Di Grazia Musso

Le statue dei sovrani erano una componente imprescindibile di qualsiasi tempio ed erano considerate come ritratti viventi.
La funzione svolta da queste statue si può dedurre dal loro aspetto esteriore, perché solo raramente è dato sapere quale fosse la loro collocazione originaria.
Nella statuaria i sovrani sono rappresentati sia nell’atto di compiere un’azione che in quello di subirla, sia in ruoli attivi e passivi.
Quando le statue raffigurano il re nelle vesti di offerente nell’atto di procedere con un piede in avanti o di orante inginocchiato, il sovrano appare nella sua veste di massimo detentore del potere culturale, mentre agisce al cospetto degli dei.
Quando è raffigurato sotto forma di sfinge, in qualità di garante del creato, le statue sono invece espressione del potere regale e divino.

Quando è rappresentato come singola figura stante o assisa su un trono, assume la funzione di oggetto di culto, adorato e destinatario di offerte.
Quando, invece, i gruppi statuari rappresentano il sovrano e gli dei a stretto contatto, egli gode della protezione e del riconoscimento delle divinità che lo hanno designato.
Anche l’analisi di alcuni elementi iconografici consente di riconoscere la persona rappresentata e ne sottolinea la funzione: è il caso dell’insolita veste indossata dalla così detta figura – sacerdote di Amenemhat III o dei segni della vita che Sesostri I regge nel pilastro osiriaco di Karnak.
L’analisi stilistica del modellato dei corpi e volti è un elemento significativo per determinare la potenza espressiva dei ritratti regali.

Ogni sovrano stabiliva infatti precisi criteri formali, anche veniva lasciato spazio alle differenze funzionali e stilistiche.
Si possono rilevare notevoli differenze della ritrattista reale durante la XI e la XII Dinastia :
Mentuhotep II mostra tratti massicci e pesanti.
Sesostri I lineamenti regolari
Amenemhat II una tesa intensità
Sesostri III concentrazione e forza di volontà
Amenemhat III una severità energica.
Mentre la statuaria reale è divina e parte integrante della magica protezione assicurata dal culto, le statue di committenza privata avevano tutt’altro valore.
Già nell’ Antico Regno le statue di privati, che non erano né regali né divine, potevano essere collocate lungo le vie culturali e processionali.
Più tardi, durante il Medio Regno, tali figure furono collocate anche all’interno dei Templi.
Rappresentavano persone che non partecipavano attivamente al culto, ma che acquisivano così, il privilegio di essere presenti allo svolgimento del culto è di poterlo, per così dire “contemplare”.
In questo modo venivano rese partecipi del sistema di sostentamento del tempio.
Anche le iscrizioni su queste sculture fanno riferimento alla loro partecipazione ai riti, dal momento che nella maggior parte dei casi comprendono proprio una formula di preghiera che invoca la possibilità di partecipare alle offerte destinate agli dei.
Molte di queste statue hanno posizione accovacciata, con le gambe incrociate o le ginocchia raccolte contro il petto, una postura che indica passività.

Per assicurare in eterno, non solo durante la vita terrena ma anche nell’aldilà, il perdurare della partecipazione al culto è la garanzia di vita che ne consegue, viene introdotto un nuovo elemento iconografico : un mantello aderente che avvolge il corpo della persona che, con le braccia incrociate e le mani in parte nascoste, richiama la figura di Osiride.
Alla fine del Medio Regno compaiono figure stanti, esse hanno le braccia distese lungo il corpo e le mani posate di piatto sui lati.
Le persone così raffigurate sono sacerdoti o funzionari di alto rango che anche nella vita partecipavano direttamente al culto..
Nel corso del Medio Regno, in due fasi successive, il tempio egizio si era aperto ai privati : in un primo momento era loro consentito l’accesso al tempio in qualità di “osservatori”, successivamente poterono partecipare al culto in prima persona, come oranti.
Fonte
Egitto terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann