Antico Regno, C'era una volta l'Egitto

LA PIRAMIDE ROSSA DI SNEFRU A DAHSHUR

Di Piero Cargnino

Certo che a Snefru quella piramide col profilo spezzato non dovette piacere gran che neppure finita col suo rivestimento in calcare.

La prima, costruita forse sullo scheletro di quella di suo padre Huni, era crollata, la seconda era storta, immagino che la cosa deve aver fatto infuriare non poco il faraone tanto che decise di farsene costruire un’altra.

Forti dell’esperienza maturata con le prime costruzioni i suoi architetti stavolta dovevano innanzitutto trovare un terreno resistente. Allo scopo risalirono il deserto di Dashur per circa 4 km. a nord finché non trovarono quello che pareva il luogo adatto.

Quella che si presenta agli occhi dei visitatori è una immensa costruzione, universalmente riconosciuta nel mondo egittologico come la prima concepita e costruita per essere realmente geometrica (a facce piane).

Deriva il nome di “Piramide Rossa” dal colore della pietra con cui è costruita, ma non fu sempre rossa, in origine era rivestita con blocchi di bianco calcare di Tura, rivestimento che venne quasi completamente asportato durante il Medioevo per essere riutilizzato nella costruzione del Cairo.

Nell’antico Egitto era nota come “Snefru risplende” (o “Snefru appare in gloria”); visto che la Piramide Romboidale era chiamata “Snefru del sud risplende” ci si aspetterebbe che questa venisse chiamata “Snefru del nord risplende”, invece no, questo non è riportato in nessun testo antico egizio. Gli egiziani di oggi la chiamano “El-Haram el-watwat” ovvero la piramide dei pipistrelli o piramide cieca.

La piramide era conosciuta fin dal Medioevo e furono molti i viaggiatori europei che vi si recarono, nel 1660 fu visitata dall’inglese Melton. Un primo interessante rapporto ci viene dai diari di viaggio del missionario francescano ceco Vàclav Remedius Prutky il quale, nel XVIII secolo, entrò fin nei sotterranei della piramide e descrive la discesa in un suo scritto. Le prime indagini archeologiche moderne furono intraprese da Perring nel 1839 e da Lepsius nel 1843. Più tardi si interessarono brevemente anche Petrie e Reisner ma senza approfondimenti.

Nel secondo dopoguerra l’egittologo Abdel Salam Hussain intraprese una serie di ricerche più approfondite, seguito in questo da un altro egittologo egiziano Ahmed Fakhry  che, intorno agli anni 50 del 900, condusse anch’egli una campagna di ricerche ma nulla di più di quanto già fatto da Hussain. Per giungere ad  un’indagine sistematica ed approfondita si dovette aspettare fino al 1982 quando Stadelmann iniziò le sue ricerche.

Gli antichi architetti egizi, facendo tesoro delle deludenti esperienze fatte in precedenza con la piramide di Maidum e quella Romboidale, questa volta decisero di adottare un atteggiamento esageratamente prudente. Innanzitutto venne preparata una base molto ampia, anche se non perfettamente quadrata (218,50 m x 221,50 m), quindi i progettisti iniziarono i lavori adottando la stessa inclinazione della parte superiore della piramide romboidale, la già collaudata inclinazione di 43° (43,22) mantenendola per tutta la sua altezza. Questa inclinazione ne fa la piramide con l’angolo più acuto di tutte le altre piramidi egizie conferendogli quel caratteristico aspetto, decisamente unico per cui appare più “schiacciata” rispetto alle piramidi più note portandola a raggiungere un’altezza di 101,40 metri.

Le facce della piramide si presentano un po’ irregolari e leggermente concave, la forma concava delle pareti serviva a dare maggiore stabilità al paramento; lo stesso metodo che verrà poi adottato nella costruzione della piramide di Cheope. Il nucleo è costituito da blocchi di calcare dal colore rossiccio di minor pregio rispetto a quello di Tura che veniva estratto dalle cave che si trovano a poche centinaia di metri in direzione sud-ovest della piramide.

Secondo l’egittologo Stadelmann la costruzione della piramide ebbe inizio da ovest mediante l’utilizzo di numerose rampe corte che venivano costruite su tutti i quattro lati. Giunti ad un’altezza di circa 25 metri le rampe sarebbero state ridotte ad una per ogni lato ed avrebbero accompagnato la costruzione per altri 15 metri per poi essere totalmente eliminate. Stadelmann però non fa alcun accenno a come sarebbero stati costruiti gli ulteriori 61,40 metri, da parte mia non ho trovato alcun riferimento in proposito.

Per la base della piramide e il paramento è stato fatto uso del fine calcare di Tura e su alcuni blocchi del nucleo ed anche del paramento, rinvenuti alla base della piramide, sono stati scoperti graffiti di cantiere dall’importante significato storico. Nei graffiti viene riportato, oltre al nome di Snefru, l’indicazione della: <<………messa in opera della pietra angolare occidentale nell’anno della quindicesima conta del bestiame……..>>. Questo però rappresenta un primo enigma, considerando che solitamente il bestiame veniva censito con cadenza biennale, ciò indicherebbe il trentesimo anno di regno di Snefru ma, secondo il Papiro di Torino, Snefru regnò solo 24 anni.

Da altri graffiti scoperti su blocchi a diverse altezze si può dedurre che almeno un quinto della piramide venne costruita in due anni. Stadelmann afferma di aver trovato un’altra annotazione secondo la quale si accenna al << …….ventiquattresimo anno della conta dei capi di bestiame…….>>, cosa che ha incontrato forti critiche da parte dell’egittologo tedesco R. Krauss secondo il quale il periodo indicato da Stadelmann risulterebbe troppo ampio. Mentre alcuni affermano che pare certo che la costruzione ebbe inizio durante il terzo anno di regno di Snefru, per quanto riguarda la durata dei lavori questa è molto dibattuta tra gli egittologi, Rainer Stadelmann fa riferimento alle iscrizioni trovate nelle cave per cui fissa come durata 17 anni, secondo John Romer, invece la durata sarebbe molto più breve, al massimo 10-11 anni. Sorvolo sull’evoluzione della diatriba non avendo elementi per confermare l’una o l’altra teoria.

Personalmente mi chiedo: se Snefru ha completato la piramide di Maidum e poi ha costruito quella romboidale, come è possibile che abbia iniziato a costruire quella rossa durante il terzo anno di regno? Se si presume che per costruire quest’ultima abbia impiegato da 10 a 17 anni, la altre due le ha costruite in 3 anni? Nelle mie ricerche non ho trovato nulla che mi spieghi questo paradosso. Nei pressi della piramide vennero rinvenuti i resti di un pyramidion in calcare, oggi restaurato che fa bella mostra di se davanti alla piramide, un ritrovamento del genere è il più antico fino ad oggi. Non è però certo che questo pyramidion sia stato realmente impiegato per la piramide Rossa in quanto il suo angolo di inclinazione è diverso da quello della piramide.

Ma adesso dirigiamoci verso l’ingresso della Piramide Rossa ansiosi di scoprire quello che ha da rivelarci.

L’ingresso della piramide lo troviamo nella parete nord ma per raggiungerlo dobbiamo salire ad un’altezza di 28,65 metri dalla base; ci infiliamo e scendiamo attraverso un corridoio discendente di 58,80 metri e ci troviamo al livello della base della piramide.

Da questo punto il corridoio diventa  orizzontale e prosegue per 7,40 metri terminando nella prima anticamera posta esattamente sull’asse verticale della piramide; le sue dimensioni sono di 8,35 x 3,60 metri sovrastata da una volta ad aggetto alta 12,31 metri, da questa, attraverso un breve corridoio di soli 3 metri, si accede ad una seconda anticamera di 8,30 x 4,15 metri, la cui volta, come in tutte le camere è aggettante per un’altezza di 12,30 metri.

In questa camera che, come tutto il resto dell’appartamento funerario sin qui visto si trova inserita nel corpo della piramide, troviamo a 7,80 metri dal pavimento un cunicolo di 7,50 metri che dà accesso alla camera funeraria le cui dimensioni risultano leggermente inferiori a quelle delle anticamere, questa misura 8,30 x 3,60 metri, sempre con volta ad aggetto alta 15,25 metri.

Un’altra particolarità inspiegabile è che, mentre la prime due camere hanno un orientamento nord-sud, la camera funeraria è orientata secondo l’asse est-ovest contraria alla tradizione della III dinastia.

La camera si presenta oggi molto danneggiata a causa dell’asportazione di alcuni strati di blocchi dal pavimento ad opera di antichi saccheggiatori mentre il soffitto e le pareti sono annerite dal fumo prodotto dalle torce e dai fuochi accesi per far luce.

