Mai cosa simile fu fatta, Statue, XVIII Dinastia

STATUE DI PTAH

Di Grazia Musso

Granolite, dimensioni 207 x 62 x 76 cm
XVII Dinastia, Tebe, Karnak
Drovetti Cat. 86

Il viso delle statue divine è modellato su quello delle statue del sovrano regnante.

Qui si riconosce il ritratto di Amenhotep III: il viso rotondo è giovanile con guance piene, labbra carnose.

Particolarmente caratteristici sono i grandi occhi a mandorla molto accentuati dal trucco, e il contorno delle labbra delineato a rilievo.

Fonte

https://collezioni.museoegizio.it


Calcare, altezza 102 cm
Collezione Drovetti C. 87

Ptah era, secondo una delle diverse teorie relative alla creazione, il demiurgo che aveva dato vita all’universo usando semplicemente il pensiero e la parola.

Il suo culto, che aveva come centro principale la città di Menfi si era diffuso in tutto L’Egitto dove il dio era considerato il patrono delle arti e degli artigiani.

È qui raffigurato secondo l’iconografia tradizionale, con il capo cinto da una stretta calotta e il corpo avvolto da un abito aderente dal quale fuoriescono le mani all’altezza del ventre.

La testa è di epoca ottocentesca, frutto di un periodo nel quale il restauro e la conservazione dei reperti antichi erano abbastanza opinabili

Il dio è raffigurato seduto su un trono, ma altre sculture analoghe lo mostrano in piedi, nell’atto di impugnare alcune insegne divine: lo scettro uas e il pilastro djed.

Il primo è il noto simbolo di potere, spesso associato anche al faraone, mentre il secondo è l’emblema della stabilità.

Le due insegne, che nella realtà avevano la forma di rigide aste modellate, qui seguono in modo innaturale il profilo del corpo seduto..

Sulla parte anteriore del trono, ai lati delle gambe di Ptah, furono incisi i cartiglio contenenti i due nomi di Amenofi III, il faraone che commissionò la realizzazione di questa scultura.

Sulla parete anteriore del basamento a sostegno della statua si trova una decorazione che riproduce due uccelli con braccia umane posti sopra un segno geroglifico.

I due uccelli detti rekhyt simboleggiano la totalità del popolo egizio, qui metaforicamente in atto di adorare l’emblema della vita affiancato da due stelle.

La testa costituisce però una riproduzione ottocentesca, secondo la consuetudine dell’epoca di completare opere d’arte frammentarie con integrazioni artistiche.

Fonte

I Grandi Musei: Torino Museo egizio – Electa

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...