciò a Tebe la propria sorella Amenardis con il titolo di “Divina sposa di Amon”, titolo che per importanza e potere aveva superato quello di “Primo Profeta di Amon”; dell’importanza e del potere assunto dalle “Divine spose di Amon” a Tebe parleremo in seguito.

Nella stele una scena rappresenta i principi e i re delle città egiziane di fronte a Pianki in atto di sottomissione mentre il re si proclama faraone. Il testo seguente descrive la vittoriosa campagna militare del re in tutto l’Egitto, offrendo una panoramica dello stato del paese in quel momento e in particolare delle principali città conquistate.

Per Pianki quella era una Guerra Santa, ordinava ai soldati di purificarsi ritualmente prima di ogni battaglia mentre lui faceva offerte al grande dio Amon. L’esercito nubiano marciò verso nord conquistando dapprima Heracleopolis poi Menphis. Assediò poi Hermopolis che cadde dopo cinque mesi di assedio e li ricevette la sottomissione dei sovrani ribelli del Delta, Iuput II di Leontopolis, Osorkon IV di Tanis mentre Nimlot, di Heracleopolis Magna, fuggì su un’isola del Delta rifiutandosi di rendere una sottomissione diretta, infatti inviò una lettera al re nubiano in cui accettava la sconfitta. Dopo aver ottenuto la sottomissione dei principi vinti, Pianki li lasciò al loro posto e scese a Tebe per poi tornare a Napata.

Nonostante la sua vittoria, quello che Pianki lasciò cambiava qualcosa solo a nord di Tebe fino alle oasi del deserto occidentale e ad Herakleopolis dove a governare era rimasto Peftjauawybast in qualità di vassallo della Nubia. Nel Basso Egitto la situazione era sempre la stessa dove Tefnakht e gli altri sovrani continuavano a regnare indisturbati.

La data più alta trovata per il regno di Pianki è quella che compare su una stele rinvenuta nel tempio Sutekh di Mut el-Kharab, nell’oasi di Dakhla dove viene citato “anno 24, III Akhet, giorno 10”. Stando però ai rilievi del Grande Tempio di Gebel Barkal questi rappresentano Pianki intento a celebrare la festa Heb Sed, se è stata rispettata la tradizione che voleva che la festa Heb Sed si celebrasse nel trentesimo anno di regno del sovrano, Pianki avrebbe regnato almeno trent’anni. Va però detto che non sempre questa tradizione veniva rispettata per cui non abbiamo alcuna certezza. Kennet Kitchen, basandosi su una stele di donazione riferita all’anno 8 del re Tefnakht, ritiene di poter dire che Pianki regnò 31 anni. Olivier Perdu, nel 2002, ha sostenuto che questa stele potrebbe riferirsi ad un eventuale Tefnakht per cui non sarebbe da prendere in seria considerazione.

Anche Pianki venne sepolto in una piramide a el-Kurru vicino a Jebel Barkal, oggi nel Sudan settentrionale. Alla piramide si accede attraverso una scala di 19 gradini rivolta ad est, da qui si entra nella camera funeraria scavata nella roccia e coperta da un tetto in muratura a sbalzo. All’interno della camera, su di una piattaforma di pietra, posta al centro, sulla quale era sistemato il letto fu sistemato il corpo del sovrano (non ho trovato se era stato imbalsamato o meno). Pianki fu il primo re a ricevere una sepoltura del genere in più di 500 anni. In seguito altri sovrani kushiti vennero sepolti in questo sito.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
C'era una volta l'Egitto, III Periodo Intermedio, XXV Dinastia

LA XXV DINASTIA

Di Piero Cargnino

I  FARAONI NERI – ALARA e KASHTA

Con la XXV dinastia si concluderà finalmente, dopo oltre 400 anni, quel triste periodo della storia egizia che va sotto il nome di “Terzo Periodo Intermedio”. Iniziato infatti con la XXI dinastia che vide al potere in Egitto i principi libici discendenti di quelle genti libiche che erano entrate in Egitto come prigionieri di Ramses III e che si facevano chiamare “Grandi Capi dei Ma”, nome derivato da Mashuash, una delle più importanti tribù libiche.

Per quanto riguarda la XXV dinastia Manetone parla semplicemente di

Come detto più volte Manetone, o i suoi epitomi, vanno presi con le molle. In realtà i sovrani furono parecchi di più, la lista alla quale mi rifaccio ne riporta ben sette. Altra osservazione è che i re non erano etiopi, e, contrariamente a quanto si crede non erano neppure nubiani (o kushiti) anche se la loro provenienza è quella. Essi erano i discendenti dei sacerdoti tebani di Amon che erano fuggiti da Tebe all’epoca dell’anarchia rifugiandosi in Nubia, a Napata all’epoca della XXII dinastia.

In quel periodo i successori di Herithor resero ereditaria la carica di “Primo Profeta di Amon” che veniva sempre assegnata ai successori della stessa famiglia; i sacerdoti vennero allontanati dal potere da Sheshonq I. Pur col passare degli anni ed i vari matrimoni misti con le famiglie nobili locali, gli esiliati avevano fondato un regno egizianizzato, furono conservatori e tradizionalisti e veneravano Amon di Tebe in un tempio che era una copia di quello di Karnak. Da come li vediamo rappresentati nei dipinti e nelle sculture è evidente che ormai avevano assunto le fattezze  delle genti dell’Africa Subsahariana, carnagione scura, labbra e nasi carnosi ed i capelli ricci.

Il primo sovrano nubiano ad entrare in Egitto fu il già citato Pianki (o Piye), che sarà poi il vero fondatore della XXV dinastia, Il quale, come abbiamo già detto in precedenza, dopo aver sconfitto una coalizione che vedeva uniti  sovrani delle XXII, XXIII e XXIV dinastie, improvvisamente si ritirò a Napata dove poco tempo dopo morì. Vediamo dunque chi sono questi “faraoni neri”.

Questo sovrano viene considerato da alcuni come il diretto precursore della XXV dinastia anche se in realtà non era un re egizio; durante il suo regno non controllò mai alcuna regione dell’Egitto.

Alara era sicuramente un sovrano del regno di Kush, termine con cui gli egizi indicavano la Nubia, che si era formato in seguito al progressivo ritiro delle guarnigioni egizie durante la XXI dinastia e come tale fu il fondatore della dinastia reale Napatan. Non è chiara la ragione per cui viene inserito come il primo sovrano della XXV dinastia egizia.

