Di Piero Cargnino

Per quale ragione Cheope abbandonò la necropoli reale di Dashur non ci è dato a sapere, probabilmente perché non vi era più spazio né per il grande complesso che aveva in mente di costruirsi né disponibilità sufficiente di calcare per la sua costruzione ma ancor più forse perché i suoi architetti avevano sondato il suolo presente a Dashur riscontrando che la struttura scistoargillosa del fondo avrebbe compromesso la stabilità della piramide. La scelta cadde dunque su Giza dove un grande sperone roccioso, costituito da roccia calcarea, dall’altopiano si affaccia sulla Valle del Nilo.
L’incombenza di curare la costruzione Cheope l’affidò al suo grande architetto Hemiunu, visir, architetto e sacerdote, di cui abbiamo già parlato nell’introduzione. Fu lui a scegliere la piana di Giza che offriva sia un sottofondo stabile, che una abbondante quantità di calcare di ottima qualità per la costruzione della piramide, che da quasi 5000 anni domina le propaggini rocciose del deserto libico.

Il sito si trova all’inizio del Deserto Occidentale e misura 1,5 per 2 km con un dislivello verso sud-ovest di circa 40 metri. Il suolo su cui poggia la piramide sovrasta di circa 40-50 metri il livello del Nilo in modo tale da offrire una maggiore imponenza all’edificio.
In origine la piana non era proprio piana, si presentava parecchio accidentata con una naturale pendenza di circa 5 gradi. Hemiunu fece dapprima spianare il sito prescelto e, grazie all’immenso lavoro di sbancamento degli operai egiziani, l’altopiano di Giza venne trasformato in una piana dal fondo roccioso e adatto a sopportare il peso che si sarebbe accumulato con la costruzione della piramide. Un simile intervento, con tutte le difficoltà che deve avere rappresentato per un popolo che non conosceva la ruota ne la carrucola, non può che stupirci almeno quanto la costruzione della piramide stessa.
Il sito venne spianato per fornire una superficie pressoché orizzontale; ma non completamente. Studi approfonditi hanno confermato che la piramide incorpori una collinetta di 10–15 m. di altezza dal livello di base perimetrale.

Se a questo aggiungiamo che al di sotto della piramide si trova una camera inferiore non ultimata, si è portati a credere che la piramide sia stata costruita sopra una più piccola piramide o una mastaba preesistenti.
Oggi le fondamenta della piramide presentano un dislivello di circa 2 centimetri, ma tenuto conto del catastrofico terremoto del 1301 a.C., si può tranquillamente pensare che in origine la piramide fosse perfettamente livellata. E veniamo ora alla Grande Piramide vera e propria. Per coloro che ancora non lo sapessero precisiamo che il termine “piramide” è un nome d’origine incerta, deriva dal greco pyramis che significa letteralmente “della forma del fuoco”, ovvero simile a quella della fiamma, larga alla base e terminante a punta, ed è un nome col quale i greci chiamavano un tipico dolce di farro e miele, di forma appuntita.

Secondo alcuni il nome deriverebbe invece dall’assonanza del termine greco con il nome egizio per-em-us, (ciò che va in alto), termine che compare nel Papiro matematico di Ahmes, meglio noto come il Papiro di Rhind, per indicare l’altezza della piramide.

Al contrario delle piramidi dei faraoni che seguirono Micerino, costruite con materiali più scadenti che non hanno resistito più di tanto al passare dei secoli, quelle precedenti, nonostante abbiano affrontato terremoti, e siano state oggetto di saccheggi e devastazioni di ogni tipo, addirittura ridotte a cave di pietra, ancora si presentano più o meno in tutta la loro magnificenza grazie all’uso del calcare al posto dei mattoni di fango del Nilo che saranno utilizzati successivamente anche perché più economici. Il celebre egittologo Mark Lehner ha individuato a circa 300 metri a sud-est della costruzione la cava dove venivano estratti i blocchi di calcare.
<< Questo è il disegno della più straordinaria creazione architettonica che io abbia mai visto e non credo che sia possibile superarla >>,
esclamò Johann Wolfgang von Goethe quando, nel 1787 a Roma, vide il disegno della Grande Piramide tracciato dal viaggiatore francese Louis Cassas. La Grande Piramide, la prima delle sette meraviglie del mondo antico e l’unica giunta fino a noi, un antico detto arabo recita:
“L’uomo teme il tempo, ma il tempo teme le piramidi”.
E le piramidi sono ancora lì. Per ora!. Fin dall’antichità hanno affascinato numerosi autori storici quali Erodoto, Strabone, Diodoro, Plinio e molti altri.
<<……..è attraverso opere come queste che gli uomini ascendono agli dei, oppure gli dei vengono giù dagli uomini……..>>
affermò Filone di Bisanzio nel III secolo a.C. Ora sul fatto che fosse o meno la tomba di Cheope non intendo pronunciarmi, ma sentiamo cosa ne pensavano gli antichi storici, Strabone di Amasea, nel suo “Geographia”, al cap. XVII, 1,33, racconta:
<<………Una è appena più grande dell’altra e in alto, quasi a metà di una faccia, reca un masso estraibile; rimuovendolo, c’è un budello sinuoso che porta fino alla camera mortuaria………>>.
Diodoro Siculo, che si recò in Egitto intorno al 60 a.C., descrive le piramidi nel suo Bibliotheca Historica affermando che:
<<………. la più grande delle tre piramidi fu eretta in onore del secondo faraone della IV dinastia che alcuni hanno riportato come Cheops, Sufis o Khufu……….>>.
Con tutti i dubbi che ci possono essere, con tutte le obiezioni avanzate da molti, noi continueremo a chiamarla come viene chiamata da millenni, la Piramide di Cheope.

