Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

STATUINA DI TAURET

Di Grazia Musso

Statuina di Tauret/Tueret
Legno stuccato e dipinto, altezza 40 cm.
Museo Egizio di Torino, Collezione Drovetti – C. 526

I tantissimi reperti provenienti dal villaggio di Deir El Medina ha consentito di tracciare un quadri dettagliato e preciso sulla vita quotidiana degli artigiani che vi vissero durante il Nuovo Regno.

In particolare le scoperte effettuate, a partire dagli inizi del Novecento , nelle tombe della necropoli locale, hanno gettato luce su diversi aspetti della comunità : l’organizzazione del lavoro, i rapporti familiari, l’alimentazione, il tempo libero, l’istruzione, le pratiche funerarie e le credenze religiose.

Tutte queste nozioni relative a una società chiusa e ben definita hanno fatto di Deir el-Medina un campione rappresentativo unico e fondamentale per le nostre conoscenze sulla vita nell’Egitto di quel periodo.

Per quanto riguarda le pratiche religiose, un peso dominante avevano nel villaggio i culti rivolti ad alcune divinità minori, tra cui Tueret, una dea venerata sin all’Antico Regno.

VEDI ANCHE: https://laciviltaegizia.org/2021/10/12/taweret-ed-il-genio-minoico/

In questa statuina lignea la dea è raffigurata con le sue tipiche sembianze grottesche: muso e corpo di ippopotamo e coda di coccodrillo.

La statuetta conserva ancora tracce di colore.

Tueret, il cui nome in Egiziano antico significa “la grande”, era legata soprattutto all’ambito domestico, essendo preposta alla protezione della casa, del sonno, dei bambini e delle madri, cosa che spiega il suo corpo gravido.

Si riteneva che fosse nata nelle paludi ed era la personificazione del caos liquido, il Nun, da cui si era formata la terra.

Venerata come “signora dell’acqua (pura)” e “colei che toglie l’acqua”, gli abitanti di Deir el-Medina le dedicavano ex voto, piccole stele e statuette in cui è rappresenta con un copricapo che può essere sormontato dalle corna di Hathor e dal disco solare.

Come indica l’iscrizione sulla base, questa statuina fu dedicata alla dea da uno scriba-disegnatore di Deir el-Medina di nome Para Hotep e dai suoi due figli: Pai e Apu.

Fonte

Museo Egizio di Torino – Franco Cosimo Panini Editore.

I grandi Musei : il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta

OSTRACON DELLA DANZATRICE

Di Grazia Musso

Calcare dipinto, 10,5 x 16,8
Museo Egizio di Torino – Collezione Drovetti, C. 7052

Con il termine greco ostracon, letteralmente coccio, si indica un frammento di ceramica o scheggia di calcare sulla cui superficie sono stati tracciati disegni o scritti testi.

Nell’Antico Egitto l’uso degli ostraca era molto diffuso, data la loro facile reperibilità a costo zero, rispetto al più caro e pregiato papiro.

Essi venivano utilizzati soprattutto per annotazioni temporanee, schizzi, bozzetti, esercizi scolastici, diventano frequenti a Tebe a partire dalla XVIII Dinastia.

A causa della loro durezza, possono infatti solo spezzarsi o essere consumati per attrito, ne sono pervenuti sino a a noi un numero straordinariamente ampio rispetto alla modestia della loro funzione.

Migliaia di ostraca sono stati trovati nel villaggio di Deir el-Medina, all’interno di una grande e antica discarica ai margini dell’abitato.

Gli ostraca figurati e scritti rinvenuti a Deir el-Medina ci consentono di conoscere i particolari di numerose esistenze private.

Gli abitanti del villaggio, uomini della squadra e loro congiunti, ci hanno palesato in modo esplicito gran parte dei difetti e dei pregi della natura umana: dall’onestà agli imbrogli, dai mancati giuramenti al desiderio di giustizia, dalla pietà all’arroganza.

Dal villaggio operaio e dall’area delle necropoli tebane, oltre alle migliaia di ostraca iscritti, provengono numerosissimi ostraca figurati, poiché in quelle zone si concentrava all’epoca il nucleo più consistente di disegnatori e pittori di tutto l’Egitto.

È probabile che da qui provenga questo bellissimo ostracon che costituisce uno dei massimi capolavori della collezione del Museo Egizio di Torino.

Sulla scheggia di calcare è stata disegnata, con grande maestria e raffinatezza, l’immagine di una danzatrice acrobata.

Il corpo della fanciulla, che indossa un perizoma annodato in vita, è reso con linee rapide e sicure, opera di un abile e sconosciuto artista.

L’alto livello qualitativo del disegno è dato dalla capacità di rappresentare con grande naturalezza e realismo una figura in posizione insolita, prestando l’attenzione ai minimi dettagli: le membra affusolate, il volto ben curato e la fluente capigliatura che cade pesantemente a terra.

E poco importa se l’orecchino resta fissato alla guancia in modo irreale, senza pendere verso il basso.

La grazia e l’armonia complessiva del disegno ne fanno senza dubbio una vera opera d’arte.

Fonte

  • I grandi musei: Il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electa
  • D come Deir el-Medina – Daniela Magnetti, Silvia Einaudi – Electa
Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

STATUA DI RAMOSE

Di Grazia Musso

Calcare, XIX Dinastia
Museo del Louvre – E 16378

Statua in calcare di Ramose, scriba reale che diresse i lavori di Deir el-Medina per oltre trent’anni.

È ritratto con in grembo le statuette di Osiride e Nefti e, davanti alle ginocchia, quelle, molto danneggiate dei quattro figli di Horus, ai quali spettava la custodia degli organi dei defunti.

Fonte: Rivista Archeo

Foto: Museo del Louvre

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

STATUA DELLA DEA MERETSEGER

Di Grazia Musso

Calcare, altezza 39 cm.
Deir el-Medina
Museo Egizio di Torino – C. 957

Personificazione diretta della montagna tebana, Meretseger, il cui nome significa “colei che ama il silenzio”, è molto vicina ad Hathor, ma al tempo stesso se ne distingue per l’aspetto serpentiforme.

In questa statua è rappresentata, appunto, come un cobra con la testa di donna e Indossa In parrucca tripartita..

Sulla testa della statuetta doveva trovarsi in origine un supporto a cui si fissavano due piume o due corna che affiancavano il disco solare, acconciatura tipica di molte divinità femminili.

Meretseger è onnipresente nei culto di Deir el-Medina : nei santuari e anche nelle cappelle domestiche, nelle tombe e sugli ostraka, così come in numerosi graffiti nel massiccio tebano che domina la necropoli.

Fonte

Museo Egizio di Torino – Franco Cosimo Panini Editore.

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Stele

STELE DI NEFERABU

Di Grazia Musso

Calcare, Larghezza 54 cm
Deir el-Medina
Museo Egizio di Torino – C. 1593.

Stele dedicata a Meretseger che lo ha guarito, da una malattia che lo affliggeva da tempo:

Chiamai la mia Signora

e trovai che era venuta a me con dolci brezze,

Fu misericordia con me:

mi ha teso la mano, si è rivolta a me favorevolmente,

Mi ha fatto dimenticare la malattia che era stata sopra di me.

Ecco, la Cima dell’Occidente è misericordiosa, se uno la invoca.

( adattamento da E . Bresciani, – Cultura e società attraverso i testi p. 447l

Sulla stele a incavo, Meretseger è raffigurata sulla destra con un corpo serpentiforme a tre teste: la prima di avvoltoio, la seconda di donna e la terza di serpente ; dinnanzi a lei si trova un altare con una brocca e dei fiori di loto.

Il documento appartiene al “Servitore della Sede della Verità” Neferabu, vissuto sotto il regno di Ramesse II, la cui tomba è la n. 5 della necropoli del villaggio.

Fonte

Museo Egizio – Franco Panini Editore

Immagini: Museo Egizio di Torino

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta

IL NAOS DI KASA

Di Grazia Musso

Legno dipinto, Misure: 33 x 14,5 x 33
Collezione Drovetti
Museo Egizio di Torino – C 2446

Dalla tomba di Kasa, un artigiano vissuto a Deir el-Medina durante il regno di Ramesse II, proviene questo piccolo Naos, o cappella, di destinazione culturale.

Si tratta di un manufatto di notevole pregio, sia per la sua complessa struttura lignea, sia per la sua ricca decorazione dipinta.

Il Naos era stato probabilmente realizzato per l’abitazione di Kasa e solamente dopo la morte del proprietario era entrato a far parte del suo corredo funerario

I capitelli che sormontato le colonnine lignee sul fronte del naos sono convenzionalmente noti come “hatorici”, dal momento che riproducono l’effige di Hathor, la dea della fecondità, dell’amore e della musica.
Il volto, incorniciato da una massiccia parrucca nera, è caratterizzato da orecchie bovine appuntite, che fanno riferimento alla vacca, l’animale sacro alla dea.

Tra la comunità del villaggio era assai diffusa, sopratutto in epoca ramesside, la pratica dei culti domestici rivolti a divinità e antenati.

In questo caso le preghiere del dedicante sono rivolte al dio Khnum e alle dee Satet e Anuqet, che costituiscono la cosiddetta “triade di Elefantina”, venerata nell’isola situata in corrispondenza della prima cateratta del Nilo.

Le divinità sono raffigurate sui lati del Naos dove sono riprodotte scene di natura religiosa disposte su registri.

La parte anteriore della cappella riproduce la struttura di un tipico tempietto egizio , con due esili colonne che formano un piccolo proano e con la consueta modanatura arcuata, nota come “gola egizia”, a coronamento delle pareti.

Una porta due battenti, consente di aprire questa piccola cappella, la cui parte posteriore è ornata con la figura di Kasa in atto di recitare la preghiera scritta al suo fianco.

Fonte

I grandi musei: il Museo Egizio di Torino – Silvia Einaudi – Electra

Foto: Museo Egizio di Torino

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta

PORTA DELLA TOMBA DI SENNEDJEM

Di Grazia Musso

Legno stuccato e dipinto, altezza cm 135, larghezza cm 117
Deir el-Medina, Tomba di Sennedjem
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziano 1886
Museo Egizio del Cairo – JE 27303

Gli Scavi diretti fa G. Maspero nella necropoli di Deir el-Medina portarono alla luce la tomba inviolata di Sennedjem, uno dei tanti artigiani che lavoravano alla costruzione dei ipogei reali nella vicina Valle dei Re.

L’accesso alla camera del sarcofago, allestita in fondo a un pozzo, era chiusa da questa porta di legno che recava intatto il sigillo della necropoli tebana: il dio Anubi.

La calda tonalità dei colori e la natura dei temi raffigurato, scene di vita oltremondana tratte dal repertorio figurativo del Libro dei Morti, unisce in un’insieme armonico la decorazione della sala funeraria e della porta d’ingresso.

Sulla facciata esterna, il battente raffigura Sennedjem con la moglie e la figlia in adorazione di Osiride e della dea Maat; il dio è seduto in trono, con la tiara-atef, gli scettri reali e il bastone-uas, verde come il volto e le mani, a simboleggiare il potere di Osiride anche sui cicli eterni della rinascita vegetale.

L’ANALISI FILOLOGICA A CURA DI LIVIO SECCO QUI

Nella scena inferiore, il defunto compare seguito dai figli, mentre rende omaggio alla sintesi divina di Ptah-Sokari-Osiri e a Iside.

La facciata interna della porta presenta Sennedjem e la sposa Iyneferty seduti sotto un padiglione di canne; la coppia indossa una parrucca sormontata da un cono di grasso aromatico e quella della donna è ornata da boccioli di loto, fiore dal profumo divino che donava vita eterna.

L’artigiano sta giocando alla senet, un gioco popolare che assume, in contesti funerari, forti valenze simboliche: il defunto scommette il destino dell’anima, se vince sopravviverà.

La scena si chiude con una ricca tavola d’offerta e provvigioni d’ogni genere per il sostentamento di Sennedjem.

Al di sotto una lunga iscrizione riporta estratti del Libro dei Morti: il primo è una preghiera agli dei dell’eternità affinché non chiudano le porte al defunto ( Capitolo 72) e il secondo legittima il desiderio dello spirito giustificato di giocare alla senet anche nell’Oltremondo ( Capitolo 17).

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star.

Foto dal libro su citato e dal web

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta

CONTENITORE PER USHABTY DI KHONSU

Di Grazia Musso

Legno stuccato e dipinto
Altezza cm 35,6, larghezza cm 12,5, lunghezza cm 20
Deir el-Medina, tomba di Sennedjem
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziano 1886
Museo Egizio del Cairo – JE 27299

Le statuine funerarie che avrebbero dovuto lavorare per il defunto nell’aldilà, rispondendo alla chiamata del loro padrone, come indica il loro nome ushabty ” i rispondenti” erano deposte all’interno di cassette lignee dipinte.

Khonsu, “Servitore nella Sede della Verità”, visse e lavorò nel villaggio operaio di Deir el-Medina, dove alloggiavano i costruttori delle tombe regali nella Valle dei Re.

Del suo corredo funerario faceva parte una cassetta destinata a contenere gli ushaty preparati per la sua sepoltura.

La sommità a doppia volta è delimitata da due pannelli verticali e le quattro pareti laterali sono decorate da vivaci disegni, che rappresentano Khonsu sia da vivo sia mummificato.

Su un lato Khonsu è seduto accanto alla moglie, entrambi indossano vesti eleganti e indossano una parrucca sormontata da un cono profumato.

Sul lato opposto, invece, la mummia del defunto è purificata dal figlio Nakhtmut, nel corso di una cerimonia rituale.

Su entrambi i i lati brevi della cassetta compare la Mummia di Khonsu stante.

Brevi iscrizioni geroglifiche, recanti il nome e i titoli del defunto, incorniciando le scene figurate.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto, nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star.

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI KHONSU

Di Grazia Musso

Legno stuccato e dipinto; altezza cm 125, larghezza c. 98, lunghezza cm 262
Deir el-Medina, tomba di Sennedjem
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziano 1886
JE 27302

A Deir el-Medina Maspero rinvenne nel 1886 una sepoltura integra, il cui proprietario risultò l’operaio Sennedjem.

Nella tomba si rinvennero 20 corpi, di cui 9 perfettamente conservati all’interno del proprio sarcofago.

Tra questi, Khonsu, figlio di Sennedjem, come suo padre ” Servitore nella Sede della Verità”, così come si chiamava la necropoli reale tebana.

La mummia di Khonsu, conservata all’interno di due casse antripoidi, era stata trasportata nella tomba in un sarcofago posto su di una slitta, ritrovato abbandonato in un angolo della tomba.

Questo splendido reperto testimonia la capacità di questa piccola comunità, intenta giorno per giorno alla realizzazione di sepolture maestose, di sapere riutilizzare temi e motivi cari alla tradizione funeraria regale.

Il tema principale della decorazione è rappresentato dal capitolo 17 del Libro dei Morti, corredato da un ricco apparato iconografico dai colori brillanti.

In particolare la splendida scena su uno dei lati lunghi in cui Anubi prepara il corpo del defunto Osiride sul letto di morte, vegliato dalla moglie Iside.

Il capitolo 17, con le raffigurazioni relative, occupa i due lati lunghi del sarcofago, mentre due coppie di divinità femminili tutelari campeggiano sui due lati corti.

Fonte:

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Sarcofagi

IL SARCOFAGO DI LADY ASET

Di Grazia Musso

Legno ricoperto di tela struccata, dipinta e verniciata
Altezza cm 193,5, larghezza cm 47, profondità cm 31,18
Deir el-Medina, tomba di Sennedjem
Scavi del Servizio delle Antichità Egiziano 1886
Si trova al NMEC – JE 1935

La tomba dell’artigiano Sennedjem ha restituito non solo un ricco corredo funerario, ora smistato tra i vari musei del mondo, ma anche i sarcofagi di alcuni membri della famiglia.

Aset era la sposa del figlio si Sennedjem, Khabekhent, anch’egli artigiano e proprietario della tomba numero 2 della stessa necropoli.

La donna possedeva due sarcofagi antropomorfi: uno più esterno e modellato nella consueta forma di mummia, e uno intermedio , quello delle foto, che conteneva il corpo imbalsamato e protetto da un plastron.

Su questo coperchio, la distribuzione degli elementi decorativi e dei colori è tutta giocata sui contrasti.

Il corpo di Aset è avvolto in una candida e aderente tunica plisettata.

È raffigurata come ancora vivente e non come mummia, secondo una formula iconografica ereditata dal naturalismo amarniano.

Tralci di edera fiorita ricadono morbidamente sull’abito , ravvivando la simmetria dello sfondo con tinte brillanti e linee sinuose.

La rigorosa semplicità della veste contrasta con la ricchezza dei gioielli, indossati sulle dita, braccia e lobi delle orecchie.

Particolarmente sontuosa è l’ampia collana-usekh che ricopre i seni e li traduce in elementi decorativi.

Sulla fascia a motivi vegetali stilizzati che cinge la lunga parrucca è inserito il simbolo della rinascita, il fiore di loto, dal profumo dolce e soave che dona eternità.

Fonte:

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del Museo Egizio del Cairo – National Geographic – Edizioni White Star

Foto: Jacqueline Engel, Merja Attia