I documenti nubiani che ci sono pervenuti parlano di un re che regnò molto a lungo, tanto che i suoi successori pregavano di avere un regno lungo come il suo. Alara era una figura molto riverita nella cultura nubiana ed è stato il primo re della Nubia di cui si conosce il nome. Fu un grande re per Kush, unificò tutta la Nubia da Meroe alla terza cateratta e fece di Napata la capitale religiosa della Nubia. Secondo la tradizione nubiana  il successore del sovrano in carica avveniva tra fratello e fratello, poi eventualmente da padre in figlio. In effetti il successore di Alara sarà il fratello Kashta che sarà il vero fondatore della XXV dinastia egizia.

La sua sepoltura ebbe luogo nel cimitero reale di El-Kurru nei pressi di Napata.

  

Alla morte di Alara il fratello Kashta gli succede sul trono di Kush ed in breve estende l’influenza nubiana su Elefantina e, forse a Tebe nonostante non sia possibile affermarlo con sicurezza.

Subito si attribuì il titolo di “Signore dell’Alto e Basso Egitto” fondando, di fatto, secondo Manetone, la XXV dinastia egizia (anche se a tutti gli effetti il vero fondatore fu Pianki). Se non conquistò realmente Tebe esercitò comunque una grande influenza in quella regione tanto che riuscì a far adottare una delle proprie figlie, Amenardis, dalla Divina Sposa di Amon, Shepenupet I, in modo tale che, succedendo a questa nella carica, avrebbe acquisito il più alto titolo sacerdotale e politico della regione tebana.

  

Alla sua morte Kashta fu sepolto a el-Khurru in una piramide nubiana.

Fonti e bibliografia:

  • Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
  • Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Mai cosa simile fu fatta, XXV Dinastia

LA XXV DINASTIA

NAPATA, LA CONQUISTA NUBIANA E IL RINASCIMENTO EGIZIO

Testa in granodiorite di Taharqa
– Assuan Museo della Civiltà nubiana.
In questa testa il riferimento a modelli più antichi si inquadra in un modellato più pesante, tipico di quest’epoca.

Il terzo periodo intermedio Egizio si colloca tra la fine del Nuovo Regno e la XXV dinastia etiope, e comprende la XXI dinastia, quella dei ” re sacerdoti e le tre dinastie libiche”.

Mappa dell’antico Egitto, con il Nilo fino alla V cateratta. Le maggiori città e siti del periodo dinastico (dal 3150 a.C. al 30 a.C. circa)

Il terzo periodo intermedio vede coesistere varie dinastie che, contribuendo al frazionamento e alla fine della unità che aveva caratterizzato l’Egitto in altri periodi, determinano “la preparazione del substrato politico sociale in cui si innesteranno le dominazioni straniere di potenze emergenti nell’area medio orientale” .

Statuina in oro, argento e bronzo di Taharqo in adorazione del dio Falco Hemen
Parigi Museo del Louvre.
È una rara testimonianza della finezza raggiunta dall’ oreficeria in quest’epoca.

“Dopo la spartizione del territorio Egizio tra i sacerdoti di Ammone e i re eletti dai generali libici, la Valle del Nilo era stata di nuovo ricomposta in unità politica sotto l’autorità dei Re di Etiopia” .

Non erano sicuramente dei barbari, anzi, si possono considerare “campioni di uno stretto e puro concetto della vecchia civiltà egizia; ma per il fatto che la capitale da cui essi governavano era a Napata, in Nubia, forzatamente estranei alla vita politica quotidiana del paese” .

Primo re riconosciuto della XXV dinastia fu Pi(ankh)y (Piye, o anche Pi) che, dal 747 a.C., proseguì nelle conquiste territoriali in Alto Egitto e prese Tebe sotto la sua protezione;
qui nominò la propria sorella Amenardis I quale Divina Sposa di Amon, conferendole in tal modo un potere simile a quello regale sull’area tebana.
Per far fronte all’invasione di Pi(ankh)y al sud, il re Tefnakht, della XXIV dinastia settentrionale creò una coalizione che comprendeva Eracleopoli ed Ermopoli, ma lo scontro vide vittorioso.
Pi(ankh)y che narrò la vicenda in una stele monumentale fatta erigere nel tempio di Amon a Gebel Barkal.
«Sua Maestà mandò a dire ai suoi generali che erano in Egitto, al comandante Puarma, al comandante Lamerskeny e ad ogni capitano di sua Maestà: “Avanzate in formazione da combattimento, attaccate battaglia, accerchiatelo, assediatelo! Catturate le sue genti, il suo bestiame, le sue navi! Impedite ai contadini di lavorare, impedite agli aratori di arare! Assediate il nomos della Lepre e combattete contro di lui ogni giorno»
Stele della vittoria: Piankhi – Museo del Louvre. Particolare della stele.
Piankhi (sulla sinistra, parzialmente raschiato) compare onorato da quattro governanti.
WIKIPEDIA

L’eccessiva libertà goduta dai principi delle varie città, sotto i sovrani libici, rese molto “difficile per loro il giungere a rifondere in una unità non soltanto politica ma anche sentimentale il paese” .

La frammentazione politica dell’Egitto alla fine del nuovo Regno conduce inesorabilmente alla costituzione di un reame autonomo in Nubia: Il regno di Kush.

Tomba di Harwa
Con i suoi quattromila metri di estensione è uno dei monumenti funerari più vasti mai realizzati da un privato cittadino nell’antico Egitto. Le ricerche in corso stanno anche rivalutando l’epoca dei “faraoni neri” sotto il profilo artistico e culturale. I rilievi della tomba sono eseguiti in uno stile che richiama quello dell’Antico regno, dal quale si distaccano per i lineamenti più marcati dei visi e per un trattamento più luminoso dello spazio.

Il re kushita Piankhi, approfittando della debolezza degli Stati settentrionali riesce a annettersi l’alto Egitto e ammettere sotto la propria influenza i sovrani che regnano sul delta, dando così inizio alla venticinquesima dinastia.

Vista aerea delle piramidi nubiane di Meroe

Durante gli anni del dominio kushita, quasi 100, si effettua un recupero della cultura egizia più antica, la quale trae ispirazione soprattutto dall’arte del Medio Regno.

I sovrani kushiti della XXV dinastia si fecero inumare in tombe piramidali nella necropoli della loro capitale Napata, oggi nel Sudan settentrionale.
Panorama delle piramidi nubiane, Meroe. Tre di queste sono state ricostruite.

Tebe, dove già il ritorno al passato aveva avuto manifestazioni nella precedente epoca, si può considerare il centro di tale rinascita.

Nella statuaria privata, lo stile e le forme auliche si accompagnano ad una forte caratterizzazione dei tratti fisionomici. I ritratti dei sovrai “improntati a una maggiore astrazione , lasciano invece trasparire i caratteri somatici tipici della razza nubiana” .

FONTE:

  • ARTE EGIZIA-SERGIO DONADONI-GHIBLI
  • ANTICO EGITTO-MAURIZIO DAMIANO-ELECTA
  • L’ANTICO EGITTO-LEONARDO ARTE
  • ARCHEOLOGIA VIVA
  • WIKIPEDIA
XXV Dinastia

SHEPENWEPET II

Sposa Divina di Amon

Di Francesco Alba

XXV Dinastia, Regno di Piye (747 – 716 a.C.)
Grovacca e doratura.
Museo Egizio del Cairo
(Acc. Nr. JE 59870)

Questa statua che raffigura Shepenwepet II, figlia di Piye, sovrano kushita appartenente alla Venticinquesima Dinastia, era in origine completamente dorata per evidenziarne la condizione divina.

Subito dopo avere affermato la sua autorità su Tebe, Piye dispose che Shepenwepet fosse accolta all’interno dei ranghi delle Spose Divine di Amon, presso il tempio di Karnak. A causa di questo ruolo prestigioso ella è qui raffigurata mentre indossa la corona con le doppie piume del dio Amon e il disco solare racchiuso fra corna di vacca.
La statua fu scoperta nel 1933 nelle pertinenze del tempio funerario di Ramses III, presso Medinet Habu.

Il termine “Sposa Divina di Amon” (hemet netjer nt Imen) è attestato per la prima volta all’inizio del Nuovo Regno nella forma di una carica religiosa che Ahmose I (1550 – 1525 a.C.) aveva attribuito alla sua sposa, Ahmose Nefertari. In seguito divenne strettamente associato al titolo di “Divina Adoratrice” (dwat – netjer) che fu portato dalla figlia del Primo Sacerdote di Amon sotto Hatshepsut (1473 – 1458 a.C.) e dalla madre della Grande Sposa Reale durante il regno di Tuthmosi III (1479 – 1425 a.C.), anche se la sua importanza a quel tempo si era alquanto ridotta.

A partire dal regno di Amenhotep III (1390 – 1352 a.C.) e fino alla fine della Diciottesima Dinastia non vi è evidenza di donne appartenenti alla famiglia reale titolari dell’ufficio di Sposa Divina di Amon.

Compito della Sposa Divina era quello di interpretare la parte di consorte di Amon nelle cerimonie religiose, in questo sottolineando la credenza che i re fossero concepiti dall’unione tra Amon e la Grande Sposa Reale.

Il titolo “Mano del Dio” era anche talvolta usato in riferimento all’atto di masturbazione compiuto da Atum mediante il quale questi avrebbe generato Shu e Tefnut. In tal senso la Mano di Atum era quindi considerata di natura femminile. Durante la Diciannovesima Dinastia (1295 – 1186 a.C.) il titolo fu reintrodotto, ma la sua importanza era meno evidente rispetto ai periodi più antichi. Alla fine della Ventesima Dinastia, tuttavia, Ramses VI (1143 – 1136 a.C.) conferì a sua figlia Isis un titolo ibrido che combinava quello di Sposa Divina di Amon e quello di Divina Adoratrice, creando in questo modo quello che diventerà un ufficio fortemente politicizzato. Il titolo fu, da quel momento in poi, conferito alla figlia del re che, in qualità di sacerdotessa, avrebbe detenuto un grande potere sia religioso che politico nella città di Tebe.

Le sarebbe stato precluso il matrimonio, imposto l’obbligo di castità e avrebbe dovuto adottare la figlia del successivo sovrano in qualità di erede del suo ufficio sacerdotale. In questo modo il re cercava di assicurarsi il mantenimento del potere in Tebe e di impedire alle figlie maggiori di appoggiare eventuali rivali pretendenti al trono. La Sposa Divina era in effetti il più prominente membro di un gruppo di “concubine di Amon”, tutte vergini e tutte obbligate ad adottare quelle che sarebbero subentrate loro. Durante la Venticinquesima e Ventiseiesima Dinastia (747 – 525 a.C.), la Sposa Divina e l’erede da lei adottata giocarono un importante ruolo nel trasferimento del potere regio. Questo ufficio fu talvolta combinato con quello di capo delle sacerdotesse di Amon.
Una misura della ricchezza e dell’influenza di queste donne è riscontrabile nella costruzione di una “tomba con cappella” da parte di Amenirdis I, sorella del re Shabaqo (716 – 702 a.C.) della Venticinquesima Dinastia, all’interno del recinto del tempio di Medinet Habu.

Riferimenti:

  • B. Alm. Women of Power and Influence Nile Magazine (19). April-May 2019
  • I. Shaw, P. Nicholson The British Museum Dictionary of Ancient Egypt The American University in Cairo Press – 1995
Nubia, XXV Dinastia

IL SOGNO DEI FARAONI NERI

I Kushiti sul trono d’Egitto

A cura di Stefano Argelli

LA NASCITA DELLA XXV DINASTIA

La nascita e sviluppo della XXV dinastia egizia nubiana, da vassalli a faraoni del Basso e Alto Egitto.

Siamo nel Terzo periodo intermedio. Mentre in Egitto il caos stava prendendo il sopravvento, tra la fine della XXII dinastia e l’inizio della XXIII; (la XXIV dinastia comprende solo due sovrani, di cui solo uno citato, Boccori) l’Egitto in questo periodo era diviso in tanti principati, a volte comprendenti anche una sola città. In più c’era il problema dell’espansione a est dei temibili Assiri. la Nubia esce dal mutismo dei testi e ci restituisce un nome (grazie a un documento posteriore): il sovrano adesso è Alara (ca. 780-760 a.C. , che sarà l’antenato venerato di una lunga successione di sovrani neri.

Cartiglio di Alara, così come appare nella stele di Nastasen di epoca molto posteriore 335-315-310 a.C. la stele in granito è alta 163 cm. È stata ritrovata a Dongola, ora al museo di Berlino. Nastasen é l’ultimo sovrano Kushita a essere sepolto nel cimitero reale di Napata. La tomba sotto alla sua piramide è invasa dalle acque. Potrebbe essere intatta.
Piramide di Nastasen a Nuri. Un sito di circa 70 ettari.

Di Alara sappiamo poco. Fondatore del potere kushita nella dinastia reale Napatan ed è stato il primo principe di Nubia registrato. Unificò tutta l’Alta Nubia da Meroë alla Terza Cataratta.

Sua moglie è la regina Kasaqa; sua figlia Tabiry divenne la moglie del re Piye? . Sepolto nella tomba di Kurru (el Kurru) 9 (?); sua moglie Kasaqa a Kurru 23.

A lui successe il fratello Kashta (il Kushita” ca. 760-747 a.C) anche di lui si sa ben poco.ma sufficiente a far luce sulla situazione storica. Le sue armate avanzarono verso nord e nella stele di Elefantina egli appare come “Re dell’Alto e Basso Egitto” parte della titolatura, la lingua e lo spirito religioso sono ormai quelli dei sovrani egizi. La sua avanzata non deve far pensare ad una azione di guerra. Probabilmente il tutto fu già concordato tra casa reale, clero di Napata e sacerdoti tebani. La sovranità del re non dovette mai superare Assuan. Kashta non fece altro che riempire il vuoto di potere in Alto Egitto e il bisogno, da parte dei sacerdoti tebani di Amon, di avere le spalle coperte, possibilmente da un re lontano che non potesse indagare troppo a fondo sugli affari e le ricchezze del clero. Da anni il clero delle due città sacre, Napata e Tebe, dovevano essere in contatto e potevano aver pianificato l’azione; inoltre ormai da secoli le truppe egizie erano in larga parte formate da nubiani. Kashta arrivò così a Tebe senza lotte e fu accolto da un popolo egiziano che acclamava il difensore della fede. (Non dimentichiamo che nelle nuove leggende Gebel Barkal “la montagna pura, era considerata la vera sede di Amon); il clero fu ben felice di ratificare le cariche del sovrano, chiedendone formalmente la protezione.

Il sito archeologico di El-Kurru (scavato da George Resner) circa un secolo fa… 1918-19 si trova sulla riva orientale del fiume Nilo, 20 km a sud della città di Karima. Era il cimitero reale di Napata e contiene i resti di decine di tombe: Pianky, Kashta, Shabaka e Tawentamani. Le tombe più antiche risalgono al IX° secolo a.C. e venivano solamente coperte con un tumulo o una pietra. Le piramidi iniziarono a essere costruite con la XXV° dinastia di Re Pianky o Piye . La maggior parte delle piramidi si è sgretolata e l’unica che è possibile ancora ammirare appartiene a un Re sconosciuto risalente al 360 AC.
Situla bronzea recante i cartigli di Amenardis I e di Kashta. Walters Art Museum Baltimora.
Statue in granito dei sovrani kushiti nubiani della 25a dinastia, VII secolo aC, al Museo di Kerma (Alta Nubia, Sudan settentrionale). Da sinistra a destra: Faraoni Tantamani, Taharqa, Senkamanisken, Tantamani, Aspelta, Anlamani e Senkamanisken.

PIYE (PIANKHY)

Inizia con Piye la XXV dinastia dei faraoni neri. Anche se Kashta non fu investito di tutti i titoli dei re egizi, aveva posto le basi per la nascita di una dinastia nubiana; se ne tornò più che soddisfatto a Napata, dove morì nel 751 ca. a.C.

A lui successe suo figlio Piye (Piankhy) (751-716 aC). Egli iniziò conquistando gran parte dell’Egitto già nel suo primo anno di regno e anche questa volta la conquista fu incruenta: essa era infatti legittimata dal fatto che Amenardis I , sorella di Piye, fosse la “Divina Adoratrice di Amon”, la più alta carica nel clero femminile di Amon (carica imposta precedentemente al clero da Kashta al suo arrivo in Egitto).

Conquistato gran parte dell’Egitto, Piye tornò a Napata, per regnare pacificamente sulla Nubia. Dell’Egitto sembra gli importasse poco o nulla . Dopo 20 anni di regno, lo troviamo ancora nella sua capitale regnare tranquillo. Forse non si sarebbe neppure mosso, se non fosse stato chiamato proprio dagli Egizi; evidentemente i sacerdoti non avevano dimenticato il patto di protezione stipulato con Kashta.

Il patto venne invocato perché il principe Tefnakht, della città di Sais nel Delta, decise di riunificare l’Egitto, ormai ridotto a un universo di piccoli regni locali, marciando con le sue truppe alla volta di Tebe.il clero e gli ufficiali tebani inviarono degli ambasciatori sino a a Napata, ricordando a Piye che a lui era stata attribuita la titolatura completa dei re egizi. Era l’atto di nascita ufficiale del primo faraone nero e della XXV dinastia regnante sull’Egitto.

Grande e imponente stele di granito con un piano arrotondato che misura 180 cm per 180 cm di altezza e 43 cm di spessore, per 2300 kg di peso è ora conservata nel Museo del Cairo.
“Ascolta cosa ho fatto per superare gli antenati. Io sono il re, la rappresentazione di dio, l’immagine vivente di Atum, che uscì dal grembo contrassegnato come sovrano, che è temuto da quelli più grandi di lui, il cui padre sapeva e la cui madre percepì anche nell’uovo che avrebbe sii sovrano, il buon dio, amato dagli dei, il Figlio di Ra, che agisce con le sue due braccia, Piye, amato da Amon….
Il documento più importante é forse della XXV dinastia è questa stele, che narra le vicende della guerra di liberazione dell’Egitto del faraone nubiano. Nella lunetta si vede Amon in trono(1) dietro cui sta la sua sposa Mut “dama d’isheru(2) davanti alle divinità in piedi a danneggiata vediamo la figura di Piye(3) cui rendono omaggio”le spose del re”(4) il re Nermud che porta un cavallo in dono(5) Per terra, in atto di sottomissione, troviamo tutti i grandi d’Egitto, il re Osorkon, faraone legittimo e nominalnente sovrano d’Egitto(6) il re Auapet(7) il re Peftjauauibastet(😎 ,il principe ereditario Petisis(9)il conte Patjenefi,(10 il conte Pmui,(11)il gran capo dei Ma” Akanosh(12),il gran capo dei Ma” Djedsmenef ankh,(13) in basso segue l’inizio del testo.

In questo disegno sono presenti anche i Ma”; chi sono i Ma”?

Meshwesh (spesso abbreviati in egiziano antico come Ma ) erano un’antica tribù libica di origine berbera proveniente da oltre la Cirenaica . Secondo le iscrizioni nei geroglifici egiziani , i Libu e i Tehenou/Tehenu abitavano questa zona.

I primi documenti sui Meshwesh risalgono alla XVIII dinastia egizia dal regno di Amenofi III . Durante le dinastie 19th e 20th (c. 1295 – 1075 aC), i Meshwesh erano in conflitto quasi costante con lo stato egiziano. Durante la fine della XXI dinastia , un numero crescente di libici di Meswesh iniziò a stabilirsi nella regione del Delta occidentale dell’Egitto. Alla fine avrebbero preso il controllo del paese durante la fine della XXI dinastia, prima sotto Osorkon il Vecchio . Dopo un interregno di 38 anni, durante il quale i re egiziani nativi Siamun e Psusennes II salirono al trono, il Meshwesh governò l’Egitto per tutto il22a e 23a dinastia sotto potenti faraoni come Shoshenq I , Osorkon I , Osorkon II , Shoshenq III e Osorkon III . 

Fatto sta che Piye dopo vent’anni trascorsi nelle sua amata e pacifica Nubia si mosse. Abbiamo la fortuna di seguire le vicende grazie alla grande stele fatta incidere dal sovrano e ritrovata a Gebel Barkal. La stele racconta con parole dettate dal re, come il Delta fosse caduto nelle mani di Tefnakht e come proseguisse la sua avanzata verso sud con un esercito numeroso. I principi fedeli a Piye mandavano messaggi ogni giorno aggiornandolo sul peggiorare della situazione; anche Nemrod principe di Ermopoli in Medio Egitto, era passato dalla parte di Tefnakht.

Piye si rivelò un abile stratega e un grande comandante del suo formidabile esercito. Quanto alla politica egizia, non si può dire che Piye non avesse le idee chiare: se già l’aveva dimostrato in guerra, dimostrò ancor più in tempo di pace che poco o nulla gli importava dell’Egitto. Infatti sconfitto Osorkon IV, l’ultimo pretendente al trono, Piye assunse la piena titolatura come re dell’Alto e Basso Egitto, oltre che della Nubia; poi confermò tutti i principi e reucci nelle loro cariche e se ne tornò nella sua Napata.

Stupisce tale comportamento da parte chi aveva in mano l’Egitto e un esercito potente e avrebbe potuto conquistarsi un impero come ai tempi dei dei grandi faraoni. Ma la stele ci mostra un uomo pio e devoto e dobbiamo pensare che il saggio re preferisse la pace della Nubia, con un popolo dedito alla alla vita quotidiana e felice di servire il re è Amon, piuttosto che un Paese in decadenza, dove l’attività principale era il complotto. Piye era intervenuto per liberare la città di Amon, Tebe, è l’aveva fatto avendo anche eliminato il pericolo che qualcuno fosse ancora tentato dall’impresa. Così ottenuti i solenni giuramenti di fedeltà da quei reucci che aveva reinsediato sui loro troni, se ne tornò a casa. I nobili ringraziarono Piye, ma appena il re voltò le spalle, dimenticarono tutto e ricominciarono a brigare per allungare le mani su tutto l’Egitto.

Il faraone nero non aveva nessuna intenzione di lasciarsi disturbare da quei piccoli uomini e sapendo Tebe al sicuro, lasciò i nomarchi a macerarsi nei loro veleni e non lasciò mai più la sua Napata, dove visse in pace gli ultimi dieci anni di vita.

Questa forse per l’Egitto fu un’occasione mancata, perché quel grande sovrano avrebbe potuto ridargli una parte dell’antica dignità e potenza.

SHABAKA

Proseguiamo a narrare la storia dei faraoni neri;(XXV dinastia ca.751′ 653 a.C.) tenendo sempre come riferimento il libro del Prof. Damiano. A Piankhi non succedette il figlio ma il fratello Shabaka, come era stato per Alara e Kashta, perché a differenza dei faraoni egizi, quelli di Kush non si succedevano secondo le regole dell’eredità paterna; il nuovo sovrano veniva scelto dal precedente e spesso fu un fratello del re defunto, poi l’altro è così via.. finché la corona tornava sulla fronte di uno dei figli del primo re. Ciò era dovuto al fatto che i successori dovevano assicurare la loro provenienza regale attraverso la madre, che doveva essere la sorella del re, è quindi la monarchia era matrilineare, praticata in Nubia sino al Medioevo preislamico. La decisione finale comunque spettava al clero di Amon, mentre l’esercito la doveva ratificare; il nuovo faraone doveva poi ringraziare Amon e il suo clero, con un pellegrinaggio indispensabile per la cerimonia di incoronazione: il trionfale corteo partiva da Napata o da Meroe ( secondo l’epoca e la capitale del momento) e visitava le quattro località sacre al dio: Gebel Barkal, Tore,Kawa e Pnubs.

Cuore del paese kushita e impero kushita della XXV dinastia egizia, circa 700 aC.

A Pijye quindi successe il fratello Shabaka, dal 716 al 702, seguito da Shabataka , figlio di Piye ,che regnò dal 702 al 690 a.C. a essi però mancava la saggezza del fondatore della XXV dinastia, che gli aveva suggerito di sviluppare la Nubia e lasciar perdere l’Egitto. Shabaka trasferì la capitale a Tebe, ma a differenza di Piye, Shabaka amava potere, battaglie e sangue. In più gli mancava la pietà dimostrata dal fratello: riconquisto tutto il paese e riservò a uno dei re indipendenti, Bocchoris, figlio e successore di Tefnakht , una atroce fine lo bruciò vivo. Inoltre non contento di un impero che andava dal delta, sino si deserti della Nubia, cominciò a stuzzicare il pericoloso (come oggi) Medio Oriente.

Iniziò a tramare cospirazioni coi reucci di Siria e Palestina, ai danni dell’Assiria: ogni occasione era buona per una rivolta, una protesta, attentati ma anche qui le apparenze erano salve: gran sorrisi e ambascerie cariche di doni si scambiavano fra i sovrani dei due Paesi, mentre sotto sotto le cose andavano altrimenti. L’Assiria era un osso troppo duro per i Nubiani e se Shabaka scampò a una brutta fine perché morì prima, il nipote Shabataka pagò il prezzo.di una politica spregiudicata.

Rilievo di un consorte divino, periodo tardo, c.780-656 aC (arenaria)
Fitzwilliam Museum, University of Cambridge, UK
Cucchiaio cosmetico a forma di ragazza che balla, da una tomba a Sanam, Nubia, Epoca tarda, c.747-702 aC (maiolica smaltata in maiolica)
Ashmolean Museum, University of Oxford, UK

Shabataka. l’Assiria alla conquista del il vicino Oriente.È passato un po’ di tempo dal post precedente sull’argomento, ma meglio tardi che mai 😉Buona domenica.Quando l’assiro Sennacherib decise di conquistare il vicino Oriente, si trovò davanti una coalizione (in cui non doveva essere estraneo l’Egitto) che cadde ben presto, come le città di Samaria e Giudea. Il re di Giuda pagò a Sennacherib il tributo richiesto, ma l’Assiro, incassata la somma di 300 talenti di argento e 30 d’oro, pose comunque l’assedio a Gerusalemme, che era però ben difesa. A questo punto Shabataka uscì allo scoperto, inviando un’armata comandata da un giovane di vent’anni, fatto venire dalla Nubia assieme ad altre truppe di fiducia: suo fratello Taharqa. Sennacherib non tremò troppo; la Bibbia riporta le sue parole, rivolte al re della terra di Giuda: 《E adesso, su chi poni la tua fiducia, per esserti rivoltato contro di me? Ecco che ti sei posto sotto la protezione dell’Egitto, questa canna spezzata che perfora e penetra la mano di chiunque vi si appoggi : tale è il faraone re d’Egitto, per chiunque si appoggi a lui》Senza un miracolo l’esercito assiro avrebbe spazzato via quello nubiano; Taharqa, assieme a Gerusalemme, fu fortunato, perché pare che il miracolo ci fu.La versione della Bibbia dice che Javeh inviò degli angeli a uccidere 185.000 soldati assiri; un’altra versione di Erodoto narra dell’invasione di una miriade di topi,che mise a terra l’esercito assiro, rosicchiando le corde degli archi e cinghie di carri e scudi, ecc; qualunque sia la verità sappiamo che i due eserciti non si incontrano e che gli Assiri dovettero battere ritirata per cause non militari. Tra le varie ipotesi si può pensare ad un’epidemia di peste, o a una rivolta improvvisa a Babilonia.L’appuntamento col destino era solo rimandato.

SHABATAKA

L’Assiria alla conquista del il vicino Oriente.

Quando l’assiro Sennacherib decise di conquistare il vicino Oriente, si trovò davanti una coalizione (in cui non doveva essere estraneo l’Egitto) che cadde ben presto, come le città di Samaria e Giudea. Il re di Giuda pagò a Sennacherib il tributo richiesto, ma l’Assiro, incassata la somma di 300 talenti di argento e 30 d’oro, pose comunque l’assedio a Gerusalemme, che era però ben difesa.

A questo punto Shabataka uscì allo scoperto, inviando un’armata comandata da un giovane di vent’anni, fatto venire dalla Nubia assieme ad altre truppe di fiducia: suo fratello Taharqa. Sennacherib non tremò troppo; la Bibbia riporta le sue parole, rivolte al re della terra di Giuda:

《E adesso, su chi poni la tua fiducia, per esserti rivoltato contro di me? Ecco che ti sei posto sotto la protezione dell’Egitto, questa canna spezzata che perfora e penetra la mano di chiunque vi si appoggi : tale è il faraone re d’Egitto, per chiunque si appoggi a lui》

Senza un miracolo l’esercito assiro avrebbe spazzato via quello nubiano; Taharqa, assieme a Gerusalemme, fu fortunato, perché pare che il miracolo ci fu.

La versione della Bibbia dice che Javeh inviò degli angeli a uccidere 185.000 soldati assiri; un’altra versione di Erodoto narra dell’invasione di una miriade di topi, che mise a terra l’esercito assiro, rosicchiando le corde degli archi e cinghie di carri e scudi, ecc; qualunque sia la verità sappiamo che i due eserciti non si incontrano e che gli Assiri dovettero battere ritirata per cause non militari. Tra le varie ipotesi si può pensare ad un’epidemia di peste, o a una rivolta improvvisa a Babilonia.

L’appuntamento col destino era solo rimandato.

XXV dinastia ca. 715-656 a.C.
Mis: cm 29,7×15,5 legno dipinto.
Cleveland Museum.

L’elevata domanda di shawabty nel periodo tardo, un’epoca in cui nella tomba con il defunto venivano collocati fino a 400 o più shawabty, diede origine a un contenitore specializzato per conservarli: la shawabty box. Questo esempio è inscritto per la padrona di casa, Ditamenpaankh, ed era probabilmente uno di una coppia originariamente realizzata per lei. La barca unialbero sul coperchio della scatola è forse un’allusione al pellegrinaggio del defunto alla città santa di Abydos, la città di culto di Osiride, re dei morti. Gli shawabty all’interno sono esempi grezzi prodotti in serie fusi in uno stampo aperto. Realizzati in terracotta, la loro vernice blu imita shawabtys più costosi fatti di maiolica. Per quanto riguarda l’incantesimo shawabty, è stato rimosso dalla sua posizione tradizionale sul davanti dello shawabty e riposizionato sui lati della scatola, dove doveva essere scritto solo una volta

Pendente oro e ametista, XXV Dinastia, ca. 700 a.C. Mis: cm 3,5×2,9×2,7
Cleveland Museum

Questo ciondolo è composto da due parti: una testa di leone superbamente scolpita in ametista che è stata incastonata in una base d’oro a forma di D composta da una piattaforma circondata da otto babbuini seduti. La testa di leone è un cimelio del Nuovo Regno, molto probabilmente un pezzo da gioco che era stato adattato nel periodo Napatan per servire come amuleto pendente. Questa procedura era abbastanza comune nell’antichità come mezzo per riciclare pietre preziose. L’importanza delle divinità leonine nella religione nubiana è stata ovviamente la forza motivante dietro la creazione di questo spettacolare ornamento

TAHARQA il grande costruttore 690-664 a.C.

Nel 689 a.C. Taharqa succedette a Shabataka, forse perché questi gli lasciò il potere o forse ( secondo il greco-egizio Manetone) perché accelerò la dipartita del fratello assassinandolo.(dibattuto) da ciò che sappiamo di lui, sembrerebbe che fosse un sovrano amante della pace, a giudicare dagli immensi lavori che fece compiere da un capo all’altro del suo impero: troviamo il suo nome dal Basso Egitto sino a Tebe e ancor più in Alta Nubia: Tabo, Kawa,Sanam, o Gebel Barkal, che volle trasformare anche architettonicamente in una controparte di Karnak.