Come ci siamo chiesti nell’introduzione, in quanti anni fu costruita? Sappiamo dalle “Storie” di Erodoto di Alicarnasso, del quale però va detto che non è considerato una fonte del tutto affidabile per l’antico Egitto, che occorsero 10 anni per costruire la rampa processionale e 20 per costruire la piramide.

Plinio come Diodoro Siculo parlano di 20 anni. E’ interessante la testimonianza di Diodoro Siculo che afferma che la costruzione della piramide durò 20 anni ma aggiunge che il lavoro è stato possibile grazie all’uso di “terrapieni” che crescevano con la piramide agevolando così la messa in opera dei blocchi non avendo a disposizione macchine in grado di sollevare i blocchi di costruzione, l’idea non sarebbe da scartare.

Diodoro però esprime inoltre la sua perplessità sul fatto che, data l’imponenza che dovevano avere i “terrapieni”, non sia rimasta alcuna traccia del materiale usato per i terrapieni ne quello di risulta del lavoro di levigatura dei blocchi attorno alla piramide. Conclude con una bella espressione:
<<…….sembra che la piramide sia stata collocata in quel luogo, in mezzo alla sabbia, “dalla mano di un Dio”…….>>.
Diodoro racconta che la piramide era ancora in ottime condizioni quando la vide ad eccezione della parte superiore che non presentava più il pyramidion ma una piattaforma di 6 cubiti (circa 3 metri). C

ome già accennato nell’introduzione, i 2.500.000 blocchi di roccia calcarea avrebbero dovuto essere sistemati in opera al ritmo di uno ogni 4 minuti circa, giorno e notte per tutti i 20 anni. Per la precisione si stima che di tutti i blocchi utilizzati nella costruzione il 90% circa di essi sia dell’ordine di 1 metro cubo, con peso variabile tra 800 e 1200 kg., l’8% da 1 a 3 metri cubi, pesanti 2,5 – 4 tonnellate.

Tutti questi blocchi sono di calcare mentre per la Camera del Re, le Camere di Scarico e la Grande Galleria sono stati impiegati enormi monoliti di granito del peso variabile da 25 fino ad oltre 80 tonnellate estratti dalle cave di Assuan e trasportati via fiume e qui perfettamente lavorati e levigati.

Ma il grosso del lavoro consisteva nell’impilare i blocchi, le piramidi dovevano essere costruite a strati dal basso verso l’alto. Nessuno sa con certezza come questi blocchi venissero sollevati.
E’ doveroso fare un accenno a quanto emerso dopo i lavori eseguiti dal team di scienziati del progetto egiziano-internazionale ideato e guidato dall’Università del Cairo e dai francesi del HIP (Heritage Innovation Preservation) ScanPyramids. Il progetto mirava a scansionare le piramidi e rilevare eventuali anomalie termiche che avrebbero rivelato la presenza di vuoti e strutture interne sconosciute.
In effetti la scansionatura della piramide ha dato risultati sorprendenti, nella piramide esisterebbero numerosi “vuoti”. Le cavità che gli scienziati di ScanPyramids hanno rilevato dentro la Piramide di Cheope non sono una nuova scoperta secondo il famoso egittologo Zahi Hawass, ex Ministro delle Antichità. << La piramide è piena di buchi già noti, e comunque non è corretto parlare di nuovi passaggi o camere segrete, ma solo di anomalie o cavità…….>>.

Certo che se, come afferma Hawass, la piramide è piena di buchi viene spontaneo pensare che i blocchi non siano più 2.500.000, cosa che ridurrebbe i tempi di costruzione di non poco.
Ma ora torniamo al problema del reperimento, trasporto e sistemazione dei blocchi. Come detto sopra alcuni esperti ritengono che gli egiziani li trascinassero sulla sabbia facendoli scorrere su grossi tronchi di legno, o su slitte trainate da decine di persone, per poi salire lungo enormi rampe di sabbia per arrivare a sistemarli al loro posto. Le teorie delle rampe sono molte, vediamone alcune delle principali.
- La rampa diritta: consisteva in una lunga rampa che partendo dagli strati inferiori veniva completata, a mano a mano che il livello saliva, in altezza a di conseguenza in lunghezza. Con questo tipo di rampa si presenterebbe un problema non indifferente. La pendenza non avrebbe dovuto essere eccessiva, altrimenti le pur forti braccia umane non avrebbero potuto trascinare massi di quel peso, peggio se per lubrificare la pista veniva sparso limo viscido del Nilo, i massi avrebbero facilmente potuto scivolare verso il basso trascinando pure gli operai. Quindi la rampa avrebbe dovuto avere una leggera pendenza, gli esperti la calcolano intorno al 10% al massimo. Fatti due calcoli, con quella pendenza, per arrivare a 146 metri di altezza, la rampa avrebbe dovuto essere lunga oltre un miglio (poco meno di 2 chilometri), costruita con materiale robusto per sopportare il peso, il suo volume sarebbe stato almeno tre volte superiore a quello della piramide.
- Una rampa che si snodava poggiando su una faccia della piramide procedendo a zig zag per ridurre la pendenza (no comment).
- La rampa avvolgente che partendo dalla cava di pietra a sud-est proseguiva lungo i lati della piramide, in questo caso, oltre al volume enorme che avrebbe comportato bisogna considerare la complessità per gli operai nel curvare ad ogni angolo.
- La rampa a spirale interna, questa prevedeva una rampa esterna per il primo 30% della piramide, quindi sarebbe proseguita con una rampa interna fatta di pietra che sarebbe servita per portare i blocchi ai livelli superiori, in questo caso il problema è più complesso e preferisco non addentrarmi.



Va precisato e non trascurato che l’impiego di rampe, siano esse diritte che avvolgenti deve aver creato un altro grosso problema, la successiva rimozione di tutto il materiale delle rampe il cui volume, come detto, non era certo trascurabile e del quale non esiste traccia.

Abbiamo parlato di rampe per mezzo delle quali gli operai potevano salire trascinando i blocchi di calcare. Su questo punto ci sarebbe ancora una riflessione da fare, immaginiamo che per trascinare blocchi da 1 a 4 ton, occorressero almeno dieci persone, ci troveremmo di fronte ad una processione di squadre che, a breve distanza l’una dall’altra, salgono la rampa con il loro blocco ma nel frattempo un’altra processione di squadre di operai che, dopo aver depositato il blocco devono scendere. Tenendo sempre presente il ritmo con il quale i blocchi dovevano essere sistemati al loro posto: uno ogni quattro minuti circa, dobbiamo immaginare che la rampa avrebbe dovuto avere una larghezza tale da permettere il traffico di andata e ritorno degli operai. Le rampe diventavano quindi ancora più massicce con un volume di materiale enorme per la loro costruzione, più salivano e più dovevano espandersi in lunghezza ed in larghezza. Se pensiamo che il materiale di cui erano formate le rampe era sabbia e ghiaia queste necessitavano di sponde rigide di materiale più robusto (pietre) per fare da argine.


Torniamo ai nostri operai che stanno trascinando i loro blocchi di calcare. Dopo aver trascinato i blocchi fin sotto la costruzione, ed eseguito le operazioni di rifinitura, gli operai dovevano sollevare e trascinare i blocchi in sito, spostarli fino a farli combaciare e se questi ancora non combaciavano alla perfezione procedere ad una ulteriore rifinitura, a questo punto devono necessariamente aver fatto ricorso ad un ingegnoso sistema di leve decisamente robuste, non a semplici pali di legno. Racconta Erodoto nelle sue “Storie”:
<<…..quando si giunse a tal punto della costruzione, le rimanenti pietre furono sollevate con macchine fatte di “legni corti” (!). Venivano sollevate da terra sul primo ordine, da dove venivano tratte su un altro ordine con un’altra macchina. Le macchine erano altrettante quanti erano gli ordini dei gradini……..>>.


E’ evidente che, la costruzione di una “macchina” in grado di sollevare massi di quel peso, fatta con “legni corti” (?), presenta non poche difficoltà, pensare poi di averne una per ogni ordine, già di per se, presuppone conoscenze e disponibilità di mezzi non indifferenti anche tenuto conto che in Egitto il legname da costruzione era un materiale del tutto assente e per procurarlo occorreva organizzare spedizioni in Libano.
Se pensiamo a tutti questi problemi da affrontare viene spontaneo chiedersi: ma in realtà quanto tempo ci volle per costruire la Grande Piramide? Stuart Kirkland Wier del Denver Museum of Natural History, sul “Cambridge Archaeological Journal”, (aprile 1996), ha ipotizzato che la piramide abbia richiesto circa 23 anni di lavoro, il che cambia poco rispetto a quanto affermato dagli storici greci. L’esecuzione dell’opera ci porta ad immaginare un immenso cantiere, anzi più di uno.

Le cave dovevano brulicare di operai, alcuni intenti a staccare i grandi massi dalle pareti della cava, altri a spezzare questi blocchi per renderli più maneggevoli, altri ancora a procedere alla sgrossatura dei massi più piccoli ricavati dalla frantumazione di quelli più grandi. Intorno ferveva un lavorio di persone intente alla preparazione dei blocchi per il traino, squadre che partivano cariche ed altre che tornavano pronte a ripartire. Un altro grosso cantiere, sicuramente più di uno, doveva trovarsi nei pressi della piramide dove altre squadre di operai scalpellini rifinivano i blocchi secondo la forma necessaria per incastrarli gli uni con gli altri, di qui poi partivano le squadre che salivano le rampe.

C’è da chiedersi che tipo di organizzazione doveva essere in grado di coordinare il tutto. Occhio, stiamo parlando solo delle operazioni pratiche direttamente rivolte alla sistemazione dei blocchi. E’ stato stimato che, per la piramide di Cheope, fossero necessarie non meno di 20-25.000 persone che lavoravano in turni di lavoro alternati. A questo punto dobbiamo porci un altro problema importante, la logistica. La logistica doveva innanzitutto provvedere alla sistemazione dei blocchi in arrivo evitando grossi depositi che avrebbero intralciato il lavoro, fabbricare nuovi utensili da lavoro e riparare quelli rotti nel minor tempo possibile, coordinare il ricambio della turnazione delle squadre, ma non solo, gli operai dovevano anche mangiare, bere, riposarsi, fare i loro bisogni, squadre di medici dovevano essere pronte per ovviare ai numerosi infortuni che si saranno verificati, portatori o portatrici d’acqua rifornivano gli operai, donne, e forse anche uomini, dovevano confezionare quel poco di abbigliamento per tutti.

Ed a tutto questo doveva provvedere un’altra organizzazione non certo meno importante di quella della costruzione della piramide. Nelle campagne doveva svolgersi un febbrile lavoro di semine e raccolti, molte persone dovevano curare la preparazione del cibo per sfamare tutta quella gente, e sul fatto che questi venissero ben nutriti non ci sono dubbi, il corpo di un operaio doveva essere perfetto per poter svolgere il proprio duro lavoro (altro che schiavi malnutriti frustati e maltrattati). Un bel lavoro, che ne dite?.
Teniamo conto inoltre che la piramide non è un solido pieno, un mucchio di pietre perfettamente sistemate ma pur sempre solo un mucchio di pietre. Ma invece non è così, a complicare le cose va detto che, come si sa, la piramide di Cheope al suo interno cela un intricato sistema di cunicoli ascendenti e discendenti, la Grande Galleria, la camera della Regina e quella del Re dalle quali si dipartono obliquamente due “condotti di aerazione” per ciascuna camera, inoltre sulla camera del Re si innalzano le “camere di scarico”.

Di recente si è parlato dell’esistenza di un’ulteriore camera situata sopra alla Grande Galleria. Tenuto conto di quanto detto dal famoso egittologo Zahi Hawass, capo del progetto ScanPyramids per conto del Ministero egiziano delle Antichità, la Grande Piramide sarebbe piena di vuoti. Dieter Arnold, autore del libro ‘Building in Egypt: Pharaonic Stone Masonry’, ha menzionato degli spazi vuoti nella piramide dovuti alle tecniche di costruzione e questi si troverebbero sopra l’ingresso che porta al corridoio discendente e sopra tutti i passaggi, inclusa la Grande Galleria. Il team del progetto ScanPyramids ha pubblicato un video sul lavoro svolto dove emergono chiare le due cavità scoperte nel 2016. Hawass ha aggiunto:
<< Pensiamo che il Ministro delle Antichità Khaled El-Enany abbia nominato questo comitato scientifico per riesaminare questo lavoro, perché è importante che questi dati vengano rivisti da una squadra che ha trascorso la propria vita lavorando all’interno e intorno alle piramidi >>.
Abbiamo parlato dei costruttori della piramide, penso sia il caso di spendere due parole per quei poveri diavoli che ci hanno lavorato. Plinio e Diodoro Siculo concordano nell’affermare che per la costruzione occorsero non meno di 360.000 uomini che lavoravano a turno per 20 anni. Erodoto racconta che gli operai impiegati erano 100.000 che lavoravano con turni trimestrali. Oggi molti studiosi pensano che fossero necessarie non meno di 20-25.000 persone che lavoravano a turno.

Comunque sia, e mi ripeto, a costruire la piramide sono stati gli operai egiziani, da sfatare e considerare falso il fatto che a costruirla siano stati degli schiavi oltretutto maltrattati. La manodopera specializzata, in primis, lavorava tutto l’anno in piena libertà mentre la manovalanza era costituita dai fellàhin (contadini di bassa estrazione) che nel periodo dell’alluvione (luglio-settembre), e non solo, prestavano la loro opera a pagamento per il lavoro svolto. Ovvio che il lavoro era durissimo e pericoloso e la sicurezza era quello che era, la disciplina era massima e non bisognava sgarrare, il coordinamento di una massa simile di lavoratori, come già detto, doveva essere molto complessa e non ci si poteva permettere errori. Certo non ricevevano l’accredito sul conto corrente ma erano stipendiati con derrate alimentari, vestiario e quant’altro occorresse alla loro famiglia.

Ora che abbiamo precisato quanto doveroso nei confronti del popolo egizio, torniamo ad esaminare le difficoltà che sono state affrontate per portare a termine un lavoro così mastodontico. Il grosso del lavoro non si limita ai massi di 1 o 4 ton., se teniamo conto che la Grande Galleria, la camera del Re e le camere di scarico sono fatte con blocchi di granito il cui peso varia dalle 70 alle 80 ton. dobbiamo fermarci a riflettere. La costruzione comportava che tutti i vuoti interni della piramide crescessero con la piramide stessa, pertanto era necessario procedere all’allestimento delle varie camere e gallerie interne con i blocchi di granito in contemporanea con la posa in opera dei massi di calcare. Questo ci porta all’ovvia interpretazione che ciascun blocco di calcare necessitava sicuramente ancora di una ulteriore rifinitura in loco per potersi adattare perfettamente ai ciclopici blocchi di granito.
Se vogliamo fermarci a riflette un attimo e pensare ai blocchi da 40 fino a 70 tonnellate della “camera del re”, non possiamo fare a meno di constatare che le suddette operazioni appaiono ai limiti della fisica costruttiva. Una ponderata riflessione ci porterebbe a considerare che gli egizi, all’epoca del faraone Cheope, non sarebbero stati in grado di realizzare una simile costruzione perché non vi erano le condizioni tecniche e tecnologiche necessarie per costruire un’opera colossale di quel tipo in soli 20 anni ma forse anche in molti di più.
Il ricercatore indipendente, dott. Diego Baratono afferma, nella sua opera, che << per estrarre, lavorare, ruotare, capovolgere, spostare sulle slitte, trasportare verso la piramide, poi affrontare la rampa inclinata, arrivare alla quota prevista, posizionare con precisione millimetrica blocchi dal peso di 1 ton. fino a 4 ton,, il tutto senza l’ausilio nemmeno della più rudimentale carrucola, diventa un’operazione da sottoporre ad un attento studio di fattibilità >>.
Come abbiamo potuto constatare il lavoro si presentava assai complesso e non di facile esecuzione, ma la piramide c’è e qualcuno deve pur averla costruita. Per il momento accontentiamoci di prenderne atto limitandoci a considerare ciò che ci dicono gli egittologi accademici senza però trascurare di gettare un occhio anche alle teorie dei “piramidioti” (definizione leggermente offensiva comunque non mia), che spesso tanto idioti poi non lo sono. Adesso proviamo ad iniziare dal lavoro nelle cave dove venivano estratti e scolpiti i blocchi sia di calcare che di granito. Secondo alcuni studiosi le pietre necessarie per la costruzione sarebbero state ricavate utilizzando dei cunei di legno infissi in appositi fori e poi successivamente bagnati in continuazione in modo che dilatandosi spaccassero la roccia, possibile sia nel calcare che nel granito, questo è stato dimostrato.

Bene, a questo punto però si trovavano di fronte a degli enormi massi dalle forme più varie che necessitavano di essere ulteriormente ridotti. Massi che presentavano notevoli irregolarità per cui occorreva un duro lavoro di scalpellatura per ottenere dei massi sufficientemente squadrati, pressappoco delle dimensioni volute, circa un metro cubo. Questi poi venivano trasportati nel cantiere dove venivano perfettamente levigati in modo da poterli far combaciare con gli altri. E qui stiamo parlando di calcare, reperibile in tutta la piana di Giza (ad esclusione del calcare di Tura che si trova a circa 25 km di distanza), definito semiduro nella scala di Mohs (di grado 3-5).

Faccio una breve parentesi per chi non la conoscesse, la Scala di Mohs è un criterio empirico per la valutazione della durezza dei materiali e fu ideata dal mineralogista tedesco Friedrich Mohs nel 1812, in essa vengono elencati i minerali secondo il loro grado di durezza progressivamente da 1 a 10, il primo minerale della serie è il talco l’ultimo il diamante.

I massi di calcare, del peso variabile da 800 kg. a 4 ton. cadauno, costituiscono il 97% di tutto il materiale usato. Avendolo sperimentato personalmente vi garantisco che è già un’impresa lavorarlo con scalpelli di duro acciaio temprato, al vanadio o addirittura widia, percossi con mazzette di acciaio forgiato da 1,5 chilogrammi. Ricordiamo che, a quanto ci risulta dai reperti gli antichi egizi disponevano, al più, di scalpelli in bronzo, indurito addizionando arsenico allo stagno ed al rame, che percuotevano con i famosi mazzuoli di legno (!). Con tali attrezzi avrebbero sgrossato e lisciato due milioni e mezzo di blocchi di calcare.




Ma ora passiamo al granito il cui grado di durezza varia da 5 a 7 nella scala di Mohs; di granito sono fatti i massi più grossi pesanti dalle 20 alle 70-80 ton. perfettamente squadrati e levigati a tal punto che nelle interconnessioni tra un masso e l’altro non ci passa un foglio di carta.

Va ricordato che con l’enorme quantità di pietra lavorata in tutto l’Egitto, dalla preistoria ad oggi, da centinaia di migliaia di operai, gli attrezzi ritrovati, scalpelli e martelli, non sono poi così tanti come si potrebbe supporre ma soprattutto sono sempre e solo in rame o bronzo, per non parlare poi dei martelli che come detto erano in legno o tutt’al più in pietra.

Di ferro non se ne parla, come noto a tutti in Egitto il ferro era praticamente sconosciuto, so già che qualcuno è pronto a ribattere che non è vero perché la lama del famoso pugnale trovato nella tomba di Tutankhamon era di ferro, lo dicono tutti gli studiosi. Certo che era di ferro ma non di quello trovato nelle miniere come oggi, quello utilizzato per il pugnale era di ferro meteoritico, non certo abbondante in natura. Per chi è inesperto il ferro meteoritico è quello delle meteoriti cadute in Egitto come altrove, si distingue dal ferro comune in quanto consiste in una lega di ferro e nikel.



I minerali più comuni dai quali si può estrarre il ferro che tutti conosciamo, tramite lavorazioni specifiche, sono la pirite, l’ilmenite e la goethite. In natura si può trovare solo come ossido di ferro quali la magnetite e l’ematite. Sia il minerale che l’ossido di ferro, ancorché fossero stati in grado di trovarlo, gli egizi non avrebbero potuto lavorarlo in quanto non erano ancora in possesso della tecnologia necessaria a raggiungere, nei loro forni, temperature così alte da fonderlo (1538°). Quel poco ferro meteoritico che lavoravano veniva scaldato a temperature raggiungibili coi loro forni, 700-800 gradi, poi battuto, si ma con cosa? (mazzuoli di legno o con pietre dure?). Lascio a voi ogni considerazione.
Per la cronaca il ferro naturale arrivò in Egitto portato dagli Ittiti che si imposero intorno al 1300 come nuova superpotenza della zona grazie a due innovazioni belliche fondamentali: le armi in ferro ed il cocchio da guerra. Non pensate però che sia finita li, sugli egizi, ed in particolar modo sulle loro colossali costruzioni, non finiremo mai di stupirci. Tornando al lavoro intorno alla piramide per mezzo delle rampe, non possiamo non pensare che trascinare fin lassù gli enormi blocchi di granito per poi farli combaciare con quelli di calcare con precisione maniacale parrebbe inspiegabile.
I GEOPOLIMERI
Proviamo ad esaminare un’ipotesi che forse è balzata alla mente anche di alcuni di voi. Si tratta tutt’altro che di un’ipotesi da “piramidiota” ma bensì un’ipotesi che nella sua stranezza non è del tutto da scartare e che (personalmente) ritengo molto interessante. Lo scienziato francese Joseph Davidovits, studioso della scienza dei materiali, sulla fine degli anni 70, ha formulato l’ipotesi che i blocchi di calcare non siano di pietra scolpita ma di un composto di polimeri inorganici detti “geopolimeri”.

