Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Templi

IL RAMESSEUM

Di Grazia Musso

Il Ramesseum doveva celebrare la gloria del re e rinnovare le forse divine, asdicurandogli la vita eterna: ogni dettaglio tende a questi fini.
Questo è il lato orientale del secondo cortile, parte nord, con i pilastri osiriaci e il secondo pilone.

Su quest’ultimo sono raffigurate le scene della battaglia di Kadesh, momenti di una festa agricola in onore del dio Min, i cui il re miete e offre aldio, e una festa in cui appaiono i nomi di 14 faraoni del passato.

Le statue osiriache del faraone dono del tipo mummiforme, rappresentando ancora nella fase di gestazione nell’aldilà, in preparazione della resurrezione.

Fin dal suo primo anno di regno Ramses s’impegnò a portare a compimento l’opera del padre e diede inizio alla costruzione del proprio tempio, posto più a sud.

Jean-Francois Champollipn rimase profondamente ammirato davanti alle rovine di questo edificio, al quale diede il nome di “Ramesseum”.

All’epoca dei faraoni queste sale erano chiuse allo sguardo dei mortali, solo il faraone e i sacerdoti dei ranghi più elevati potevano accedervi, la luce era bandita per una silenziosa penombra. Oggi tutto è inno dato dalla luce del sole e la seconda sala ipostila del Ramesseum al tramonto infiammandosi.

La prima parte del complesso a essere costruita furono i piloni in pietra sulla riva sinistra del fiume.

Sul retro del pilone del primo cortile è scolpita, in vivaci colori, la battaglia di Qadesh, l’evento più importante dei primi anni di regno dal sovrano.

Nello stesso cortile era posta quella che allora era la statua più grande della riva occidentale di Tebe, alta ben 19 metri, i cui frammenti rimasti giacciono ancora oggi all’ingresso del secondo pilone.

Colosso di Rameses II – Granito rosso, altezza originaria 19 metri.
Enormi frammenti del colosso “Ramses – del re straniero”, sono oggi sparsi davanti al secondo pilone del tempio.
La statua, di finissimo Granito rosso di Assuan era, con i suoi 19 metri di altezza un peso di circa 1000 tonnellate, la più grande statua assista di tutta Tebe Ovest.

A nord di questo cortile, davanti ai pilastri del Porticato, svetta o statue stanti del re, con vesti da cerimonia.

A sud sorgeva un palazzo rituale del quale restano solo le basi delle colonne.

Le scene di vittoria, il palazzo e le statue colossali confermano ancora una volta come il primo cortile fosse adibito alla celebrazione della gloria del sovrano.

In un momento successivo vi fu trascritto anche il trattato di pace concluso con gli ittiti.

Colonne papiriformi a ombrella. e a bocciolo.
La decorazione dei capitelli presentava un motivo vegetale di finissima fattura, originariamente dai colori sfumati.
Sopra le foglie dei capitelli a ombrella si sviluppa un fregio decorativo con cartiglio recanti il nome dinastico e di nascita di Ramses II.

Il secondo cortile era circondato a est e a ovest da un porticato con pilastri osiriaci, mentre a nord è a sud presentava una doppia fila di colonne papiriformi

La facciata del tempio preceduta da un portico sopraelevato, è decorata da scene votive e, nel registro inferiore, dalla raffigurazione dei figli del sovrano alla guida di una processione che si dirige verso l’intetno del tempio.

Tre rampe conducono ancora oggi ai tre portali della facciata, che sottolineano la tripartizione del complesso.

Ai lati della rampa centrale erano poste due statue del re assiso; la testa di quella settentrionale si trova oggi nel cortile; di quella meridionale rimangono solo il trono e la parte inferiore del corpo, conservati nel Ramesseum.

Il busto e la testa, in granito grigio con venature rossastre , furono prelevati nel 1816 da Giovanni Battista Belzoni, su incarico del console generale inglese, Henry Salt, e vendute al British Museum, dove suscitarono grande amministrazione sotto il nome di Giovane Memnone.

Trasporto del busto del colosso di Rameses II in una litografia, colorata a mano da Giovanni B8 Belzoni, 1822.
Busto del colosso di Rameses II.
Il bellissimo busto del faraone, meglio conosciuto come il Giovane Memnone, è realizzato in finissimo granito chiaro di Assuan, con venature rossastre nella zona del volto

L’ingresso principale della facciata si apre su una sala ipostila più grande e decisamente più evoluta rispetto a quella di Sethy I.

La navata centrale della struttura a basilica consiste in due file di sei colonne papiri formi a ombrello.

Le navate laterali hanno ciascuna tre file di sei colonne papiri firmi a bocciolo.

Lo straordinario effetto della sala, forse la più bella delle sale ipostile egizie, si fonda sulla chiara suddivisione spaziale, l’armonia e proporzioni delle colonne e lo stato di conservazione della sua vivace policromia.

Tre piccole sale successive, ciascuna provvista di otto colonne, portavano alla sancta sanctorum, purtroppo del tutto compromesso.

La prima sala, detta “sala astronomica” per via delle costellazioni personificate dipinte sul soffitto, reca sulle pareti scene della processione delle barche.

La raffigurazione mostra alla testa del corteo il principe ereditario, con al seguito gli altri figli del sovrano.

Sul lato destro della parete posteriore si trova una magnifica immagine dell’incoronazione del re nella celeste Eliopoli.

Ramses II siede all’ombra del sacro albero ished, e regge tra le manie insegne del regno, mentre Autum e Seshat scrivono il suo nome sulle foglie dell’albero.

I vasti magazzini con coperture a volta che circondano il tempio si sono conservati in buone condizioni e testimoniano l’importanza dei beni che vi venivano depositati.

I magazzini del re.
Queste strutture a volta sono i magazzini del Ramesseum, che lo circondano su tre lati. Costruito in mattoni crudi ospitavano offerte e provviste, come provano i molti frammenti di giare rinvenute nel corso degli scavi. Vi si trovava anche una scuola per scribi con biblioteca in cui sono stati riportati alla luce ostraka e papiri. I magazzini coprono antiche strutture della XVIII Dinastia di cui appaiono le basi di colonna in pietra.

Fonte

Egitto, la terra dei faraoni, – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Foto: kairoinfo4u

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

RAMSES II FANCIULLO CON IL DIO HORUN

Di Grazia Musso

Statua di Ramses II fanciullo e il dio Horun
Granito grigio e calcare (il muso del falco) – Altezza cm 241
Da: Tanis (Scavi di Pierre Montet , 1934)
Museo Egizio del Cairo – JE 64735 (Foto Merja Attia)

La statua di granito fu trovata in uno degli ambienti in mattoni crudi , non distanti dal muro di cinta del Grande Tempio di Tanis.

Il muso del falcone, in calcare , fu ritrovato in una stanza adiacente.

La statua al momento del ritrovamento, foto Pierre Montet

Questo rende assai probabile che L’edificio in cui si trovava la statua fosse la bottega di un artigiano e che la scultura vi fosse stata portata per essere riparata.

La statua rappresenta Ramses II, con le sembianze infantili: il dito della mano destra alla bocca e dalla tempia destra gli scende sulla spalla la treccia, elementi questi che si denotano tutte le raffigurazioni di bambini e adolescenti nell’Egitto.

Particolare del viso di Ramses sormontato da Horun

Il sovrano Indossa soltanto una “cuffia” ornata sulla fronte dall’euro, sulla testa ha un disco solare e nella mano sinistra stringe una pianta di giunco.

Quest’ultimo particolare è anomalo rispetto alle rappresentazioni canoniche del re e indica che, in molte altre figure, proprio di Ramses II, nell’immagine del sovrano sia da individuare un gioco grafico che permette di leggere la figura come un rebus.

In scrittura geroglifica il disco solare sulla testa ha la lettura rs, il fanciullo mes è il giunco su.

Leggendo i tre segni dall’alto verso il basso si ottiene così la parola Ramessu, che corrisponderebbe al nome dello stesso faraone.

Alle sue spalle si staglia la figura del dio Horun con le sembianze di falco che, in questo modo, ha il significato di porsi a protezione del sovrano.

Il rapace è raffigurato in forma assai stilizzata con i particolari del piumaggio e delle zampe realizzati attraverso linee incise che mirano più ad un ordinato effetto decorativo che a una fedele rappresentazione della realtà.

Particolari del piumaggio del falcone

La statua si iscrive tra gli esempi più belli delle opere di scultura propagandistica caratteristica di tutto il regno di Ramses II.

Scegliendo di porsi sotto la protezione di Horun, Ramses II, compiace le genti siriane di cui Horun era Dio, e, allo stesso tempo, riafferma il carattere di legittimità della propria sovranità.

Fonte

Tesori egizi nella collezione del Museo del Cairo – F. Tiradritti – fotografie di Araldo De Luca – Edizioni White Star

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Templi

IL TEMPIO FUNERARIO DI SETHI I

Di Grazia Musso

Veduta dell’odierna facciata del tempio di Sethi I, il portico di nove colonne fascicolate supporta ancora una parte della trabeazione, in origine le colonne erano dieci

A Gurnah, un’area di Tebe Ovest, vi sono le rovine del tempio di Sethi I.

Il tempio funerario era preceduto da un viale di sfingi, da due piloni e due cortili, ma di tutto questo non rimangono che poche tracce.

L’odierna facciata è costituita da un portico di dieci colonne, dietro si trovano tre porte che introducono alle tre parti del tempio, dedicate a Sethi I e ad Amon ( parte centrale), a Sethi I e a suo Ramses I (sinistra) e al culto solare( destra); quest’ultima è un’area costituita da un cortile fra due portici e con un altare al centro.

Nel cortile a cielo aperto, compreso tra il secondo e il terzo pilone, Sethi I, avviò la costruzione di una gigantesca sala ipostila.

La sala, con i suoi 104 metri di lunghezza, 52 di larghezza e 24 di altezza, era la più grande che fosse mai stata edificata.

Fu molto di più di un ampliamento delle strutture già esistenti, si trattava infatti di un tempio vero e proprio, che presto divenne il punto di partenza delle due processioni festive tebane.

Le fu dato il nome di ” tempio di Sethi-Merenptah che splende nella casa di Amon”.

Lungo l’asse principale del tempio si innalzavano due file di possenti colonne alte 22,5 metri, sormontate da capitelli papiroformi a ombrella.

Le navate laterali erano suddivise da sette file di colonne più basse, papiroformi a bocciolo.

Il tempio funerario di Sethi I conserva una parte della decorazione interna.
Un portico introduce nel tempio dedicato a Sethi I ed a Amon.
Qui è rappresentato Sethi I che offre dei fiori al dio Amon-Ra in trono.

Ogni fila contava nove colonne, eccettuato quella adiacente al colonnato centrale che si componeva di sette colonne e, alle estremità, di due pilastri quadrangolare.

Si contavano in totale 134 colonne, che formavano una gigantesca selva di papiri di pietra.

Le colonne, che poggiavano su grandi basi circolari, non erano monolitiche bensì composte da più rocchi; esse erano sovrastante da spessi abachi sui quali poggiava il gigantesco architrave che sosteneva il tetto.

La differenza di altezza tra la navata centrale e quelle laterali rese possibile l’apertura di finestre a clausura, costituite da lastre di pietra traforata, che permettevano alla luce di diffondersi nel corridoio principale.

Tale struttura a basilica fu riprodotta anche nella sala delle feste di Thutmosi III, ma le dimensioni di questa grande sala ipostila restano uniche e assolutamente ineguagliate.

Perpendicolare all’asse principale, un percorso trasversale che collegava i due portali a sud e a nord, creava un’asse alternativo rispetto a quello est-ovest, che veniva utilizzato per le processioni tra il tempio di Karnak e di Luxor.

Alla morte di Sethi I, dopo meno di undici anni di regno, la sala ipostila e il suo programma iconografico furono portati a compimento da Ramses II.

La metà settentrionale dell’edificio, la cui decorazione era stata iniziata sotto Sethy, presentava altorilievi, mentre le scene a sud furono completate da Ramses II in bassorilievo.

La parte inferiore del fusto delle colonne è decorata con foglie di papiro, mentre nella parte superiore sono raffigurate scene di sacrifici e i cartigli con il nome del re costruttore, sostituito in un secondo tempo da quello dell’ultimo sovrano ramesside.

Le pareti interne della sala presentano una notevole ricchezza di decorazioni e motivi.

Alcune sequenze mostrano il sovrano mentre viene condotto davanti alla triade tebana formata da Amon Mut e Khonsu per venerarla e recare offerte.

Alle rappresentazioni della purificazione rituale del faraone a opera delle divinità si alternano scene che raffigurano l’incoronazione e la salita al trono nel tempio, la consegna dello scettro nonché l’iscrizione del suo nome sulle foglie del sacro albero ished.

Sethy offre un bastone intrecciato di fiori.
I bastoni di fiori erano, dopo il pane e il vino una delle offerte più consuete per le divinità.
Con essi si manifestavanol l’augurio di gioia e letizia e l’aspirazione a disporre di perpetua forze Vitali.
Associato ad Amon, i bastoni ricoprivano anche un’altra specifica funzione: il sovrano offriva il “mazzo di fiori di Amon di Karnak” non solo alla divinità, ma anche ai defunti, quale augurio di rigenerazione.

Grande importanza è attribuita alle processioni delle effigi divine nelle barche sacre, che occupano lunghi registri risalenti al regno di Sethi I come di Ramses II.

Le pareti interne illustrano esclusivamente riti e processioni, restituendo così un’idea delle cerimonie sacre che si svolgevano nella sala.

Sulle pareti esterne compare la vittoria del sovrano sul caos, ottenuta grazie alla sconfitta dei nemici stranieri.

Sulla parete settentrionale figurano le campagne militari di Sethi I contro i beduini del deserto orientale e della Palestina, così contro i libici e gli ittiti; su quella meridionale, scene in rilievo della celebre battaglia di Ramses II contro gli ittiti preso Qadesh, e della campagna che il sovrano condusse contro gli asiatici è i libici.

La grande sala ipostila è quindi una rappresentazione in pietra dell’Egitto e del mondo circostante, con l’universo sacro degli dei e del culto al suo interno e all’estero il mondo caotico che il sovrano era chiamato a distruggere.

Le colonne papiroformi rappresentano a loro volta la “terra nera”, ovvero L’Egitto inondato dalla piena del Nilo.

Oggi purtroppo non rimane nessuna delle statue che dovevano ornare l’esterno e l’interno della sala ipostila e che riproducevano le stesse rappresentazioni presenti nei rilievi.

Si sono conservate soltanto, di fronte al vestibolo del terzo pilone, due colossali statue dell’epoca thutmoside.

Rameses II vi aveva fatto apporre nuove iscrizioni, Sethi II e Ramses IV ne aveva a rinnovato il piedistallo.

L’usanza di rinnovare le iscrizioni e di riutilizzare le statue dei sovrani precedenti non deve essere giudicata come un atto di appropriazione indebita: al contrario, in questo modo il sovrano le strappava all’oblio e assicurava loro nuove offerte.

Fonte

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

STATUA DI SETHI I

Di Grazia Musso

Alabastro, altezza cm 238
Karnak, Tempio di Amon-Ra, cortile della Cachette
Scavi di George Legrain
Museo Egizio del Cairo – JE 36692=CG42139

La statua è stata ritrovata a pezzi nella Cachette di Karnak, dove era stata depositata smontata.

Infatti si tratta di un’opera composita, un tipo di scultura assai caratteristico nell’arte egizia, che prevede l’utilizzo di diversi materiali.

Le parti principali sono state prodotte separatamente, scegliendo con cura la qualità della pietra, in modo che le venature seguissero lo sviluppo anatomico.

La testa e il torso sono ricavati da un tipo di alabastro assai compatto, mentre le gambe e mani sono ottenute usando un materiale con maggiori venature

Gli indumenti, gli attributi e alcuni tratti fisionomici, che furono asportati prima dell’interramento della statua, dovevano essere stati realizzati usando altri materiali, sicuramente preziosi.

La stilistica induce a attribuire la statua alla fine della XVIII Dinastia.

La bocca, ben modellata e sensuale, la cavità che ospitava gli occhi, a mandorla e assai allungata, le sopracciglia, sottili e arcuate, sono elementi che riconducono la scultura alla fine del periodo amarniano o all’epoca immediatamente successiva.

Il nome, Sethi I, inciso sul pilastro dorsale e sulla base, potrebbe essere stato aggiunto, come lascia supporre l’ortografia un poco approssimativa dei segni, in un secondo tempo, quando il re decise di appropriarsi dell’ opera di un immediato predecessore.

Il sovrano Indossa probabilmente il khrpesh, la così detta ” corona azzurra”, un copricapo regale che ricorre con frequenza nelle opere scultoree nei rilievi proprio tra la fine della XVIII e l’inizio della XIX Dinastia.

Gli occhi e le sopracciglia erano intarsiati: i primi dovevano essere in ossidiana con contorni in rame, mentre le seconde erano, forse, in lapislazzuli.

Un foro sotto il mento indica che la statua era provvista di barba posticcia, mentre il punto di giuntura tra collo e torso doveva essere coperto da un’ampio collare.

Anche i fori di collegamento tra braccia e mani, in ognuna delle quali era inserito un oggetto (scettro o cilindro), dovevano essere nascosti da due bracciali.

Il gonnellino, verosimilmente plisettato, doveva avere un elemento decorativo frontale, probabilmente realizzato in foglia d’oro.

Il sovrano indossa i sandali, ed è rappresentato nell’atto di calpestare i Nove Archi, i tradizionali nemici dell’Egitto, le figure di due di questi sono ancora conservate sulla superficie superiore della base.

Fonte

Tesori egizi nella collezione del Museo del Cairo – F. Tiradritti – foto Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Nuovo Regno

STATUA DI SETHI I come portastendardo

Di Grazia Musso

Scisto, altezza cm 22
Da Abydos
Museo Egizio del Cairo – CG 751

Con l’ascesa al trono di Sethi I, si conclude quel processo di controriforma innescato come reazione al periodo di Amarna.

In un clima tutto improntato al ritorno al passato, la statuaria e, in generale, tutte le manifestazioni artistiche traggono la loro aspirazione da modelli del periodo thurmoside, rifiutando così apertamente tutte le tendenze che avevano contribuito a rendere così fervido e innovativo il momento culturale compreso tra il regno di Amenofi III e quello degli immediati successori di Akhenaton.

Alcune delle acquisizioni del periodo amarniano erano però riuscite a filtrare e si erano mantenute nonostante il desiderio dell’autorità costituita (stato e clero) di far apparire che nulla fosse accaduto nel ventennio antecedente il regno di Tutankhamon.

L’effetto di vibrazione di certe opere amarniane si ritrova negli elaborati abbigliamenti del primo periodo ramesside, che mostrano un raffinato gioco di plisettatura che crea una movimentata alternsnza tra luce e ombra.

È il caso di questa statua di Sethy I, nella quale il complicato annodarsi del vestito, sotto il torace a destra, costituisce il centro delle pieghe che si irradiano verso l’esterno della figura, con un movimento centifrugo che non ha nulla da invidiare alle sculture di epoca amarniana, nonostante la resa muscolare sia più sobria.

L”effetto luministico dell’abito è controbilanciato da quello della parrucca, sulle cui trecce si sviluppano delle nervature discendenti.

Abbigliamento e parrucca formano una preziosa cornice al volto, che ha forme piene e i cui tratti riproducono l’effige idealizzato di Sety I.

Nonostante il naso arcuato e il taglio della bocca richiamino la statutaria thurmoside, gli occhi sono racchiusi da palpebre pesanti, reminescenze della tradizione post-amarniana.

La scultura proviene da Abido, località dove l’attività di Sethy I fu più intensa.

Ad Abido, Sethy I, fece erigere un tempio e un cenotafio dedicati al dio Osiride, per legittimare l’ascesa al trono d’Egitto della propria casata.

Originariamente, la statua doveva raffigurare il sovrano incedente con le braccia distese lungo i fianchi.

Il braccio sinistro sosteneva uno stendardo di cui è andata perduta l’estremità superiore, impedendo così di identificare la divinità raffiguratavi

Fonte

Tesori egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – F. Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star.