Le pareti della seconda anticamera, così come lo stretto corridoio che conduce alla camera funeraria, presentano numerosi graffiti dei visitatori tra i quali quelli di Perring, Drovetti ed altri.

Durante i lavori condotti nel 1952, Hussain scoprì nel corridoio discendente, una sepoltura secondaria, contenente i resti arcaici di una mummia, lo scheletro apparteneva ad un giovane uomo di piccola statura, risalente però ad epoca tarda, del quale non si conosce nulla.

E’ possibile accertare che alla morte di Snefru la piramide era sicuramente completata, non così per i fabbricati accessori che formavano il complesso funerario del faraone. Del tempio funerario sono rimasti pochi resti, il nucleo consisteva in un sito sacrificale dove sono stati ritrovati frammenti di una falsa porta in granito rosa. Stadelmann, scavando nel tempio trovò frammenti di calcare che riproducevano un rilievo raffigurante Snefru con indosso i paramenti per la festa sed.

Fu ritrovata inoltre una notevole quantità di punte di frecce di rame risalenti però solo al medioevo quando il luogo era diventato un bersaglio per l’addestramento degli arcieri mamelucchi. Pochi sono i resti di una cinta muraria e non si è riscontrata la presenza di alcuna piramide cultuale.

Dai resti scavati si deduce che una vera e propria rampa cerimoniale, ancorché iniziata, non fu mai terminata, in compenso sono emerse le tracce di varie strade utilizzate per il trasporto dei materiali da costruzione ed altre che andavano dal tempio funerario alla città delle piramidi che si trovava ai bordi della Valle del Nilo.

In un decreto del faraone Pepi I si riscontra che vennero attribuiti privilegi alla città di Snefru e nel contempo viene citata anche la piramide di Menkauhor, a tutt’oggi mai scoperta. Secondo Borchardt si tratterebbe delle rovine a nord-est della piramide rossa che Lepsius aveva cartografato come n. L.

I recenti studi di una missione tedesca hanno portato alla conferma che anche la piramide di Seila (di cui ho già trattato nel capitolo delle piramidi minori) venne fatta costruire da Snefru. A questo punto sorge spontanea tutta una serie di domande:

  1. Perché Snefru fece costruire per se non una ma più piramidi?
  2. Secondo quale ordine cronologico queste sono state erette?
  3. in quale di esse fu sepolto?
  4. Com’è possibile che nei suoi 24 anni di regno Snefru abbia potuto erigere tutte quelle piramidi?

Studi eseguiti da Charles Maystre su marchi di cava apposti su alcuni blocchi della Piramide Rossa, consentirebbero di dimostrare che la loro lavorazione avvenne contestualmente a quella dei blocchi di rivestimento della “Falsa Piramide” di Meidum e quindi secondo lui i due cantieri avrebbero lavorato contemporaneamente. Secondo Stadelmann anche la piramide a gradoni di Seila fu costruita nello stesso periodo.

A questo punto però diventa complicato stabilire in quale di queste piramidi fu sepolto Snefru, Fakhri sostiene che il luogo corrisponda alla camera superiore della Piramide Romboidale, Stadelmann sostiene invece che Snefru venne sepolto nella Piramide Rossa nonostante l’interno non sia mai stato completamente rifinito. Finché non emergeranno prove più concrete, il luogo di sepoltura del faraone Snefru continua a rimanere nel mistero.                                                     

Fonti e bibliografia:

  • Riccardo Manzini, “Complessi piramidali egizi, Necropoli di Dahshur. Ananke, Torino, 2009
  • Vito Maragioglio e Celeste Rinaldi, “L’architettura delle piramidi menfite “, Tip. Canessa, 1963
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle Piramidi”, Newton & Compton editori, 1997
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Edizioni CDE spa su licenza Giulio Einaudi editore, 2017
  • Mark Lehner, “The Complete Pyramids”, Thames & Hudson, 1997
  • Georges Goyon, “Il segreto delle grandi piramidi”, Grandi tascabili Newton, 1977
  • Corinna Rossi, “Piramidi”, Ed. White Star, 2005
  • John Romer, “The Great Pyramid: Ancient Egypt Revisited”, Press, Cambridge, 2007
  • Mario Tosi, “Dizionario Enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”,  Ananke, 2004 Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, De Agostini, Novara 1993

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