Formato da una miscela di allumino e silicati (sabbie silicee presenti nel deserto egiziano), soluzione alcalina (calce aerea) ed eventuali additivi, l’impasto genera una reazione chimica che lo fa indurire, a temperatura ambiente, simile a quella del calcestruzzo.
Secondo Davidovits il composto veniva poi “gettato” all’interno di appositi casseri (stampi costruiti in legno) riutilizzabili della forma dei massi. In questo modo, con l’utilizzo di numerosi casseri contemporaneamente, si sarebbero potuti realizzare numerosi blocchi tutti insieme lavorando in più punti della costruzione con un notevole risparmio di tempo e di lavoro; una cosa è trascinare blocchi pesanti su di una rampa, altro è trasportare ceste colme di impasto. Dopo alcuni giorni era possibile rimuovere i casseri e procedere oltre.
A puro titolo personale, possedendo una breve esperienza di edilizia, ed avendo lavorato al Servizio Elettrico Nazionale, posso dire che questa è in effetti la tecnica usata, più in grande, con casseri enormi e con il calcestruzzo, nella costruzione delle dighe di sbarramento per le centrali idroelettriche. Sono pertanto del parere che l’ipotesi sia interessante ancor più di quella delle rampe con la differenza che ridurrebbe notevolmente i tempi di costruzione con una fatica immensamente inferiore.


Michel Barsoum, scienziato e ricercatore americano di scienze dei materiali, sostenitore della tesi di Davidovits, utilizzando una microscopia elettronica a scansione su campioni di blocchi della piramide, ha scoperto che al loro interno sono contenuti composti minerali e bolle d’aria che non si dovrebbero trovare nel calcare naturale. Penso sia inutile dire che il Mainstream accademico non ha accettato il metodo di Davidovits nonostante oggi il composto di “geopolimeri” sia ormai diffuso. (Personalmente sto approfondendo l’argomento).
Durante un mio viaggio a Giza ho osservato direttamente da vicino la superficie dei massi della piramide e debbo confessare che l’ipotesi non mi pare poi così assurda. (opinione personale).


Ovvio che con questo metodo non si spiega comunque come vennero issati fin lassù gli enormi blocchi di granito da circa 80 ton. che formano la Grande Galleria, la Camera del Re e le Camere di scarico, questi sono veramente in duro granito ma riflettendoci possiamo dire che, comunque siano arrivati fin lassù i blocchi di granito, con la tecnica dei geopolimeri si trattava solo più di far aderire la malta ai blocchi.
Il vertice della piramide doveva consistere in un appariscente pyramidion che si evidenziasse per la sua magnificenza. Il suo peso stato stimato sarebbe stato di circa 7 ton. di puro granito completamente rivestito d’oro così da essere visto da molto lontano per il riflesso dell’intensa luce del sole. Secondo alcuni studiosi invece la cima della piramide è sempre stata piatta e su di essa ci fosse un tempietto o qualcosa di comunque vistoso. Questo non lo sapremo mai.
LE TEORIE
Dopo aver analizzato le attrezzature, gli strumenti ed i mezzi di cui disponevano gli antichi egizi, a parer mio e di molti, del tutto inadeguati ad eseguire lavori del genere, ci si chiede, ma allora come hanno fatto a costruire un’opera così imponente? Non lo so! E il bello è che non lo sa nessuno.
Teorie ce ne sono a iosa sia “maggiori” che “minori”. Abbiamo parlato delle rampe, dove, avvalendosi di slitte, rulli, leve, corde, palanchini e quant’altro gli operai avrebbero trascinato i grossi massi, ma, alla luce dei problemi che questo avrebbe comportato, non possiamo affermare con certezza che sia una di queste la soluzione. Altro elemento, la cui importanza è fondamentale, è appunto la lavorazione dei massi di calcare ma ancor più quelli di duro granito di cui ne abbiamo parlato nel precedente articolo.
Ci sono molte altre teorie definite “minori” se non addirittura “eretiche” o fantascientifiche. Le esamineremo evitando inutili commenti, che non porterebbero alcun giovamento, ma nel pieno rispetto di chi le ha formulate e nelle quali crede.
La prima è quella dello storico greco Erodoto di Alicarnasso, di cui abbiamo già parlato, che racconta dei “corti tronchi di legno” senza chiarire bene come questi venissero usati ne dove sarebbero stati reperiti.
L’architetto francese Jean-Pierre Houdin ha proposto una teoria che parla di rampe interne al corpo della piramide. Nel 2007 presentò una sua teoria realizzata con un sistema in 3D che usufruiva di un software della Dassault System per mezzo del quale giunse alla seguente conclusione:
<< In un primo momento sarebbe stata costruita una rampa esterna con la quale sarebbero stati completati i primi 43 metri. Da qui, la realizzazione di una seconda rampa all’interno della piramide, larga 1,8 metri e con una pendenza del 7%, avrebbe permesso il sollevamento dei blocchi sino in cima (?) >>.

Audace e intrigante nello stesso tempo, l’ipotesi di Houdin rimane non dimostrata, un egittologo dell’UCL (University College of London) l’ha definita “inverosimile e orribilmente complicata”. Secondo l’amico Arch. Marco Virginio Fiorini l’idea di base principale è quella di aver previsto la costruzione di una “piramide interna” più piccola da cui fare il tracciamento volumetrico senza il quale è impossibile costruire in modo regolare. Anche questa è una teoria interessante, personalmente la ritengo un tantino azzardata. Ci tengo a sottolineare che queste teorie possono anche dimostrare come si sia potuto procedere ma entrambe prescindono dal fattore tempo, non dimentichiamo che i blocchi sono sempre circa 2,5 ml.
Un breve accenno alle teorie cosiddette “eretiche” ma che spesso ci inducono a riflettere. Una di queste, proposta in numerose varianti, è quella di una civiltà precedente. Cito quella formulata da Michael A. Cremo il quale sostiene che gli esseri umani hanno vissuto sulla Terra per milioni di anni prima di noi. Nel suo libro “Archeologia proibita”, Cremo sostiene l’esistenza dell’uomo moderno sulla Terra da 30 a 40 milioni di anni fa (e questi si sarebbero estinti senza lasciarci nulla della loro presenza sulla Terra se non le piramidi?. Inutile dire che gli studiosi tradizionali hanno criticato le sue opinioni definendolo uno pseudoscienziato.
Ora passiamo dalle antiche civiltà scomparse agli extraterrestri, o alieni come preferite. Non mi dilungherò sull’argomento già sufficientemente trattato da scrittori e studiosi quali Alford, Sitchin, Bauval, Hancock, Wilson, Von Daniken ed altri i cui testi sono facilmente reperibili.

Torniamo ora alla Piramide che, con i suoi 230 metri circa per lato di base, forma un quadrato quasi perfetto, (la differenza è di pochi cm.), si innalza verso il cielo per 146 metri con un’inclinazione di 51° 50′ circa.
Le sue facce sono perfettamente allineate coi punti cardinali. In origine possedeva un rivestimento in calcare bianco che copriva tutte e quattro le facciate costituito da 115.000 pietre lucidissime, ciascuna del peso di circa 10 tonnellate. Il rivestimento in parte si staccò, molto probabilmente a causa del violento terremoto del 1301 a.C., il restante venne staccato dai cavatori di pietre, ed i blocchi vennero utilizzati per la costruzione di edifici del Cairo.
Per quanto riguarda le facce della piramide, Maragioglio e Rinaldi hanno verificato che le 4 facce non sono piatte come ci si potrebbe aspettare, ma, ad un occhio attento, si presentano concave, cosa che era già stata evidenziata da Edgar P. Jacobs.

Secondo l’arch. Fiorini la concavità delle facce sarebbe stata volutamente creata per ragioni soprattutto statiche e, perché no, anche estetiche. Per quanto riguarda quelle statiche rimando alla lettura del suo libro, mentre per quelle estetiche c’è da dire che la concavità delle facce mette effettivamente in risalto gli spigoli. Questa tecnica permette di valorizzare la forma geometrica, evitare l’effetto spanciamento, che appesantirebbe tutta la costruzione oltre che a camuffare eventuali irregolarità delle facce.

Finora abbiamo parlato di altezza e lunghezza dei lati della piramide ma certamente qualche lettore un po’ più esperto si starà ponendo un’altra domanda, come veniva tracciato il piano della base? Un edificio di 146 metri deve poggiare su un piano perfetto, ma gli egizi non possedevano ancora le moderne livelle a bolla d’aria.

Questo no, ma gli architetti egizi, già più di 4000 anni prima che l’ingegnere, fisico e matematico fiammingo, Simon Stevin, nel 1585 dimostrasse la sua teoria, conosciuta oggi come la teoria dei “vasi comunicanti” secondo la quale un liquido contenuto in uno o più recipienti comunicanti fra loro (o in un unico recipiente), in presenza di gravità, si dispone perfettamente sullo stesso livello sempre in piano perfetto. Quindi, prima di iniziare il primo piano di massi sicuramente scavarono un canale tutt’intorno alla base della piramide e lo riempirono d’acqua. Utilizzando la superficie dell’acqua come riferimento diventava molto semplice tracciare il piano dell’edificio.
Un’altra cosa da tenere in conto è che gli egizi conoscevano già la squadra a 90 gradi ed il filo a piombo per sistemare in modo perfetto ciascun masso.

Ora affrontiamo un altro problema: chi ha lavorato alla costruzione della piramide? Il mito che alla costruzione fossero impiegati migliaia di schiavi è da sfatare, nato forse da una forzata interpretazione del racconto biblico. L’Egitto dell’Antico Regno non faceva guerre, gli scontri militari si limitavano a respingere i nomadi libici o nubiani, a parte qualche scaramuccia con i beduini del Sinai, non si ventilava alcun pericolo. Un popolo che non è in guerra difficilmente possiede schiavi, a meno che non riduca il suo popolo in schiavitù, cosa da escludere nel modo più assoluto in Egitto di quell’epoca.

Nel II libro delle sue “Storie”, Erodoto non cita mai la parola schiavi, ma descrive:
<<……….un lavoro estremamente duro da parte di lavoratori oppressi……..>>.
Personalmente trovo la parola “oppressi” eccessivamente dura, anche se ovviamente non venivano trattati coi guanti, certamente non venivano frustati o maltrattati, come ci fanno vedere i grandi film Hollywoodiani. E’ interessante apprendere che questi operai e artigiani erano talmente rispettati che quando uno di loro moriva sul lavoro (e non erano pochi) veniva seppellito con tutti gli onori nella enorme ed intricata necropoli vicino alla piramide. ma non solo, nella piana di Giza si è scoperto di recente il “Villaggio degli Artigiani”, i veri costruttori delle piramidi e della necropoli a loro dedicata.

Un problema ulteriore si presentava al sovrano quando decideva di farsi costruire una piramide, il costo. Questo doveva essere interamente affrontato dalle casse dello Stato (che poi era il faraone). Il costo era notevole, certo il faraone non doveva acquistare il materiale lapideo in quanto egli era il padrone assoluto, doveva però sobbarcarsi il costo di allestire una flotta di navi per eventuali spedizioni in Libano per procurarsi il legname necessario. Ma il costo più alto era quello della mano d’opera, gli operai bisognava mantenerli, dissetarli, procurare le vettovaglie necessarie per loro e le loro famiglie, compreso il vestiario e le calzature, insomma un costo al quale non era possibile sottrarsi. Qualcuno ancora potrebbe accennare, erroneamente, che furono gli schiavi a costruire la piramide, nel qual caso sarebbe stato opportuno provvedere alle loro necessità per mantenerli in forze per poter lavorare..

A questo proposito ricorriamo al nostro “informatore” greco (anche se poco affidabile), a proposito dei costi per la costruzione della piramide, Erodoto riporta un curioso aneddoto circa i costi astronomici sostenuti per la costruzione, racconta che venne a sapere dai sacerdoti che
<<………Cheope, ad un certo punto si trovò a corto di risorse per completare il suo monumento, siccome per Erodoto Cheope era un terribile tiranno, la sua perversa malvagità giunse a tal punto che mandata la figlia in un postribolo, le ordinò di esigere una certa somma di denaro per ogni sua prestazione sessuale, quanto esattamente non lo dissero; ed essa compì gli ordini del padre, ma ella era astuta e, poiché era nelle sue intenzioni lasciare anche lei personalmente un monumento, ad ognuno che veniva presso di lei chiedeva di donarle una pietra. Con queste pietre, narravano, fu costruita la piramide che sorge in mezzo alle tre, dinanzi alla grande piramide……..>>
(questa, provenendo da Erodoto, penso sia il caso di considerarla pura leggenda).

Prima di addentrarci all’interno della piramide di Cheope, cosa che faremo scrutando i minimi dettagli costruttivi ed esaminando anche le nuove teorie recentemente avanzate, ritengo indispensabile un approfondimento su un argomento che costituisce la mia quarta domanda, “perché”?
Le spiegazioni degli studiosi sul perché venne costruita la piramide di Cheope che, al di la di tutto quello che è stato scritto, potrebbe essere stata la prima ad essere costruita, forse molto più in la nel tempo di quanto crediamo (pensiero personale). Il perché lo trovo nel fatto che è unica nel suo genere, non tanto come edificio ma per la sua struttura interna. Le camere cosiddette del re e quella della regina non rispettano il principio secondo cui il corpo del defunto <<…….appartiene alla terra, perché da essa è stato creato……..>>, mentre è l’anima che può salire in cielo.
La piramide di Cheope è l’unica in cui le camere sepolcrali stanno molto al di sopra della terra.

Tornando al perché, storici ed archeologi non hanno risposte certe, la maggior parte di essi propende per considerarla la tomba di un re, ma sono diverse le teorie che vedono nelle sette piramidi, fino a quella di Micerino, un altro scopo; purtroppo le testimonianze a noi pervenute permettono solo di azzardare supposizioni.
La cosa che appare più enigmatica è che queste prime sette piramidi non presentano alcuna traccia di geroglifici, a parte alcune eccezioni alquanto dubbie, o di altro che ci possa indurre a trarre conclusioni. Per contro va detto che almeno per l’inizio della IV dinastia non si era ancora affermato l’uso di decorare le tombe.
Secondo l”archeologia ufficiale la Grande Piramide sarebbe stata costruita come tomba per il faraone Cheope, opinione basata sul ritrovamento di alcune scritte, in una specie di geroglifico, ritrovate nelle cosiddette “camere di scarico” dove pare leggersi il nome di Khufu, secondo i sostenitori del fatto che la piramide sia una tomba queste scritte sarebbero annotazioni di cantiere sugli enormi blocchi di granito delle camere di scarico, ma di questo argomento ne riparleremo quando arriveremo alle camere di scarico. Secondo altri studiosi, questa, come tutte le piramidi precedenti e quelle successive fino a quella di Micerino compresa, potrebbero rappresentare solo cenotafi in memoria dei faraoni. Ma potrebbero anche rappresentare altro!
Le teorie sono molte, un esempio di egittologia alternativa afferma che le tre piramidi di Giza siano una sorta di mappa stellare. L’idea è stata avanzata per la prima volta dall’ingegnere e scrittore britannico Robert Bauval, che una sera, guardando il cielo, si convinse di aver fatto una scoperta epocale: le tre piramidi di Giza si trovano disposte in modo da corrispondere perfettamente alle tre principali stelle della cintura di Orione.

Bauval si prefigge di rappresentare la correlazione tra le tre piramidi di Giza e la cintura di Orione, pubblica una foto fantastica che ha girato in lungo ed in largo e tutti ci credono ma in realtà la foto è completamente falsa, ben lavorata con Photoshop. Come si può verificare osservando le Piramidi nella foto, questa è scattata da Sud verso Nord mentre la parte superiore con le stelle è vista al contrario, da nord verso sud. Senza contare che, anche in condizioni di massima visibilità, le stelle della cintura non sono mai così luminose. Da notare, inoltre, che dalla prospettiva della foto la cintura di Orione risulterebbe decisamente più piccola. Voler collegare il disallineamento delle tre piramidi di Giza al disallineamento delle stelle della cintura di Orione mi pare un po’ forzato (parere personale).
Nei Testi delle Piramidi viene specificato che il faraone come figlio di Ra, quindi divino ed immortale, al momento del decesso saliva tra le stelle imperiture circumpolari per sedersi accanto al padre suo che sta nei cieli. Vi si afferma che il re defunto non è destinato all’aldilà occidentale di concezione osiriaca, come tutti gli uomini, ma gli è riservato un più alto e glorioso destino solare ad Oriente.