Abiti, Vita quotidiana

I PERIZOMI DEGLI EGIZI

Osservando i soldati del rilievo proveniente dalla tomba di Horemheb a Sakkara e custodito nel museo archeologico di Bologna sono stata incuriosita dai loro perizomi ed ho fatto una piccola ricerca sul tema.

Rilievo dalla tomba di Horemheb a Sakkara. Sette soldati trasportano sulla schiena un pesante oggetto, forse una tenda arrotolata; tre di loro indossano un elmetto o forse una retina, abbastanza inusuale presso gli Egizi. Divertente il contributo dell’ufficiale, l’ultimo personaggio a destra: mentre gli altri stanno faticando sotto il peso, si limita a dare ordini, fingendo solo di aiutare. Notate i calzoncini in pelle indossati dai soldati, che presentano molti piccoli tagli verticali che li rendevano più leggeri e più confortevoli. Solo un rettangolo nella parte centrale posteriore è pieno, forse per decenza?
La foto è stata da me scattata nel museo archeologico di Bologna nel Febbraio 2024.

I perizomi furono la prima forma di biancheria intima in uso fin dalla preistoria ed erano realizzati con strisce di tessuto che venivano fatte passare tra le gambe ed allacciate intorno alla vita.

Gli Egizi, in particolare soldati e nubiani, utilizzavano anche triangoli di lino piuttosto ampi che venivano appoggiati sulla schiena con la loro parte più ampia e legati attorno alla vita tramite i due estremi; in seguito la parte inferiore veniva fatta passare sul davanti attraverso le gambe, infilata dietro il nodo già esistente e piegata sul davanti.

Nella tomba di Tutankhamon vennero rinvenuti ordinatamente piegati ben 140 esemplari di perizomi di questo genere, pratici e leggeri.

Il perizoma di Tutankhamon

Quelli dei soldati di Horemheb tuttavia appaiono molto più raffinati ed a trama elaborata, tanto che si direbbero prerogativa delle classi più elevate; dall’osservazione di altri rilievi tombali si può fondatamente ipotizzare che essi venissero indossati sopra il triangolo di lino con le medesime modalità, proteggendolo ed impedendo che si slacciasse.

Modalità per indossare il perizoma

Due esemplari di essi furono rinvenuti nel 1902 nella Valle dei Re, all’interno di una piccola cassetta di legno (MFA 03.1036ab) nascosta in una cavità di una roccia posta sopra la tomba KV 36 appartenuta al nobile Maiherpra, vissuto probabilmente durante il regno di Thutmose III (1479 – 1425 a.C.) e ritenuto proprietario degli stessi.

L’anno successivo il loro scopritore Theodore M. Davis regalò uno di essi ed il contenitore al MFA di Boston ove si trova tuttora, e l’altro al Field Museum of Natural history di Chicago dove è stato purtroppo rubato.

Il perizoma rubato di Chicago.

Questi perizomi sono realizzati con un unico pezzo di morbidissima pelle di gazzella conciata ad olio, con un’ampia fascia di pelle piena sulla parte superiore e sui bordi e cuciture in filo di lino; a parte un rettangolo sul retro, lasciato pieno, il resto dell’indumento è stato reso traspirante ed ancora più confortevole praticandovi innumerevoli tagli a file sfalsate.

Quello superstite misura 85 cm. in altezza e 89 cm. in larghezza.

Un altro perizoma di forma leggermente differente si trova a Londra, al British museum, e faceva originariamente parte della collezione Salt; esso risale al Nuovo Regno, proviene da Tebe ed ha l’aspetto di una rete di cuoio con un anello d’avorio attaccato; è lungo 33 cm. e largo 30,50 cm.

Il perizoma di Londra.



FONTI:

https://interactive.archaeology.org/…/field/loincloth.html

https://collections.mfa.org/objects/130310

https://www.britishmuseum.org/collection/object/Y_EA2564

https://www.metmuseum.org/art/collection/search/893194

Abiti, Vita quotidiana

I SANDALI DEI CORREDI FUNERARI

A cura di Luisa Bovitutti

Visto che avete apprezzato i sandali delle tre spose di Tuthmosis III proposti da Grazia, ecco qui altri esemplari analoghi, trovati ai piedi di mummie eccellenti; essi riproducono quelli effettivamente utilizzati nella vita di tutti i giorni ed erano realizzati perché il defunto potesse averli nell’aldilà.

Questi che vedete erano riservati ad un sovrano, perché avevano la punta girata in su, e più precisamente quelli con il fiocchetto appartennero a Tutankhamon, quelli con la tomaia che copre il collo del piede a Psusennes I della XXI dinastia, i più semplici a Shoshenk II della XXII dinastia.

Si trovano tutti al Cairo

FONTI:

Abiti, Vita quotidiana

LE CALZATURE

A cura di Grazia Musso

Le calzature avevano per gli egizi un significato speciale.

Il materiale di cui erano fatte le calzature indicava la ricchezza del proprietario.

I sandali erano conosciuti già dall’Antico Regno, ma vennero usati soprattutto a partire dal Nuovo Regno.

Il disegno era semplice, con la pianta piana più una lista che usciva tra le dita e altre due collocate attorno alla caviglia.la maggior parte delle persone fabbrica a da sé le proprie calzature.

I sandali degli alti funzionari erano fatti di cuoio, la suola aveva due liste che uscivano dalla caviglia e si univa o sul collo del piede con un’altra che passava tra le dita.

I sandali di cuoio sono documentati già dall’antica Regno, ma solo per gente agiata, poiché non era un materiale comune.

Le rive del Nilo erano ricche di giunchi e di piante che costituivano la base della fabbricazione dei mobili e delle calzature.

Le persone meno abbienti fabbricavano i propri sandali con liste fatte di papiro e di paglia: partendo da strisce intrecciate e da giunchi realizzavano le calzature.

Nel corredo funerario di ogni egizio erano presenti vesti e calzature.

I faraoni, nel loro corredo funerario, avevano sandali d’oro, che erano rituali, e di cuoio, con i nove archi dipinti sulla suola come simbolo di potere.

A partire dal Periodo Tolemaico per il defunto venivano raffigurati sandali dorati ai piedi del sarcofago.

Fonte: EGITTO, cibo e vestiti – De Agostini – pag 45

Abiti, Arti e mestieri

LA FABBRICAZIONE DEI TESSUTI

A cura di Grazia Musso

La materia primaria era il lino che si raccoglieva in diversi momenti dell’anno, per ottenere fibre di varia flessibilità e resistenza.

Le fibre venivano separate dalle parti legnose con la pettinatura, cui seguiva la bagnatura e la battitura. Poi si sbrogliavano le matasse per iniziare la filatura.

Esistevano tre tecniche di filatura : la prima consisteva nel far girare il fuso sulla coscia, attorcigliando la fibra mentre la si stendeva con l’altra mano; nella seconda il fuso veniva fatto girare tra le mani passando il filo attraverso una forcella; la terza tecnica prevedeva il passaggio della fibra attraverso un anello in una conca d’acqua, che la rendeva morbida e facile da lavorare. La fibra scivolava tra le dita di una mano e si arrotola a sul fuso, in tal modo si otteneva un filo molto sottile e uniforme.

Una volta ottenuto il filato, questo veniva lavorato nei telai. Il telaio orizzontale consisteva in due rulli appoggiati al suolo, sui quali venivano collocati fili paralleli dell’ordito. Separando i fili mediante due pettini lucci, si potevano passare perpendicolarmente quelli della trama, formando il tessuto a un’estremità del telaio.

Questo compito aspettava alle donne ma, con l’introduzione del telaio verticale, il lavoro di tessitore divenne un’attività maschile.

Il telaio verticale aveva una cornice rettangolare, che veniva posta in senso verticale, con due rulli agli estremi. I fili dell’ordito venivano fissati nella parte superiore e la tela si arrotola a nel rullo.

Il Tessitore si sedeva davanti al telaio, tirando i fili della trama verso il basso. Con questo lavoro si ottenevano vari tipi di tessuto, a seconda dello spessore del filo e della combinazione e densità della trama: ” lino reale” (il più sottile), ” tela sottile fina”, ” tela sottile” e “tela liscia”.

La trama poteva variate con l’inserimento a intervalli di fili più grossi, ponendo due fili di trama ogni due di ordito (tecnica del canovaccio), con strisce di trama più compatta unita ad altre più aperte.Per ornare le stoffe si usavano orli, sciolti o raccolti in fasci, che erano lavorati nella stesa tele tessuta o venivano cuciti in seguito ai bordi del tessuto, facendo delle nappine.

Infine il tessuto veniva lavato, gualcato e stirato. Quest’ultima fase aspettava a lavandai professionisti. Dalle fonti scritte si sa che esistevano laboratori tessili di proprietà dei templi e del faraone.

Nelle foto: gli indumenti di Kha che si trovano al museo egizio di Torino.

In questo disegno, ai piedi dei filato ( due donne e un uomo), vi sono alcuni contenitori pieni d’acqua, dove vengono messe in ammollo le fibre, che passano attraverso gli anelli posti alla base. I fili così ottenuti si arrotola o nei fusi con dischi all’insù. La donna al centro sta raddoppiando lo spessore dei fili da quattro ne ottime due per filato del gomitolo, aumentando la resistenza del tessuto.

In questo disegno due donne tessono la Stoffa usando un telaio orizzontale, formato da due rulli fissati a terra, sui quali passano i fili dell’ordito. Una donna con due pettini licci separa i fili per passare la trama; l’altra, con un pettine, li stringe a un’estremita’ e il tessuto terminato viene avvolto su uno dei rulli.
La rappresentazione verticale del telaio è la realizzazione della prospettiva nell’arte egiziana.

Riparazione eseguita su un pezzo di lino risalente alla prima dinastia egizia
LA COLORAZIONE DEL TESSUTO

Durante l’antico Egitto i tessuti colorati erano molto scarsi.

La Stoffa di lino bianco era la più comune. Alcune piccole matasse (nella figura sopra) venivano tinte con colori rossiccio o marrone e servivano per creare decorazioni come quella illustrata nell’altra immagine (sotto), di tessuto copto di lino, o per orli che ornavano il collo e le maniche delle tuniche.

L’esplosione del colore si ebbe durante l’epoca copta ( III – VII secolo d. C.), con la diffusione della lana che, più sensibile al mordente ( agente chimico che fissa la tinta al tessuto), permetteva una grande varietà di colori di origine vegetale, per esempio il giallo del cardamomo o dello zafferano, o animale.

Fonte: Egitto – Gli Egizi straordinari artigiani – De Agostini.

Abiti, Arti e mestieri

L’ABITO A RETE IN PERLINE

Di Patrizia Burlini

Al Petrie Museum di Londra è conservato uno splendido abito a rete in perline di faïence della V Dinastia (circa 2400 a.C).

L’abito fu scoperto da Guy Brunton nella necropoli di Qau-El-Kebir (un tempo chiamata Tjebu, o Djew-Qa o Antaepolis) nel 1923-1924. Nel 1994-1995 due Conservatrici del Petrie hanno ricomposto le perline (il filo che le teneva insieme era andato perduto), ricostruendo l’abito. Nella parte inferiore è presente una frangia composta da ben 127 conchiglie che contengono al loro interno un sassolino che , con il movimento, produce un suono ritmico. Ciò ha indotto gli studiosi ad ipotizzare che si trattasse di un abito destinato ad una danzatrice, bella e sensuale come suggerisce l’immagine del post. Guy Brunton notò come questo abito riportasse alla mente un famoso racconto del papiro Westcar, un papiro del 1800 a.C. circa che racconta vari episodi di alcuni faraoni dell’Antico Regno, tra cui Snefru.

In questo racconto il faraone Snefru, trattato in modo sarcastico come un personaggio piuttosto tonto, per combattere la noia, si avvia ad una gita in barca sul lago regale e chiede quanto segue: “Portatemi venti donne dagli ampi seni rigonfi e dai capelli intrecciati che non abbiano ancora dato nascita; portate 20 reti e fatele indossare a queste donne, quando siano state posate le loro vesti”.

Il racconto mette in evidenza l’aspetto seducente ed erotico di quest’abito e allo stesso tempo l’atteggiamento mellifluo del sovrano.

Erano davvero usati normalmente questo abiti? Non lo sappiamo con certezza. Al MFA di Boston è conservato un abito simile della IV Dinastia, regno di Cheope (Khufu). Una ricostruzione dell’abito del Petrie ha mostrato che questo, a causa delle perline in faïence, risulta abbastanza pesante da portare e decisamente poco confortevole.

Sappiamo che la maggior parte delle tuniche a rete a noi pervenute erano destinate ad un uso funerario. Le tuniche per le mummie sono riconoscibile grazie ai simboli che recano, come l’Horus alato e i suoi 4 figli. Si può ipotizzare che questi abiti, se usati in vita, fossero riservati ad occasioni particolari. Il MFA di Boston ipotizza che fossero cuciti sopra ad una tunica aderente in lino.

Un sincero grazie a Nico Pollone per avermi trasmesso la sua traduzione del testo originale del Papiro Westcar che ho leggermente rielaborato.

L’abito è conservato al Petrie Museum di Londra con il Nr identificativo UC17743-1.