Statua di Amon come ariete che protegge Re Taharqa in Gneiss granitico.
Dimensioni: cm106x63x163 British Museum Londra

I primi anni di regno furono di pace e prosperità, da un testo si sa che l’Egitto era tornato florido a causa di piogge abbondanti in Nubia, (sesto anno di regno?) con relativa piena eccezionale. Questo testo è molto importante come sottolineava il nostro Prof Damiano qualche giorno fa; (argomento da sviluppare col Prof.) perché su tremila anni di letteratura egizia, è il solo documento che da una spiegazione scientifica della piena. Vista la situazione politica nel vicino Oriente il re si trasferisce a Tanis nel Delta.

La Sfinge di Taharqa è una scultura datata circa 680 aC,È stata trovata durante gli scavi archeologici dall’egittologo britannico Francis Llewekkyn Griffith all’interno del ” Tempio T ” di Kawa, precisamente nell’area “E” della parte sud-occidentale del tempio, situato nella regione della Nubia, nel sud dell’Egitto e nel nord del Sudan. Anticamente questa località faceva parte del Regno di Kush.
Nel 1932 la Sfinge fu acquisita dal British Museum di Londra (Gran Bretagna), dove entrò a far parte della sua collezione d’arte all’interno del dipartimento dell’Antico Egitto e del Sudan. Si tratta di una scultura rotonda o autoportante che rappresenta la figura di una sfinge , cioè un essere mitologico che presenta il corpo di un leone e la testa di una persona umana. Il corpo del leone è rappresentato sdraiato, si nota come le zampe anteriori siano distese in avanti, mentre le zampe posteriori siano raccolte. Si vede anche come la coda del leone sia appoggiata sulla coscia destra Il volto della sfinge nette in risalto gli occhi a mandorla delineati da fini incisioni. Il naso è piatto e largo, mentre le labbra sono spesse. Da notare che la sfinge mette in risalto i tratti del viso del faraone, rivelando la sua origine africana.
Descrizione: Ha un’altezza di 40 cm e una lunghezza di 73 cm. È realizzato in granito, utilizzando la tecnica dell’intaglio. Nella parte superiore della testa, sulla fronte, è rappresentato il doppio cobra di ureo (rappresentazione della dea Wadjet in forma di cobra eretto). Il doppio cobra ureo è considerato l’insegna reale dei re di Kush.
Si apprezza anche come sul petto sia presente il cartiglio con il nome del faraone scritto in scrittura geroglifica. l’intera scultura poggia su un piedistallo rettangolare realizzato con lo stesso granito utilizzato per realizzare la scultura

Da Tanis Taharqa cominciò a pensare a quell’Asia che non aveva potuto gustare e cominciò anche lui a fomentare rivolte contro gli Assiri. Assarhaddon, successore di Sennacherib, dopo le campagne consecutive contro le città ribelli si dedicò sull’Egitto, sconfiggendo continuamente le armate di Taharqa e spingendosi sino a Menfi; qui caddero nelle sue mani i figli e le figlie di Taharqa, assieme al suo harem e tutti i suoi averi. Assarhaddon dichiarò di aver estirpato la razza etiope dall’Egitto, ma in realtà aveva solo conquistato il Delta. Il faraone nubiano si era rifugiato a sud, mentre i principi egizi, compreso quello di Tebe, pagavano un tributo all’Assiria. Assarhaddon soddisfatto tornò indietro. Ma Taharqa ritornò alla carica immediatamente, appena gli Assiri si ritirarono, e riuscì a sollevare i principi egizi. Così Assarhaddon tornò indiretto alla volta dell’Egitto, ma ancora una volta avvenne il miracolo: il re assiro morì per la strada è gli succedette il figlio Assurbanipal, che pensò innanzi tutto agli affari interni.

Così il faraone godette di almeno tre anni di pace, fin quando nel 666, Assurbanipal ripensò sull’Egitto e vi inviò un esercito, le sue armate coquistarono l’Egitto; Taharqa fuggì a Tebe, ma questa volta l’Assiro arrivò sino alla città santa e il re nubiano dovette fuggire nella sua terra natia; pare che Tebe fosse risparmiata.

La parabola di Taharqa era giunta al termine. Quando gli Assiri si ritirarono scoppiarono altre rivolte in Egitto, immediatamente domate, da Assurbanipal questa volta cambiò tattica: non solo graziò i capi della sollevazione, ma uno dei due, Nekao, fu rinviato a Sais, la sua città, carico di doni; inoltre il re assiro nominò il figlio Psammetico principe di Athribis nel Delta. Riguardo a Taharqa le iscrizioni ci dicono che da Menfi e Tebe veniva ancora considerato il faraone legittimo, ma non tornò più al nord. Passò gli ultimi anni (probabilmente solo due) nella sua tranquilla Nubia dove si fece costruire una piramide che inaugurò la nuova necropoli di Nuri,vicino a Napata.

Splendido santuario con bellissimi rilievi in arenaria eretto dal faraone Taharqa nella corte del Tempio di Amon a Kawa (Sudan-Nubia)
Ashmolean Museum, University of Oxford, UK.
(Sicuramente merita un approfondimento)

La fine della vita di questo grande faraone e restauratore è un mistero: forse morì a Napata e fu sepolto nella sua piramide di Nuri; in questo caso le centinaia di statuette funerarie ritrovate nella sepoltura ne testimonierebbero l’utilizzazzione. La mancanza del corpo e del resto del corredo funerario sarebbero dovuti ai saccheggi, che non hanno risparmiato nessuna sepoltura. Taharqa concluse la sua vita con la sconfitta, ritirandosi nella Nubia. L’avventura dei faraoni neri in Egitto era quasi alla fine. Tirando le somme Taharqa aveva lasciato un regno i cui confini corrispondevano a quelli trovati da da Piye.

L’ULTIMO TENTATIVO: TANUTAMON 664-653 a.C

Statua di Tanwetamani, re di Kush in granito nero Questa statua fa parte di una serie di re di Kush in stile egiziano arcaico. Le statue furono rotte durante un’incursione egiziana nel 591 a.C. circa e successivamente seppellite con cura. Fotografia per gentile concessione della missione archeologica svizzera franco-sudanese di Kerma/Dukki Gel (Sudan).
Museo Nazionale del Sudan

Il posto di Taharqa fu preso da Tanutamon (in nubiano Tanwetamani), secondo alcuni figlio di Shabataka, secondo altri di Shabaka.

Seguiamo la sua breve storia attraverso un documento trovato a Gebel Barkal, “la stele del sogno di Tanutamon“.

Essa narra che il primo anno 《del suo levarsi come Ra’, Sua Maestà vide nella notte un sogno: due serpenti, uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra》 Al risveglio il sovrano domandò delucidazioni ai saggi, che gli spiegarono come si trattasse del Paese del Sud (la Nubia) e di quello del Nord (l’Egitto), destinati a essere entrambi nelle sue mani.

Gioioso per il presagio il re andò a Gebel Barkal e fece le consuete offerte ad Amon di Napata; adesso era pronto per l’impresa.

S’imbarcò con il suo esercito e ridiscese il Nilo senza incontrare alcuna resistenza in Alto Egitto, poiché gli Assiri non vi avevano lasciato truppe. A Menfi invece i principi del Delta vollero battersi e persero; come il suo antenato Piye, anche Tanutamon si precipitò al tempio di Ptah, si purificò e fece offerte agli dei. Quindi ordinò che si costruisse un palazzo reale a lavoro ultimato, si recò nel Delta per abbattere i principi fedeli all’Assiria (in realtà fedeli solo a se stessi, poiché erano praticamente indipendenti) ma 《essi entrarono entro le loro mura come serpenti che sono dentro i loro buchi. Sua Maestà passò numerosi giorni ad aspettarli, ma non uscì uno di loro a combattere con sua Maestà》 Tanutamon se ne tornò a Menfi, nel nuovo palazzo reale; la stele racconta che li vennero i principi a fare atto di sottomissione: il sovrano era raggiante e andò a vedere i principi che aspettavano davanti alla porta. 《Li trovò stesi sul loro ventre che baciavano la terra davanti a lui. Disse Sua Maestà:”la predizione è verità. Il Sogno si é realizzato: è l’ordine di Dio che si é realizzato”

La stele termina con il racconto dei principi che rientrano alle loro città inviando sono e essendo sottomessi come schiavi.

Testa di Amun in quarzite marrone scuro incisa sul pilastro posteriore con il nome di Horus di Tanewatamani
Ashmolean Museum Oxford.

La testa di un ariete di Amon nel nome del re Tanoutamon (25a dinastia).Un sistema di clip sul retro ha permesso di appenderlo alla barca processionale di Amon. Data664-656 Bronzo Dimensioni: Altezza: 17,0 cm; Larghezza: 9,6 cm Collezione Museo del Louvre.

Purtroppo per Tanutamon la storia è ben diversa, in quanto ciò che la stele narra è solo la prima parte e si capisce che il re si sia ben guardato dal raccontare la seconda. L’Assiria infatti, non rimase a guardare: i suoi eserciti piombarono sul re nubiano e l’obbligarono a una rotta precipitosa; Tanutamon si rifugiò a Tebe ma gli Assiri l’obbligarono alla fuga in Nubia e questa volta senza risparmiare la città santa.

Dopo millenni di storia gloriosa, era la fine della grande Tebe dalle cento porte. In Egitto il regno di Amon era caduto per srmpre.il mondo antico fu talmente scosso dalla crudele distruzione che la Bibbia cita quel disastro come esemplare. Il profeta Nahum dice infatti:

《Sei tu migliore di No-Amon [Tebe] che stava in mezzo ai Nili [Nilo e i suoi canali], circondata dalle acque? Il suo baluardo era un mare,un mare la sua muraglia. L’Etiopia [antico nome della Nubia] aveva una potenza illimitata, così come l’Egitto. Puth [Punt,sul Mar Rosso] e i Libici erano i suoi ausiliari. Eppure anch’essa è partita in deportazione. Lei se n’è andata prigioniera; i suoi bimbi sono stati schiacciati agli angoli di tutte le vie; hanno tirato a sorte i suoi notabili e tutti i suoi grandi sono stati caricati di catene.

Finiva Tebe: terminava un’epoca. Il Sogno egizio dei faraoni neri era stato spezzato per sempre.

Tanwetamani (secondo il nome nubiano), da rifugiato in Nubia, cominciò a vedere le cose con occhio diverso; e divenne re. Non più il conquistatore, né il guerriero-imperatore, solo re. Abbandonato per sempre il sogno di conquista dell’Egitto, restava restava pur sempre il sogno dei faraoni neri, quello di un regno di pace, prospero e duraturo. Tanwetamani e i suoi successori si ripiegarono sulla Nubia, dedicandosi alla sua organizzazione e alla sua stabilità; con successo, visto che il loro regno crollò solo nel IV sec d.C. più di mille anni dopo la morte di Tanwetamani, un record ancora oggi invidiabile.

Tanwetamani morì verso il 653 a.C e si fece Seppellire a El Kurru (Ku16), località che ormai ospitava tutti i re della XXV dinastia escluso Taharqa.

Esterno ed interno dell’entrata della tomba di Tanwetamani, necropoli di ElKurru

El-Kurru modello 3D di Franck Monnier

Le pareti sono state imbiancate e la decorazione realizzata con un’applicazione piatta di pittura, le linee guida dell’artista rosso sono ancora molto visibili. Nessuna parte delle pareti è scolpita. A causa di allagamenti e frane, l’arredo è andato perso ad un’altezza variabile, tra 0,60 me 1,60 m. La tomba non era stata completata, alcuni disegni e geroglifici erano stati completati solo come bozzetti. Alcuni colori non hanno resistito al tempo, motivo per cui numerose parti in nero o in blu sono oggi scomparse. È particolarmente vero per alcune parrucche, che originariamente erano di colore lapislazzuli, come i capelli degli dei, e che oggi sono bianche. Il nero degli occhi è particolarmente mal conservato. La composizione generale è semplice, con scene di benvenuto nell’anticamera e con scene più strettamente funerarie nella camera funeraria. La carnagione delle sagome obbedisce al rigoroso canone egiziano classico (che gli egiziani dell’epoca avevano tuttavia in gran parte abbandonato), con la pelle degli uomini rosso scuro e quella delle donne gialla, quasi paglierina. Il contorno dei personaggi è realizzato in giallo, e non in nero, come ci si aspetterebbe. Quelli dei geroglifici sono in rosso. La qualità delle rappresentazioni è media, che appare rigida e misurata, lontana dalle rappresentazioni tebane del secolo scorso. La grande dimensione dei personaggi è simile a quanto realizzato per i figli di Ramesse III nella Valle dei Re. Ma lì, la scarsità dei temi è stata comunque compensata da una bella qualità tecnica, che qui manca.

Fonti: