Di Luisa Bovitutti
Il grande vaso in alabastro raffigurato qui sopra (H. 63.5 cm, diam. 19.1 cm), oggi al Museo del Cairo (JE 65423) mostra l’elevato livello di abilità raggiunto dagli artigiani della 3a dinastia nella lavorazione della pietra, pur con strumenti modesti; esso è decorato con un motivo geometrico che imita in modo molto realistico l’imbragatura di corda che veniva effettivamente utilizzata per trasportare oggetti pesanti.
Lo straordinario reperto è stato scoperto dagli archeologi James E. Quibell e Jean-Philippe Lauer in uno degli undici pozzi profondi più di trenta metri scavati lungo la facciata est della tomba, tra loro comunicanti tramite una galleria e forse destinati alle sepolture delle mogli e dei figli del re: in due di essi si trovavano circa quarantamila vasi di varie forme e materiali (soprattutto alabastro, diorite, calcare, ardesia e terracotta), molti dei quali infranti.
Essi erano ordinatamente riposti uno dentro l’altro e recavano i nomi di sovrani della prima e della seconda dinastia (Narmer, Djer, Den, Adjib, Semerkhet, Kaa, Hetepsekhemwy, Ninetjer, Sekhemib e Khasekhemwy), alcuni dei quali sepolti ad Abydos: ancora oggi non si sa perché si trovassero nella piramide a gradoni, in quanto le molteplici teorie elaborate in merito dagli studiosi sono rimaste a livello di ipotesi.
Lauer pensò che fossero gli arredi delle tombe di quei sovrani, distrutte dal re Peribsen negli sconvolgimenti che contrassegnarono la sua epoca, raccolti dal suo successore Khasekhemwy e che poi Djoser seppellì con onore nella sua piramide; Rainer Stadelmann pensava invece che Djoser avesse fatto restaurare quelle tombe, facendo scaricare i vasi rotti nel pozzo della sua piramide; il suo collega tedesco Hans Wolfgang Helck riteneva invece che i vasi provenissero dai magazzini del tempio, anche se non seppe spiegare per quale motivo Djoser li avrebbe accumulati nel suo complesso funerario.



Nelle altre immagini, una fotografia risalente all’epoca della scoperta ed alcuni tra i vasi ritrovati intatti.
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