Ed eccoci giunti finalmente alla fine dell’epoca ramesside, epoca che ha caratterizzato l’intera XX dinastia, iniziata con faraoni importanti e finita miseramente con sovrani effimeri.
Ramses XI regna su un regno per la maggior parte in mano al clero di Amon, per un lungo periodo, 27 o 30 anni. Non è ben chiaro chi fosse il padre, forse Ramses X pur se non esistono prove inconfutabili. Si pensava che la madre fosse la regina Tyti ma in seguito ad approfondite ricerche accademiche sul “Papiro Harris”, che tratta la “Congiura dell’Harem” a seguito della quale venne ucciso Ramses III, è emerso che la regina Tyti era una sposa dello stesso Ramses III vissuto oltre mezzo secolo prima.
Sua Grande Sposa Reale si pensa sia stata la regina Tentamon, figlia di Nebseni, dalla quale ebbe due figlie, Duathathor-Henuttaui, che andò sposa al Sommo Sacerdote di Amon Pinedjem I che avocherà a se il titolo regale in virtù della sua potentissima carica sacerdotale; l’altra figlia fu forse Tentamon che diverrà la Grande Sposa Reale del successore del padre, Smendes, primo faraone della XXI dinastia.
Va preso atto che a Tebe si era venuta a creare una situazione assai anomala, quando Ramses IX tolse l’incarico di primo profeta di Amon a Amenhotep che si era fatto rappresentare con le stesse dimensioni del faraone per rivendicare pari dignità, successero disordini nel XVII distretto dell’Alto Egitto. A sedare la rivolta riportando la normalità ci aveva pensato il viceré di Kush, Panehesi il quale però poi si insediò a Tebe da dove iniziò a governare quelle terre comportandosi come un conquistatore continuando così anche per qualche tempo durante il regno di Ramses XI.
Nel diciassettesimo anno di regno Panehesi si scagliò contro il primo profeta di Amon, asserragliato in un tempio fortificato a Medinet Habu e, dopo una schiacciante vittoria, si autoproclamò lui stesso Sommo Sacerdote di Amon. Dopo aver saccheggiando alcune città del Medio Egitto assunse il controllo dell’Alto Egitto. A questo punto Ramses XI chiamò il generale Herihor al quale affidò l’incarico di scacciare Panehesi, la battaglia non fu lunga e vide la vittoria di Herihor che costrinse l’avversario a ritirarsi a sud della prima cateratta del Nilo. Ma Herihor, che aveva raggiunto un’altissima posizione a corte assumendo importanti incarichi, era di origini libiche e il detto egiziano di non fidarsi troppo dei libici, anche in questo caso si dimostrò valido, dopo aver scacciato Panehesi, Herihor si comportò allo stesso modo del suo predecessore.
Ma quello che Herihor fece superò sicuramente le aspettative del Sovrano, nel 18° anno di regno di Ramses XI avvenne di fatto la vera rottura con il potere centrale. Autonomamente Herihor proclamò la “Ueehann-mesue”, la cosiddetta “Ripetizione delle nascite” (o Rinascita), ovvero una specie di giubileo nel quale si azzerava il conteggio degli anni per iniziarne uno nuovo, una nuova era in base alla quale cominciò a contare i suoi anni. Prima di lui solo Amenemat I della XII dinastia e Seti I della XIX avevano dichiarato il “Ueehann-mesue”.
A questo punto il grande Egitto del glorioso Nuovo Regno si ritrova con un faraone che risiede nel Delta, a tutti gli effetti sovrano dell’Alto e Basso Egitto, il cui potere si estende però solo al Basso Egitto ed un Primo Profeta di Amon, che risiede a Tebe con tutti i titoli e le prerogative reali senza che uno dichiari decaduto l’altro.
La fine dell’era ramesside, in particolare di Ramses XI, ci ha fornito un gran numero di importanti papiri oggi sparsi in vari musei, primo fra tutti il Museo Egizio di Torino. La maggior parte dei papiri riguarda problemi amministrativi e processuali che mettono in evidenza la situazione del periodo.
Un papiro molto interessante per la sottigliezza psicologica dei quadri sia dei personaggi sia degli eventi presentati e che generalmente viene considerato un capolavoro della narrativa antica ci presenta un testo letterario, risalente alla XXII dinastia, scritto in ieratico del quale venne trovata una copia nel 1890 ad al-Hibah. si tratta del “Papiro Puixkin 120” (conservato a Mosca).
L’argomento è quello di un racconto romanzesco che si evidenzia per la ricchezza e l’originalità della trama in cui l’avvenimento si colloca intorno al quinto anno dopo la “Ripetizione delle nascite”, tra il 18° e il 19° anno di regno di Ramses XI. La situazione ci presenta un quadro dell’Egitto della XXII dinastia ancora nominalmente sotto il controllo reale mentre il potere effettivo viene esercitato dal visir del Basso Egitto Smendes che aveva sposato Tentamon acquisendo così il diritto alla successione di Ramses XI.
Su un graffito è registrato che nel suo 29° anno di regno, il III Shemu, giorno 23, il generale e Sommo Sacerdote di Amon, Piankhi rientrò a Tebe dopo aver condotto una campagna in Nubia durante l’anno 28 del regno di Ramesse XI. Alcune fonti ci presentano un Egitto, che in certe regioni occidentali del Delta e in alcune oasi del deserto occidentale, è occupato da piccole enclave governate autonomamente dai discendenti delle popolazioni libiche entrate in Egitto al tempi di Ramses III.
Dopo aver trasferito la capitale politica dell’Egitto a Tanis, Ramses XI muore in circostanze sconosciute intorno al 1078/77 a.C. e sul trono si insedia il genero Smendes che diviene di fatto il primo faraone della XXI dinastia anche se di fatto non controllava il Medio e l’Alto Egitto che continuava ad essere nelle mani del Sommo Sacerdote di Amon a Tebe.
Finisce così, senza gloria alcuna la parentesi del Nuovo Regno iniziato cinque secoli prima con Ahmose ed inizia quello che viene definito come il “Terzo Periodo Intermedio”.
Per l’ultimo ramesside gli fu preparata, ma non completata, e solo parzialmente decorata, la tomba KV4 dove però Ramses XI non venne mai sepolto ed a tutt’oggi la sua mummia non è mai stata ritrovata. Unica particolarità è che, la tomba KV4 presenta caratteristiche piuttosto inusuali: il soffitto della camera sepolcrale è sorretto da quattro pilastri di forma rettangolare anziché quadrata ed un pozzo funerario centrale profondo oltre nove metri e lungo oltre 10 metri, forse per contrastare le incursioni dei ladri.
All’interno si trovano pochi frammenti di decorazione, altri residui di suppellettili funerarie starebbero ad indicare un riutilizzo, come tomba, durante la XXII dinastia durante il governo del Primo Profeta di Amon, Pinedjem. Uno studio recente dell’egittologo britannico John Lewis Romer dimostrerebbe che la tomba venne utilizzata come laboratorio di restauro delle mummie prima di portarle in un luogo più sicuro. In seguito venne utilizzata come abitazione e stalla da diverse comunità copte e cristiane e non attirò mai la curiosità degli egittologi.
In questo periodo la necropoli reale viene trasferita a Tanis ed il villaggio di Deir el-Medina viene abbandonato; si pensa che la KV4 sia stata l’ultima tomba della Valle dei Re, la causa dell’abbandono è sicuramente dovuta al fatto che in una condizione di instabilità politica in cui si trovava l’Egitto non era più possibile far fronte ai continui saccheggi e quindi garantire l’incolumità delle tombe.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Alan Gardiner e R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
E siamo giunti al penultimo sovrano che ingloriosamente portava il nome di Ramses, forse figlio di Ramses IX e della sua sposa, la regina Baketurel.
Tutto di lui è incerto, non si conosce neppure quale sia la sua titolatura reale completa. Citato solo in alcuni papiri principalmente giuridici quali il Papiro Abbot, il Papiro Amhers, il Papiro Meyer e su alcuni altri testi conservati al British Museum e al Museo Egizio di Torino.
La sua Grande Sposa Reale fu Tyti la quale viene citata in alcune iscrizioni come “Figlia di Re”, Sorella di Re e Madre di Re”. Da quest’ultimo titolo si deduce che sia stata la madre di Ramses XI.
Non è neppure chiaro quanti anni abbia governato, l’ultima data registrata del suo regno è l’anno 3.
Ramses X fu sepolto nella Valle dei Re a Biban el-Muluk nella tomba KV18 che non è stata ancora riportata alla luce per intero e la sua mummia non è stata ritrovata. Anche Howard Carte si dedico per un breve periodo ad esaminarla ma poi desistette. Quando fu nominato Sovrintendente della necropoli, nel 1908, Carter vi fece installare all’interno il primo generatore di corrente elettrica per illuminare alcune tombe della Valle.
La tomba rispetta la tipica struttura della tombe della XX dinastia, due corridoi successivi in leggera pendenza che sbucano in un terzo corridoio mai ultimato. Colma di detriti venne poi liberata dalla missione MISR nel 1998-2000. Sull’architrave di ingresso è rappresentato il sole, e il primo corridoio presenta immagini appena abbozzate, oggi scarsamente visibili, di Ramses X di fronte a varie divinità.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Dopo il breve regno di Ramses VIII sul trono delle Due Terre salì Amon-her-khepshef Khaemwaset, il IX della serie dei ramessidi; il suo nome del trono era Neferkare Setepenre che significa “Bella è l’anima di Ra, prescelta da Ra”.
Non si conoscono i suoi legami con la famiglia reale anche perché, riuscire a ricostruire la parte finale della XX dinastia è un grosso problema. Alcuni pensano che fosse un figlio di Montuherkhepshef, quindi un nipote di Ramses III; questo lo deducono dal fatto che nella tomba della moglie di Mentuherkhopshef, la KV10, della regina Takhat sulle pareti essa viene nominata con il titolo prominente di “Madre del re”. Poiché nessun altro re della XX dinastia pare abbia avuto una madre con questo nome, probabilmente si tratta proprio di Ramses IX.
Altri lo ritengono figlio di Ramses VII o addirittura di Ramses VIII, ma questa è l’ipotesi meno plausibile come quella che fosse figlio di Ramses III. Il Papiro di Torino 1932+1939 gli assegna un regno di 18 anni e 4 mesi.
Certo che come sovrano non superò di molto il suo predecessore, la situazione interna dell’Egitto rimase precaria precipitando ulteriormente verso la completa decadenza. Si hanno notizie di rivolte in Nubia che vennero sedate solamente grazie all’intervento delle tribù dei Nehesy, eterne alleate degli egizi.
Ramses IX era forse l’indiscusso sovrano nel Nord ma al sud chi gestiva il potere, forse superiore al suo, era il grande pontefice di Karnak.
Nel X anno di regno di Ramses IX si verificò un episodio che può essere considerato a tutto titolo come un anticipo della dissoluzione dello stato unitario che porterà alla fine del Nuovo regno. Il Primo Profeta di Amon, Amenhotep, fece realizzare un rilievo dove la sua immagine aveva la stessa statura di quella del faraone, questo a disprezzo della tradizionale gerarchia iconografica attribuendosi in tal modo la stessa dignità del sovrano. In questo caso Ramses IX riuscì ad avere ancora un sussulto di dignità e fece allontanare Amenhotep dal suo incarico.
Per una delle rare fortune dell’archeologia gli ultimi anni della XX dinastia abbondano di testimonianze scritte più di qualsiasi altro periodo. La provenienza di queste testimonianze è principalmente Medinet Habu e il villaggio di Deir el-Medina dove nella prima metà del XIX secolo venne trovati numerosi papiri, di cui molti frammentati, che oggi arricchiscono le grandi collezioni d’Europa, primo fra tutti il Museo Egizio di Torino grazie alla collezione Drovetti.
Da alcuni testi apprendiamo che un sempre maggior numero di libici arriva in Egitto come operai ma principalmente come mercenari la cui affidabilità lasciava molto a desiderare. Si trattava forse di invasori o discendenti di prigionieri di guerra incorporati nell’esercito egizio che si erano uniti ed avrebbero potuto creare gravi tumulti. Questo non lo sappiamo ma lo si può dedurre dalle disastrose ripercussioni sulla popolazione locale. Come abbiamo già accennato sempre più spesso le razioni dovute ai lavoratori arrivavano a volte con due mesi di ritardo. La fame stimolava l’avidità che portava gli abitanti a venir meno alla Maat e, consapevoli degli immensi tesori con i quali si facevano seppellire i regnanti e i nobili dei tempi passati, portavano anche i più onesti a tentare di saccheggiarne le tombe.
Certo che i saccheggi erano una pratica che si trascinava da lungo tempo ma ora, con i tempi che correvano, la miseria si era diffusa a tal punto da rendere inefficaci anche i controlli. Se di una cosa si può rendere merito a Ramses IX è quella di aver cercato di contrastare al massimo i saccheggi nelle tombe delle necropoli reali che andavano sempre aumentando in modo particolare durante gli anni 16 e 17 del suo regno. I numerosi papiri processuali di questa epoca, trovati in ottimo stato, ci aiutano a far luce sugli arresti ed i processi iniziati intentati da Ramses IX e continuati per quasi tutta la generazione successiva.
Due papiri tra i più famosi sono: il “Papiro Abbot” e il “Papiro Leopold II-Amherst” i quali descrivono gli avvenimenti in una forma decisamente drammatica da apparire come romanzi.
<<……Fu portato lo scriba dell’esercito Ankhefenamun, figlio di Ptahemhab. Fu esaminato con la bastonatura e gli furono posti i ceppi alle mani e ai piedi, gli fu fatto giurare di non dire il falso, pena la mutilazione. Gli fu chiesto: “Dì in che modo andasti sul posto insieme a tuo fratello”. Egli disse: “Sia prodotto un testimone contro di me”. Fu esaminato di nuovo e disse: “Io non ho visto niente”. Fu trattenuto in arresto per un ulteriore esame…….>>.
Anche i testimoni, seppure innocenti e quindi rilasciati, subivano la bastonatura. Ciò non avveniva per mera crudeltà bensì per il fatto che le persone chiamate a testimoniare, durante gli interrogatori mettevano in evidenza le gravi circostanze politiche e le carenze del potere che diversamente non dovevano trapelare o peggio finire nei papiri di quest’epoca. Invece ne finirono molte di queste notizie che noi oggi possiamo trovare nei suddetti papiri ma anche su numerosi altri come: il “Papiro BM 10054” e nel recto dei “papiri BM 10053 e BM 10068” e pare anche nel “Papiro Mayer B”, che tratta del saccheggio della tomba di Ramses VI.
Persino il villaggio di Deir el-Medina venne considerato a rischio di saccheggio tanto che gli archivi ivi custoditi vennero trasferiti a Madinet Habu. Durante questa crisi divenne chiaro che gran parte delle tombe reali e nobili della necropoli tebana erano state saccheggiate e diventava sempre più difficile cogliere i responsabili anche perché, probabilmente, alcuni di essi facevano parte di coloro che dovevano sorvegliarle se non addirittura che le avevano costruite.
Un altro esempio che possiamo riportare è quello del sindaco di Tebe Pesiur, acerrimo nemico del suo collega sindaco di Tebe occidentale, Pwero accusandolo di negligenza nell’attuare efficacemente la sicurezza della necropoli e di essere colpevole di questa ondata di incursioni dei ladri di tombe. Le accuse si rivelarono infondate in quanto a Pwero emerse che aveva svolto un ruolo di primo piano nella commissione visiriale istituita per indagare sui furti e come tale non poteva essere accusato di negligenza. La cosa fu così chiara che, per non cadere vittima delle sue stesse accuse, Pesiur sparì.
Anche come costruttore, Ramses IX non brillò più di tanto nonostante i suoi 18 anni di regno, la maggior parte dei suoi interventi più significativi si concentrarono nel tempio del sole a Heliopolis oltre all’aver fatto decorare il muro a nord del settimo pilone nel tempio di Amon-Ra a Karnak. A suggerire una flebile influenza residua egizia in Asia il suo nome è stato rinvenuto a Gezer in Canaan. Grande Sposa Reale di Ramesse IX fu Baketwernel dalla quale ebbe due figli, uno dei quali Nebmaatre, fu Sommo Sacerdote a Heliopolis dove il suo nome compare insieme a quello del re, l’altro figlio, Montuherkhopshef, che era forse l’erede designato a succedergli, premorì a suo padre e venne sepolto nella tomba KV19 in un primo tempo destinata a Sethirkhepsef.
Scoperta e scavata da Giovanni Battista Belzoni nel 1817, la tomba KV19 possiede delle decorazioni che si possono definire le migliori della Valle, così le descrive Belzoni:
“…….le figure dipinte sulle pareti sono così perfette, che sono le migliori che abbia mai visto per dare una corretta e chiara idea di quale fosse il gusto degli egiziani……..”.
La tomba però non conteneva la mummia del principe che non è mai stata trovata ne identificata tra quelle senza nome. All’interno della KV19 era presente un numero imprecisato di sepolture intrusive probabilmente della XXII dinastia.
Alla sua morte Ramses IX fu sepolto nella tomba KV6 e la sua mummia fu spostata più volte prima di essere nascosta, come molte altre, nella cachette DB320 a Deir el-Bahari dove venne trovata nel 1881. Si trovava all’interno di una delle due bare di Neskhons. moglie del Sommo Sacerdote Tebano Pinedjen II.
E’ curioso il fatto che la mummia di Ramses IX presenti gli arti spezzati, il collo rotto e sia priva del naso. La sua tomba, a causa dell’incuria, si trova oggi in stato di degrado e l’esistenza stessa dei suoi rilievi è in forte pericolo.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Alan Gardiner e R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
Cyril Aldred, “Una statua del re Neferkarē’ Ramesse IX”, JEA 41, 1955
Principesse nella tomba di Kheruef a Luxor (TT192).
In questa foto di dettaglio, ecco un magnifico rilievo proveniente dalla tomba incompiuta di Kheruef, un potente maggiordomo della regina Tiye.
Lo stile inconfondibile della XVIII Dinastia appare in tutta la sua raffinatezza nella rappresentazione di otto principesse (in questo dettaglio se ne vedono quattro) che offrono libagioni durante la festa del Primo Giubileo (heb Sed) di Amenhotep III. Le ragazze sono probabilmente figlie di sovrani stranieri cresciute alla corte del faraone.
Il testo che si trova davanti e sopra le principesse dice:
“Far entrare i figli dei grandi [che sono venuti portando] nemset-ewers d’oro e fiaschette di elettro nelle loro mani per eseguire cerimonie giubilari. Facendole stare sui gradini del trono, davanti alla predella, alla presenza del re”.
E, davanti a ciascuna ragazza, si legge:
“Fare la purificazione quattro volte”.
Il verbo “irt” [iret] è espresso all’infinito come spesso accade nelle titolazioni didasaliche. Il sostantivo “Ꜥbw” [abu] possiede un plurale inventariale oppure un finto plurale per far pronunciare la “w”. Non è un plurale grammaticale. “fdw (ny) sp” è la costruzione per la numerazione di una quantità che va ripetuta.
Sopra l’intera scena si annuncia:
“Puri sono i vostri nemset-ewers d’oro e le vostre fiaschette di libagione di elettro. La figlia dei Mentiu vi dona acqua fresca. 0 sovrano, vita – prosperità – salute, d’ora in poi continuerai a esistere”.
La gigantesca tomba di Kheruef fu per qualche motivo lasciata incompiuta. Scavata nella roccia del deserto, si trova sul lato ovest di Tebe, ai piedi della collina nota come Al-Assasif.
L’immagine panoramica sulla quale lavoriamo non è perfettissima. Si tratta di un assemblato panoramico con una certa serie di errori che compromettono parzialmente la perfetta lettura dei geroglifici. Qui, tra l’altro, precisiamo che la traduzione dei testi epigrafici fatta usando delle immagini fotografiche è difficoltosa perché le immagini aiutano piuttosto gli archeologi e gli egittologi non certo i filologi.
Come al solito è stata aggiunta anche la codifica IPA per far pronunciare i geroglifici a chi non li ha studiati.
Alla morte di Ramses VII che non aveva eredi, salì al trono un faraone quasi del tutto sconosciuto, Ramses VIII, Usimara-akhenamun Ramesse-Sethiherkhepeshef-meriamon, il cui nome è più lungo di quanto abbia regnato, secondo Franco Cimmino solo 3 mesi e 19 giorni.
Non vi è alcuna notizia certa sulla vita di questo effimero faraone. Se la sua ascesa al trono era legittima non lo sappiamo ma c’è da immaginare non fossero in molti a contrastarlo coi tempi che correvano. Forse era uno degli ultimi figli di Ramses III; ad avvalorare questa ipotesi sta il fatto che il suo nome compare nella processione dei principi reali rappresentata a Medint Habu.
Se così fosse si potrebbe pensare che in un primo momento, quando era ancora il principe Sethiherkhepeshef, si sia fatto costruire la tomba nella Valle delle Regine, la QV43 (che non è mai stata occupata) mentre in un secondo tempo, acquisito il potere regale, si sia fatto costruire altrove una nuova tomba, cosa pressoché impossibile per il breve tempo in cui ha regnato. In ogni caso la sua eventuale tomba reale non è stata ritrovata, e neppure la sua mummia.
Altra ipotesi è che questo sovrano sia appartenuto ad un ramo cadetto e la sua non fosse una discendenza diretta da Ramses III. A questo proposito va tenuto conto che il suo successore, Ramses IX, onorò la memoria dei suoi predecessori Ramses VI e Ramses VII ma ignorò completamente il suo diretto predecessore. Tutto porta a pensare ad un usurpatore che, per dimostrare la discendenza diretta e quindi la legittimità a regnare, abbia fatto inserire il proprio nome nella rappresentazione di Medinet Habu.
A quanto si sa non esistono costruzioni o monumenti attribuibili a questo sovrano e non esistono altre fonti conosciute che ci parlino di lui a parte un breve riferimento su una stele a Pi-Ramses e nella tomba di un sacerdote, Kyenebu a Karnak, oltre ad uno scarabeo.
Fonti e bibliografia:
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Milano, Bompiani, 2003
Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto, IX ediz., Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
Ramses VII, il cui nome completo era Usermaatra-Setepenra-Meriamon Ramses-Itiamon-Netehekaiunu, era figlio di Ramses VI e della Grande Sposa Reale Nubkhesbed, questo è anche attestato sul montante di una porta proveniente dal villaggio di Deir el-Medina. Di lui possediamo una documentazione estremamente scarsa, il “Papiro di Torino” (1883) attribuisce ad un imprecisato faraone del periodo un regno di 8 anni, poiché la data più alta attestata del regno di Ramses VII è l’anno 7, mese 5, alcuni ritengono trattarsi proprio di lui.
Secondo Jacobus Johansen Janssen, ciò si dovrebbe ad un ostrakon che è datato al secondo mese della stagione Shemu dell’anno 7 di Ramses VII, mentre per il ricercatore Raphael Ventura, che ha studiato il “Papiro di Torino” (1907-1908) si dovrebbero considerare undici anni di regno. Esistono anche altre ipotesi circa gli anni di regno ma poiché si differenziano di un anno o due al massimo non credo che sia il caso di citarle tutte.
Non si conosce il nome della sua Grande Sposa Reale, ma pare abbia avuto almeno un figlio chiamato Ramses,. secondo alcuni non sarà comunque lui che gli succederà al trono ma lo zio Ramses VIII, Pare che anche i successivi faraoni ramessidi provengano da Ramses VIII il quale era figlio di Ramses III.
Anche lui non deve essere stato un grande sovrano, sono lontani i tempi del Grande Ramses II, incapace o impotente non seppe dare all’Egitto un buon governo, la situazione economica continuava a precipitare, il prezzo del grano, forse anche grazie alle speculazioni del clero di Amon, che ormai cresceva senza freno alcuno, raggiunse un prezzo tale da renderlo quasi inaccessibile alla popolazione ed il tesoro della corte non riusciva più a fornire le dovute derrate agli operai.
Non agendo in alcun modo Ramses VII non faceva altro che peggiorare la situazione che si accentuerà ancor più sotto i regni che seguiranno. Notizie molto confuse parlano che in questo periodo si riscontrano anche problemi ai confini orientali. Anch’egli rispettoso delle tradizioni religiose, quando durante il suo regno morì un toro Mnevis, come i suoi predecessori, gli costruì una tomba e lo fece seppellire, con tanto di riti, nella necropoli dei tori sacri a Heliopolis. La tomba è rivolta a sud verso il tempio di Tem e si accede da una ampia porta larga 1,20 metri che conduce ad una camera di 5,86 per 7,79 metri. L’interno è decorato con rilievi che riproducono il re ed il toro Mnevis (che diventerà il dio Osiride-Mnevis) alla presenza delle divinità funerarie. Su un dipinto si può osservare il faraone che fa offerte al toro sacro che viene rappresentato sdraiato su di un piedistallo incorniciato dalle dee Iside e Nefti che lo proteggono. Per procedere all’apertura della tomba si dovette rimuovere dieci massicce lastre che formavano il soffitto, all’interno erano ancora presenti i resti dell’animale, le ossa e parte del legno del sarcofago. Nonostante la tomba fosse già stata saccheggiata fin dall’antichità, al centro delle ossa sono stati ritrovati uno scarabeo e alcune parti in bronzo che facevano parte del sarcofago. La tomba comprendeva anche una cappella di culto che venne rinvenuta nel 1902 da Ahmed bey Kamal nel sito di Arab el-Tawal, a nord del recinto principale della città del dio del sole.
La scoperta di questa tomba di Mnevis è di grande importanza in quanto poche tombe di Mnévis sono state portate alla luce a Heliopolis. La camera funeraria conteneva dieci vasi canopi, quattro in alabastro sicuramente appartenenti al toro mentre gli altri, in pietra calcarea, saranno state lasciate dopo il restauro della necropoli per preservarli dai saccheggi. Questa tomba si può considerare degna di un monumento reale, persino i mobili che accompagnavano il toro sacro, nella loro discreta semplicità ci danno un’idea delle lussuose sepolture di cui beneficiarono queste divine ipostasi.
Ramses VII morì, così, senza meriti ne gloria alle prese con una crisi irrisolvibile contro la quale però non riuscì a fare nulla. Neppure la sua tomba può trasmettere un senso di grandezza e di potere, la KV1 di piccole dimensioni è localizzata in un piccolo wadi, presso l’accesso alla necropoli, possiede comunque un ingresso monumentale benché non sia mai stata ultimata. Dopo l’ingresso si accede ad un corridoio trasformato in camera funeraria con un piccolo ampliamento del vano a causa dell’improvvisa morte del sovrano.
Nel corridoio sono presenti, a sinistra una processione degli dei solari Horakhti, Atum e Khepri con in testa il re, a destra, sempre il re in testa, una processione composta dagli dei Ptah, Sokar e Osiride, seguono capitoli del “Libro delle Porte” e dal “Libro delle Caverne”. Prima di quella che parrebbe una camera funeraria sono rappresentate le dee Uerethekau, Sekhmet e Bastet.
Il sarcofago non esiste, probabilmente il corpo venne sistemato in una fossa aperta nel pavimento sulla quale fu poi posta una grande lastra di pietra. Le pareti della “camera funeraria” presentano brani del “Libro della Terra” mentre sul soffitto sono rappresentate due raffigurazioni della dea Nut oltre alle costellazioni dello zodiaco egiziano. La difficile situazione economica del paese in quel momento sicuramente ha inciso di brutto.
La KV1 era anch’essa conosciuta fin dall’antichità, lo testimoniano numerosi graffiti greci e copti come pure si riscontra che venne utilizzata come abitazione da parte di eremiti cristiani. Sicuramente venne sepolto nella KV1 ma la sua mummia non fu mai trovata, non fu neppure trasportata nella cachette DB320 di Deir el-Bahari dove però, nel 1881, furono trovate quattro vasi in faience che riportavano il nome di Ramses VII il che potrebbe suggerire che uno dei corpi non identificati fosse suo.
Nel soffitto della “camera funeraria” della KV1 è raffigurata la dea leonessa Sekhmet (dea della guerra) forse a conferma di un detto antico egizio secondo il quale a volte la dea Sekhmet abbandonava le sembianze di leonessa per diventare un gatto, la dea dell’amore Bastet.
La capitale rimase a Pi-Ramses ed il sovrano potrebbe aver alloggiato presso la città di Tellel-Yahoudieh tra Heliopolis e Pi-Ramses. Su di una stele, oggi alla National Gallery of Victoria a Melbourne, in Australia, si trova un simbolo del culto di una statua del re, il dipinto presenta Ramses VII come una statua mentre deambula. Indossa la corona bianca (hedjet) dell’Alto Egitto e tiene in mano gli scettri Heka e Nekhekh, di fronte, sul segno séma-taouy, si trova il doppio cartiglio del re. I rapporti che Ramses VI intrattenne con L’Alto Egitto sono scarsamente attestati, da alcuni ostraka dove si evince la poca attenzione che veniva prestata alla sua tomba da parte degli operai di Deir el-Medina.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Alan Gardiner e R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
Ramses Amonherkheoshef Netjerhekaiunu, “nato da Ra-Amon è con il suo forte braccio Dio sovrano di Iunu [Eliopoli]”, zio di Ramses V, alla morte del nipote che non ebbe alcun figlio, sali al trono come Ramses VI assumendo il nome regale di Nebmaatra Meriamon “Ra è Signore di Maat, amato da Amon”.
Figlio di Ramses III e della Grande Sposa reale Iside Ta-Hemdjert poté vantare il diritto alla successione. Secondo alcuni è probabile, ma non certo, che fosse figlio di Ramses III ma lui, per ribadire la sua origine diretta dal grande sovrano, fece iscrivere il suo nome nella lista dei figli di Ramses III nel tempio di Medinet Habu, tanto per chiarire le cose nei confronti di eventuali pretendenti indiretti ossia i discendenti dei fratelli di Ramesse III.
La sua Grande Sposa Reale fu Nubkhesbed (che vuol dire “oro e lapislazzuli”), da lei ebbe due figli, il primogenito, Amonherkhepsef, erede designato del padre, il quale però gli premorì. Amonherkhepsef venne comunque sepolto nella Valle dei Re ma, per mancanza di tempo per costruirgli una tomba, venne riutilizzata quella del cancelliere Bay (KV13), vissuto alla fine della XIX dinastia. La tomba fu nuovamente decorata appositamente per il principe con la rappresentazione di sue immagini. Per quanto riguarda il sarcofago venne riutilizzato quello della regina Tausert (prima sepolta nella vicina tomba KV14, poi traslata nella KV15) sostituendo il suo nome con quello del principe.
Altri figli di Ramses VI furono Ramses, che gli succederà al trono assumendo il nome di Ramses VII, Panebenkemyt ed una figlia, Iside, principessa e sacerdotessa alla quale venne assegnato il titolo di “Divina sposa di Amon” nel tempio di Karnak per poter avere ancora qualche rapporto con lo strapotere del clero. La regina Nubkhesbed è ricordata nella tomba KV13 del figlio Amonherkhepsef e su di una stele della figlia Iside a Copto.
Mentre a Tebe il Sommo Sacerdote di Amon aumentava la sua influenza sulla corte accumulando un potere tale da mettere in ombra quello del faraone, Ramses VI non faceva nulla per contrastarlo e la decadenza e l’indebolimento del potere centrale continuavano indisturbati e progredire e porteranno, nel giro di pochi decenni, alla fine del Nuovo Regno. Sfuma anche l’influenza egizia nel Sinai dove quello di Ramses VI è l’ultimo faraone del cui nome si abbia traccia.
La situazione interna molto instabile ebbe ripercussioni anche nel villaggio operaio di Deir el-Medina dove gli operai, addetti alla manutenzione delle tombe reali, vennero ridotti a 60 mentre nel villaggio aumentava un senso di timore verso un imprecisato nemico, fosse una guerra civile o movimenti di genti armate.
Forse con l’intento di allontanarsi il più possibile da Tebe, ormai completamente in mano al “Primo Profeta di Amon” Ramessenakht, che rese la sua carica ereditaria, Ramses VI trasferì la residenza reale nella regione del Delta a Tani. Come costruttore Ramses VI non ci ha lasciato molto, per lui era più semplice usurpare i monumenti già costruiti dai suoi predecessori sostituendo i cartigli.
Secondo il parere dell’egittologo Raphael Ventura, che ha ricostruito il “Papiro di Torino 1907+1908”, Ramses VI potrebbe aver regnato per otto anni interi, morì nel secondo mese del suo nono anno di regno. Anche l’egittologo olandese Jac J. Jansen concorda nell’assegnargli otto anni di regno, basandosi su quanto riportato sull’ostrakon IFAO 1425, che cita il prestito di un bue nell’ottavo anno di un re che non può che essere Ramses VI.
Il fatto che abbia regnato otto anni è stato dedotto anche da un grafito a Tebe (cat. 1860a) dove viene anche nominato il sacerdote Ramessenakht, graffito che in un primo tempo venne attribuito a Ramses X, attribuzione poi abbandonata a favore di Ramses VI.
Alla sua morte, come aveva già deciso in precedenza, venne posto nella tomba KV9 dove si trovava già suo nipote Ramses V, non è chiaro se rimasero entrambi nella stessa tomba. La tomba venne profanata dai ladri una prima volta 15 anni dopo la sepoltura, sul trono regnava da 9 anni Ramses IX e, una seconda qualche anno dopo quando il sarcofago in granito venne rovesciato e rotto e la mummia fu danneggiata. Anche la sua mummia fu riassestata e trasferita nella tomba KV35 di Amenhotep II.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Alan Gardiner e R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
Salito al trono alla morte del padre, Ramses V, il cui nome completo era Usermaatra-Sekhepenra Ramses-Amon(her)khepshef, ebbe un regno breve, forse non più di quattro anni. Questo lo si deduce dal Papiro Wilbour redatto nel quarto anno del suo regno. Il papiro, di cui parleremo in seguito, oggi è custodito al Brooklyn Museum; rinvenuto sull’isola di Elefantina, venne acquistato dall’egittologo e giornalista statunitense Charles Edwin Wilbour durante un suo viaggio ad Assuan.
A parte la sua tomba, la KV9 (dalla quale fu espulso perché la sua tomba fu usurpata dallo zio Ramses VI) nella Valle dei Re, sono scarsi i reperti che ci parlano di Ramses V, alcuni scarabei, una stele ed alcune iscrizioni su di un piccolo obelisco. Questo non è un buon periodo per l’Egitto, aumenta l’instabilità interna causata principalmente dal fatto che erano state fatte delle donazioni eccessive al clero tebano che, per di più era pure esentato dal fisco, questo stava assumendo un’autorità sproporzionata forse pari a quella regale.
A questo periodo risale il suddetto papiro Wilbour, un documento lungo oltre 10 metri, nel quale vengono trattate questioni fiscali e terriere, contiene i rilevamenti topografici di un territorio di oltre 95 miglia di terreni sui quali doveva pesare la tassazione e, dove permesso, le esenzioni. Da ciò emerge in che misura i sacerdoti di Amon controllassero il territorio egiziano influenzando in modo prepotente le finanze del Regno.
Dal papiro emerge quanto era grande il potere del sommo sacerdote di Tebe Ramessenakht (Primo profeta di Amon) e del figlio Usimarenakhte capo degli esattori del fisco. La casta sacerdotale assume sempre maggior potere a scapito del faraone tanto che non si riesce più a capire a chi venivano pagate le tasse. Spesso gli operai che lavoravano alla tomba reale non ricevevano più le razioni dovute ciò a causa della scarsità dei proventi delle tasse che finivano principalmente nelle casse del grande sacerdote di Amon-Ra del tempio di Kanak.
Come se ciò non bastasse un’idea di quanto fosse già in fase avanzata la decadenza dell’Egitto ed a che livello di corruzione si era ormai giunti, ce la fornisce il Papiro 1887 di Torino (Papiro degli scandali di Elefantina), che parla di uno scandalo finanziario verificatosi durante il regno di Ramses V e che vide coinvolti il sacerdote Pen-Anqet, detto Sed, capo dei sacerdoti del tempio di Khnum a Elefantina, e alcuni altri sacerdoti suoi complici che giunsero al punto di vendere i bovini sacri al dio. Nel papiro viene riportato:
<< …….la vacca nera che era in suo possesso aveva partorito 5 torelli neri di Mnevis. Egli li aveva portati via […]tagliò loro la coda, li portò verso sud e li dette in vendita […] il grande torello Mnevis che era in suo possesso, egli tagliò la sua coda, lo dette per poco a dei poliziotti della fortezza di Bigge e ricevette una caparra da essi………>>.
Il papiro rivela poi che lo stesso Pen-Anqet violentò due donne sposate durante un suo viaggio a Tebe:
<<…….rapporto concernente la violenza carnale che egli fece alla cittadina Mut-nemehu, figlia di Pa-sekhet, ella era moglie del pescatore Gehuty. […] violenza carnale che egli fece a Ta-besa, figlia di Shuyu, moglie di Ahauty……..>>.
Altri reati quali furti di oggetti di proprietà del tempio, imputabili al sacerdote, sono elencati nel papiro dove si dice che, a chi non era d’accordo con lui, faceva tagliare le orecchie e cavare gli occhi. Non si sa quale sia stato l’esito del procedimento contro il sacerdote.
Il Papiro 2044 di Torino invece ci fornisce il resoconto di un’incursione di predoni libici i quali avrebbero assalito la città di Per-Nebyt e bruciato gli abitanti e di un’altra incursione al villaggio operaio di Deir el-Medina dove gli operai furono costretti ad interrompere i lavori alla tomba KV9 di Ramses V e gli abitanti a fuggire poiché gli invasori libici bruciavano vivi gli abitanti delle città sottomesse.
Durante il suo breve regno, Ramses V ebbe due Grandi Spose Reali, Henutwati e Tauerettenru nonostante non sia documentato. Sono considerate Spose Reali solo per il fatto che il loro patrimonio viene citato nel Papiro Wilbour che le colloca molto vicino alla casa reale. In ogni caso questo faraone non ebbe figli.
Alla sua morte la tomba predestinata era la KV9 ma il sovrano non venne sepolto subito. Su di un ostrakon si apprende che Ramses V venne sepolto soltanto nel secondo anno di regno del suo successore. Un ritardo decisamente inspiegabile in quanto il rito prescriveva che il faraone venisse mummificato e inumato nel giro di 70 giorni dalla propria morte e dall’ascesa del successore. Una spiegazione potrebbe essere quella che viene riportata nel Papiro 1923 di Torino, secondo quanto scritto pare che solo dal secondo anno del regno di Ramses VI la situazione tornò alla normalità una volta scacciati gli invasori libici ed a Tebe e dintorni si sarebbero potuti svolgere regolarmente i riti funebri per il sovrano. La cosa ha sollevato molti dubbi negli studiosi, l’Egitto aveva attraversato periodi peggiori ma non era mai stato riscontrato che dopo la morte il sovrano non sia stato regolarmente sepolto nella sua tomba.
Con il ritrovamento nel 1898, da parte di Victor Loret, della mummia di Ramses V nella cachette di Amenhotep II (KV35), è stato possibile effettuare studi approfonditi sul corpo del faraone rinvenuto completamente intatto. Non appena sbendata la mummia quello che videro gli studiosi li lasciò sorpresi e sbigottiti.
Appena sbendata, la mummia mostrò la terribile realtà, Ramses V era morto di vaiolo. Le tracce del vaiolo erano ben presenti dai numerosi segni di rash cutaneo vaioloso sul corpo del faraone: il volto, infatti, era sfigurato da lunghi solchi e le guance erano completamente rovinate; il corpo presentava inoltre un’ernia scrotale mai curata. Il vaiolo, oggi dichiarato scomparso, ha attestazioni antichissime ma il primo caso documentato della storia che possiamo ancora oggi osservare e studiare è appunto quello del faraone Ramses V che risale addirittura al XII secolo a.C..
Subito sono portato a pensare che il tempo trascorso prima della sua inumazione potrebbe essere dovuto alla paura del contagio, questo non lo possiamo sapere anche perché non penso che il vaiolo fosse una malattia molto conosciuta in Egitto e tanto meno che fosse ritenuta contagiosa. A riprova è il fatto che Ramses V venne comunque imbalsamato altrimenti non poteva durare un paio d’anni.
A proposito di vaiolo mi torna in mente quanto è riportato nel suddetto Papiro 2044 di Torino quando racconta che i predoni libici usavano bruciare vivi gli abitanti delle città sottomesse, non sarà che per caso essi conoscessero la malattia, che magari era già diffusa, e, onde evitare di contagiarsi, bruciassero i nemici? Il Papiro 2044 di Torino ci fornisce il resoconto di un’incursione di predoni libici i quali avrebbero assalito la città di Per-Nebyt e bruciato gli abitanti e di un’altra incursione al villaggio operaio di Deir el-Medina dove gli operai furono costretti ad interrompere i lavori alla tomba KV9 di Ramses V e gli abitanti a fuggire per non essere bruciati vivi.
Durante il suo breve regno, Ramses V ebbe due Grandi Spose Reali, Henutwati e Tauerettenru nonostante non sia documentato. Sono considerate Spose Reali solo per il fatto che il loro patrimonio viene citato nel Papiro Wilbour che le colloca molto vicino alla casa reale.
In seguito Ramses V venne collocato nella KV9 ultimata, seppur in maniera limitata, dove rimase solo fino alla morte del suo successore Ramses VI che aveva deciso di usurparla all’atto della sua morte. Nulla permette di stabilire con certezza se Ramses V sia stato sepolto in questa tomba per essere poi traslato in un’altra o se sia rimasto anche dopo la morte di Ramses VI condividendola con lo zio per qualche tempo. Comunque le loro mummie vennero rinvenute entrambe nella KV35.
Anche la KV9, come molte altre, era conosciuta già in tempi antichi, a dimostrarlo ci sono 995 graffiti, sparsi in tutta la tomba, risalenti all’epoca greco-romana e copta. In ogni caso la tomba venne violata già durante la XX dinastia, questo compare sui papiri Mayer contenenti atti di procedimenti giudiziari, sul recto del Papiro Mayer B, scritto in ieratico, mancante dell’inizio e della fine, si parla di un furto avvenuto nella tomba del re Ramses V, vengono nominati cinque ladri che però non è possibile identificare.
In epoca più recente vennero fatti alcuni rilievi da Richard Pococke nel 1717/38 e venne rivisitata poi dagli studiosi al seguito di Napoleone nel 1799. In quanto ai rilevamenti epigrafici dobbiamo aspettare la spedizione franco-toscana di Ippolito Rosellini mentre gli scavi sistematici inizieranno solo nel 1888 ad opera di Georges Daressy, seguiranno i rilevamenti di Alexandre Piankoff nel 1958. Nella sua campagna del 1998/2000, Adam Lukaszewicz si dedicò principalmente allo studio dei graffiti greco-romani.
Dal punto di vista architettonico la tomba KV9 non differisce in modo significativo dalle classiche tombe della XX dinastia. Anche questa inizia con corridoi rettilinei successivi che portano ad una camera con quattro pilastri percorsa da una rampa priva di scale, seguono altri due corridoi.
E qui assistiamo ad un fatto insolito, il secondo corridoio si presenta con il soffitto orizzontale mentre il pavimento è in discesa, vi chiederete perché? Perché a questo punto gli operai si accorsero che se avessero proseguito in orizzontale avrebbero sconfinato nella tomba sovrastante, la KV12 (il cui titolare è sconosciuto). In tal modo la rampa passa sotto la KV12 e finisce in un corridoio che porta alla camera funeraria.
Questa si presenta con il soffitto a volta sorretto da quattro pilastri all’inizio, di cui solo due ultimati, è evidente che la camera non fu mai ultimata infatti sul fondo si scorgono altri quattro pilastri solo abbozzati che emergono dalla roccia ma mai completamente liberati. Nel pavimento della camera funeraria si trova una fossa che avrebbe dovuto accogliere il sarcofago ma che anche questa non venne finita, in un secondo tempo venne adattata ad accogliere un sarcofago in conglomerato verde che fu distrutto già in tempi antichi. Una parte di esso è giunta fino a noi e rappresenta il volto di Ramses VI, oggi è conservata al British Museum.
Vennero trovati anche altri residui di un sarcofago antropomorfo privo di iscrizioni che si presume sia appartenute ad altre sepolture postume. Va detto che spesso non tutto il male vien per nuocere, avendo dovuto variare la profondità della camera funeraria per evitare di intercettare la KV12, la mole di lavoro aumentò per cui fu necessario ricorrere ad altri operai che si sistemarono con le loro capanne nello spiazzo antistante l’ingresso, proprio nel punto dove si trovava l’ingresso, non più visibile, della tomba KV62, quella di Tutankhamon, al termine dei lavori nello spiazzo rimase un mucchio di detriti. Grazie proprio a questa disattenzione la tomba KV62 di Tutankhamon sopravviverà per millenni ad aspettare l’arrivo di Howard Carter nel 1922.
In ogni caso nonostante fosse già visitata fin dall’antichità, pesantemente segnata dagli innumerevoli graffiti e da alcuni danni di scarsa entità causati da infiltrazioni di acqua, la tomba è ancora in grado di presentarci le sue stupende decorazioni, sia dipinte che in alto e bassorilievo, le quali si sono conservate in ottimo stato.
Nelle decorazioni viene data particolare importanza al culto del dio Ra, compaiono capitoli del Libro delle Porte, del Libro delle Caverne oltre a numerosi capitoli dell’immancabile Libro dei Morti, del Libro della Notte e del Libro del Giorno. La camera funeraria presenta parecchi capitoli del Libro della Terra con il re defunto in compagnia di altre divinità e la resurrezione di Osiride. Nel soffitto astronomico sono rappresentati capitoli del Libro dei Cieli oltre ad una duplice raffigurazione della dea Nut e delle ore del giorno e della notte. Curiosamente tra gli scarsi reperti rinvenuti nella tomba è stata trovata una moneta risalente all’imperatore romano Massimiano.
Fonti e bibliografia:
Alessandro Roccati, “L’area tebana”, Quaderni di Egittologia, n. 1, Roma, Aracne, 2005
Federico Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Milano, Mursia, 1976
Franco Cimmino, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bologna, Bompiani, 2003
Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Torino, Einaudi, 1997
Alan Gardiner e R.O. Faulkner,”The Wilbour Papyrus”, Oxford, 1941-1952
Alfred Heuss ed alt, “I Propilei”, Verona, Mondadori, 1980
Nichelas Reeves, Richard Wilkinson, “The complete Valley of the Kings”, Thames & Hudson, 2000
Christian Jacq, “La Valle dei Re”, traduzione di Elena Dal Pra, Milano, Mondadori, 1998
Alberto Siliotti, “Guida alla Valle dei Re, ai templi e alle necropoli tebane”, White Star, 2010
Alberto Siliotti, “La Valle dei Re”, Vercelli, White Star, 2004
Erik Hormung, “La Valle dei Re”, trad. di Umberto Gandini, ET Saggi, Torino, Einaudi, 2004
Dopo la morte prematura dei suoi quattro fratelli più anziani, nel ventiduesimo anno di regno, Ramses III nominò Principe ereditario il figlio Ramses IV (Hekamara-Setpenamun Ramesse-Hekamara-Meramun). Nella sua qualità di successore designato poteva vantare tre titoli, “Principe ereditario”, “Scriba reale” e “Generalissimo”; i tre titoli sono iscritti su di una architrave che si trova a Firenze mentre gli ultimi due compaiono in un’iscrizione nel tempio di Amenhotep III a Soleb. Con questi titoli il principe viene rappresentato nella tomba tebana del sacerdote Amenemope mentre lo nomina “Terzo Profeta di Amon”.
Quando alla morte di Ramses III, a causa del lungo regno del padre, diventa faraone si pensa che fosse un uomo sulla quarantina. Sulla base di iscrizioni scoperte di recente e pubblicate sul Journal of Egyptian Archaelogy, si ipotizza che la madre di Ramses IV possa essere la regina Tyti che vantava i titoli di “Figlia del re”, “Sposa del re” e “Madre del re”; questo è quanto emerge dal Papiro BM EA 10052 (conservato al British Museum) dove è citata come sposa di Ramses III. La Grande Sposa Reale di Ramses IV fu probabilmente Duatentopet.
Come detto in precedenza, la salita al trono di Ramses IV avvenne in circostanze drammatiche, la congiura dell’harem dove suo padre venne ucciso. Ramses IV, in quanto successore designato prese subito in mano la situazione facendo arrestare e condannare i cospiratori.
Ramses IV sfoderò subito la sua indole di costruttore sulla scia di Ramses II, fece raddoppiare il numero degli operai di Deir el-Medina portandolo a 120 elementi, inviò numerose spedizioni alle cave di pietra dello Uadi Hammamat, altrettante le inviò nel Sinai alle miniere di turchese di Sarabit al-Khadim.
Nello Uadi Hammamat Ramses IV fece erigere una grande stele dove viene narrato il resoconto della terza spedizione svoltasi nell’anno “III Shemu, giorno 27”; nella stele si narra che parteciparono alla spedizione 5000 soldati, 2000 servitori del tempio di Amon, 800 Habiru e 130 cavapietre e scalpellini agli ordini di Ramessenakht, “Primo profeta di Amon”.
Si cita anche che diversi blocchi di pietra, del peso di 40 tonnellate, vennero trasportati per 96 chilometri dallo Uadi Hammamat fino al Nilo. Un’altra stele a Sarabit al-Khadim nel Sinai riporta:
<<……Anno 3°, terzo mese di Shemu. Sua Maestà ha inviato il Suo favorito e amato, il confidente del Suo Signore, l’Ispettore del Tesoro dell’argento e dell’oro, Capo del segreti dell’augusto Palazzo, Sobekhotep, giustificato, perché Gli portasse tutto ciò che il Suo cuore desidera di turchese, nella sua quarta spedizione……>>.
In realtà questa stele è di difficile attribuzione, potrebbe riferirsi a Ramses IV o a suo padre poiché si sa che Sobekhotep svolse i suoi compiti a partire dal regno di Ramses III fino a quello di Ramses V. L’ultima spedizione nel Sinai è riportata su di una stele dello scriba dell’esercito Panufer il quale racconta che lo scopo di questa spedizione era duplice, primo di provvedere alle scorte di turchese, secondo di edificare una cappella nel tempio di Hathor a Sarabit al-Khadim per il culto del sovrano.
Il Papiro Mallet, conservato al museo del Louvre (cat. 1050), risalente ai primi anni di regno del sovrano, contiene sei colonne di scrittura concernente questioni agricole, in esso sono menzionati i prezzi di vari beni di consumo.
Tra i documenti più importanti in nostro possesso va citato il “Grande Papiro Harris I”, lungo 40 metri è conservato presso il British Museum. Il papiro fu redatto sotto il regno di Ramses IV, è scritto in ieratico e fa parlare in prima persona il padre Ramses III. Si compone di una prima parte religiosa dove sono elencate le varie donazioni elargite da Ramesse III ai templi e alle divinità di Tebe, Eliopoli e Menfi. Si tratta di un elenco lunghissimo, che occupa quasi interamente il papiro, dove viene specificato nel dettaglio l’oggetto della donazione, personale, terre, bestiame e denaro. In conclusione della parte religiosa, Ramses III chiede agli dei di benedire il proprio figlio Ramesse IV. Segue una seconda parte dove vengono elencate le vicende turbolenti e i disordini sociali che successero all’inizio della XX dinastia sottolineando come Ramesse III avesse riportato la stabilità riorganizzando sia l’amministrazione che l’esercito. Sono inoltre citate altre spedizioni a Punt per la mirra, nel Sinai per il turchese ed in miniere non individuate per il rame.
Di indole molto religiosa Ramses IV profuse molte energie nel culto delle divinità, in modo particolare verso Osiride al quale fece erigere una stele ad Abido dove pregava il dio:
<<……Dammi l’età avanzata con un lungo regno [come il mio predecessore]…….>>.
Purtroppo Osiride non gli concesse tale onore, Ramses IV regnò solo sei anni. Venne sepolto nella tomba KV2 nella Valle dei Re ma la sua mummia fu rinvenuta nel 1898, come molte altre, nella tomba KV35 di Amenhotep II. La sua Grande Sposa Reale, Duatentopet venne sepolta nella tomba QV74 nella Valle delle Regine. Su di un ostrakon conservato al Museo Egizio di Torino compare una bellissima composizione scritta in occasione dell’ascesa al trono di Ramses IV, così l’ha commentata lo storico delle religioni, antropologo e saggista italiano, Alfonso Di Nola: “E’ un interessante esempio di innografia dinastica. Il testo riflette l’ideologia classica secondo cui l’ascesa di un nuovo faraone avrebbe comportato il rinnovamento della vita dell’universo e il trionfo dell’ordine (Maat) dopo la morte del precedente faraone, la quale, secondo gli egizi, turbava l’equilibrio del mondo”. Il testo recita:
<< O giorno di felicità! Cielo e terra sono in giubilo, perché Tu sei il grande Signore d’Egitto. Coloro che erano fuggiti, tornano alle loro città. Coloro che si erano nascosti riappaiono. Coloro che erano affamati sono fatti sazi e felici. Coloro che erano assetati hanno bevuto. Coloro che erano nudi sono vestiti di fine lino. Coloro che erano sudici sono coperti di bianco. Coloro che erano in prigione sono fatti liberi. Coloro che erano in catene gioiscono. Coloro che seminavano discordie nel loro paese sono diventati pacifici. Gli alti Nili sono emersi dalle loro caverne per portare frescura al cuore degli uomini. Le dimore delle vedove sono riaperte affinché i peregrini possano entrarvi. Le donne del popolo giubilano e ripetono i loro canti di gioia. Esse dicono: Maschi di nuovo sono nati per tempi felici, poiché Egli porta ad essere generazione dietro generazione. Tu sei la guida – vita, prosperità, salute! tu sei per l’eternità! Le barche esultano sullo specchio delle acque profonde. Non occorre più tirarle con corde, approdano con vento e con remi. >>.
Come abbiamo detto Ramses IV regnò sei anni dopo di che partì anch’egli per la Duat. Per quanto riguarda la tomba di Ramses IV aveva già provveduto ad iniziarla il padre Ramses III nella Valle delle Regine. Vi chiederete perché nella Valle delle Regine; il futuro Ramses IV era il quarto in ordine di discendenza per cui non si pensava che sarebbe stato lui a succedere al padre quindi, poiché in quei tempi di solito erano solo i re ad essere sepolti nella Valle dei Re mentre le regine, i figli reali o gli alti funzionari venivano sepolti nella Valle delle Regine, per cui Ramses III fece iniziare li la tomba del figlio.
Ovviamente, con la sua ascesa al trono, Ramses IV doveva per forza essere sepolto nella Valle dei Re. Secondo l’egittologo lettone Erik Hornung la ricerca del sito dove farsi costruire la tomba richiese un tempo insolitamente lungo, Hornung ritiene che la causa fosse dovuta al fatto che Ramses IV aveva un concetto di pianificazione completamente nuovo per la sua tomba. Su un ostracon in ieratico troviamo la nomina delle persone alle quali il sovrano assegna il compito di trovare il sito giusto.
<< L’anno secondo, secondo mese dell’inondazione, giorno 17, il governatore Neferrenpet venne da Waset con il maggiordomo del re Hori e con il maggiordomo del re Amonkha, figlio di Tekhy… per cercare un luogo per scavare la tomba di User-Maat-Ra Setepenamon (Ramses IV) >>.
Dopo gli indispensabili riti funebri Ramses IV venne sepolto nella tomba KV2 che si trova nella Valle dei Re situata tra la KV1 di Ramses VII e la KV7 di Ramses II. La KV2 ha una particolarità, è una delle poche tombe delle quali si sono conservati due schizzi che rappresentano la pianta della tomba, oggi sono conservati presso il Museo Egizio di Torino. Uno è rappresentato sul recto di un papiro, il “Papyrus Turin 1885”, sul cui verso sono contenuti diversi testi amministrativi. L’altro è un ostracon calcareo che riporta uno schizzo che potrebbe essere stato un semplice disegno di un operaio.
Come per molte altre tombe, KV2 è conosciuta fin dall’antichità ed è stata visitata da numerose persone, sulle pareti ci sono oltre 700 graffiti greci e latini e circa 50 graffiti copti sparsi in tutta la tomba. In tempi moderni il primo a visitarla fu il missionario ed egittologo gesuita francese Claude Sicard che visitò l’Egitto nel 1718 cercando di identificare i luoghi antichi e biblici.
Nel corso degli anni furono molti gli egittologi che si recarono a visitare la KV2 tra questi: Pococke, Bruce, Burton e John Gardiner, tutti quanti però si limitarono a tracciare planimetrie della tomba senza approfondire più di tanto la ricerca, non va dimenticato che a quell’epoca non si conoscevano ancora i geroglifici. Fu solo con la Spedizione franco-toscana del 1828/29 che vennero eseguiti i primi rilievi epigrafici. In quanto a scavi bisognerà attendere fino al 1905 quando Edward R. Ayrton inizia la sua campagna per conto di Theodore M. Davis, che in quel tempo aveva la licenza di scavo nella Valle dei Re.
Durante i suoi scavi dal 1905 al 1906, Ayrton scoprì un totale di nove depositi di pietre di fondazione all’ingresso coperto di roccia, uno dei quali conteneva ancora oggetti di fondazione. Nel 1914 la licenza per scavare nella Valle dei Re passò a Lord Carnarvon, sei anni dopo Howard Carter iniziò a lavorare alla tomba. Dopo un po’ trovò altri cinque pozzi intatti. Il numero totale di questi pozzi è insolito, soprattutto perché alcuni erano inutilizzati.
La tomba misura 88,66 metri di lunghezza che si estendono interamente nella roccia con una pendenza minore di quella delle precedenti tombe reali. Si compone di tre corridoi in lieve discesa che conducono a tre camere oltre ad altre tre laterali sul fondo.
La camera funeraria è molto ampia, circa 61 metri quadri ed è alta 5,22 metri, rispetto alle altre tombe della valle questa di Ramses IV ha i soffitti molto alti ed i corridoi e le rampe piuttosto ampi. Gran parte delle decorazioni sono rimaste intatte. Alcune iscrizioni geroglifiche presenti nei corridoi, sono realizzate a rilievo incavato e dipinte a differenza di quelle delle camere che sono solo dipinte. Gli elementi che ricorrono nelle decorazioni sono di vario tipo, all’ingresso della tomba compaiono le dee Iside e Nefti che rendono omaggio al dio Ra nella forma di Khepri, al mattino e di uomo dalla testa di ariete la sera.
Nei corridoi sono rappresentati, nel primo il sovrano di fronte a Ra ed alcune “Litanie di Ra”, nel secondo continuano le “Litanie di Ra”, nel terzo ci sono scene del “Libro delle Grotte”. Nell’anticamera è rappresentato il “Libro dei Morti” mentre nella camera funeraria sono riportati vari testi provenienti dal “Libro dell’Amduat” e dal “Libro delle Porte” mentre il soffitto, invece delle solite rappresentazioni “astronomiche”, è decorato con il “Libro dei Cieli”.
Gli altri locali ed il sarcofago sono decorati con il “Libro delle Caverne”. Particolare curioso è che il colore dominante nella camera funeraria è il giallo a simboleggiare l’oro, il metallo degli dei onde il nome di “per-nebu” (casa d’oro).
Il sarcofago, in granito rosso a forma di cartiglio venne già distrutto nell’antichità, la mummia del faraone era stata spostata nella tomba KV35 del faraone Amenhotep II trasformata in deposito delle mummie per preservarle dai saccheggi e qui venne ritrovata nel 1898 .
Fonti e bibliografia:
Cyril Aldred, “I Faraoni: l’impero dei conquistatori”, Milano, Rizzoli, 2000
Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 2002
Alfonso Di Nola, “Dal Nilo all’Eufrate. Letture dell’Egitto, dell’Assiria e di Babilonia”, Edipem, Novara, 1974
Pierre Grandet, “Ramses III, Storia di un regno”, Parigi, Pigmalione, 1993
Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2006
Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Bari, Laterza, 1990
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Claire Lalouette, “L’impero dei Ramses”, Roma, Newton & Compton, 2007
Virgilio Ortega (a cura di), Egittomania – “L’affascinante mondo dell’Antico Egitto”, Da Agostini, 1999
Parliamo ora di quello che può essere considerato a tutti gli effetti l’ultimo, vero faraone del Nuovo Regno, l’ultimo ad esercitare appieno il potere regale sulle Due Terre. I suoi nomi principali erano Ramses-Hekainnu (Nato da Ra-Signore di Iunu [Eliopoli]) e Usermaatra-Meriamon (Potente è la Maat di Ra-Amato da Amon).
Figlio di Sethnakht e della Grande Sposa Reale Tiy-Mereneset regnò per oltre 30 anni su di un Egitto in piena decadenza politica ed economica dovuta a varie crisi interne che si sommarono a invasioni straniere.
Le notizie più importanti che riguardano Ramses III ci provengono dal Papiro Harris I la cui composizione fu ordinata da suo figlio Ramses IV. Altre fonti che ci parlano di questo sovrano le troviamo nel “Papiro giuridico” (o Della Congiura dell’Harem) conservato nel Museo Egizio di Torino. Il papiro descrive i processi svolti contro i cospiratori che assassinarono Ramses III durante la cosiddetta “Congiura dell’Harem” ordita dalla sua sposa secondaria Tiye e dal figlio Pentaur, ma di questo parleremo in seguito. Della congiura parlano anche altri due papiri, il “Papiro Rollin” ed il “Papiro Lee” che analizzano l’episodio sotto l’aspetto magico elencando le varie magie utilizzate dai cospiratori citando poi le pene inflitte (la pena di morte).
Altre notizie riguardanti Ramses III le troviamo anche nelle numerose iscrizioni e rilievi presenti nel suo tempio funerario di Medinet Habu dove viene riportata la descrizione della sua incoronazione:
<<…….quattro colombe giunsero dai quattro angoli dell’orizzonte per confermare che l’Horus vivente, Ramses [III] è (ancora) in possesso del Suo trono, e che l’ordine di Maat prevale nel cosmo e nella società…….>>.
Durante il suo regno Ramses III si trovò suo malgrado coinvolto in quello che viene definito “medioevo ellenico”. Un periodo che inizia intorno al 1200 a.C. in cui le popolazioni elleniche in generale si trovarono coinvolte, dapprima l’invasione dei Popoli del Mare poi la discesa dei Dori che causarono la fine della civiltà micenea per poi protrarsi fino alla nascita delle “Poleis” nell’800 a.C.; è in questo periodo che si inserisce anche la guerra di Troia. Anche l’Egitto risentì delle scorribande dei nomadi libici poi dei Popoli del Mare.
Fu nell’ottavo anno di regno di Ramses III che questi popoli, in gran parte Filistei, Danuna, Shardana e Mashuash, invasero la Palestina sconfiggendo gli ittiti e distruggendo le città di Karkemish e Ugarit e, dopo aver occupato Cipro tentarono di invadere l’Egitto sia per mare che via terra. Ma, come abbiamo detto sopra, Ramses III era un vero faraone, l’ultimo del Nuovo Regno, sconfisse i nemici in due epiche battaglie, la sua potente fanteria ricca di carri, li respinse nel Sinai mentre la flotta egizia li sconfisse quando questi tentarono di penetrare nei canali del Delta.
Ancorché meno esperti come uomini di mare, l’astuzia di Ramses III emerse in tutta la sua grandezza, schierò grandi formazioni di arcieri lungo le coste col risultato di tenere lontane le navi nemiche che vennero a trovarsi sotto una grandinata di frecce che impedivano l’approdo, quindi le navi egizie attaccarono le altre navi agganciandole con ramponi per trascinarle via. Infine nel combattimento corpo a corpo i guerrieri egiziani sbaragliarono i nemici. La battaglia è raccontata dallo stesso Ramses III che la fece incidere sulle pareti del suo grande tempio di Medinet Habu:
<<……. Quanto a coloro che hanno raggiunto il Mio confine, il loro seme non è più. Quelli che hanno avanzato insieme sul mare, la barriera di fiamme era davanti ad essi alle foci del fiume e una staccionata di lance li circondò sulla riva, li prostrò sulla spiaggia, [li] abbatté……..>>.
E Ramses III, paragonandosi a Montu il dio della guerra, continua:
<<……. fu preparata una rete per intrappolarli, e quelli che entrarono nelle foci del fiume vi rimasero presi e cadevano dentro, erano infilzati sul posto, massacrati, e i cadaveri fatti a pezzi…….>>.
Questi avvenimenti purtroppo incisero sull’economia del paese ed ingenerarono lotte intestine che neppure Ramses III, tanto meno i suoi successori, riusciranno a fermare, il declino dell’Egitto proseguirà per oltre un secolo fino alla fine della XX dinastia e con essa del Nuovo Regno. Ramses III soggiogò i Popoli del Mare riducendoli a suoi sudditi e, a suo dire, li fece stanziare a sud di Canaan; a questo proposito non esistono prove a sostegno. Secondo alcuni Ramses III non riuscì ad impedire che i popoli del mare si stanziassero a Canaan quindi tollerò la cosa dichiarando che era frutto di una sua personale deliberazione. Fu così che Ramses III dovette subire la formazione di nuovi Stati nella regione dove nacque la cosiddetta “Pentapoli filistea” formata da Gaza, Ascalona, Gath, Ekron e Ashod che causarono il collasso dell’impero egiziano in Asia.
Secondo la Bibbia da quelle parti doveva trovarsi anche Israele ma nessuna notizia storica lo conferma. Ramses III si trovò ad affrontare anche due grandi invasioni nella parte occidentale del Nilo da parte dei Libu e dei Mashuash nel 5º e 11º anno di regno. Ramses III riuscì a vincere in tutte e due le battagli anche grazie alla profonda riforma effettuata nell’organizzazione della struttura dell’esercito che venne suddiviso in corpi separati, fanteria appoggiata da carri da guerra, vasto impiego nelle fila dell’esercito di truppe mercenarie (Libu, Shardana e Kehek), corpi ausiliari e reparti di sussistenza. A fronte di tali vittorie i popoli dell’area medio orientale non osarono rifiutare i tributi allo stato e non ostacolarono le spedizioni egiziane che continuarono a sfruttare le miniere e le cave del Sinai, cosa che fu di grande giovamento durante il regno del figlio, Ramses IV.
Lo sforzo con il quale Ramses III si impegnò per riportare l’Egitto alle passate glorie non fu sufficiente a coprire il costo elevato delle campagne militari ed a risentirne fu il tesoro dello Stato che venne via via gravemente intaccato. Questo contribuì alla progressiva perdita dell’influenza egiziana in Asia. La gravità della situazione ebbe una forte ripercussione intorno al ventinovesimo anno di regno quando non fu neppure più possibile provvedere all’invio delle razioni spettanti ai lavoratori che scavavano le tombe a Deir el-Medina. Scoppiò una sommossa che originò il primo “sciopero” della storia, documentato nel famoso “Papiro dello sciopero”, conservato a Torino, del quale abbiamo già ampiamente parlato.
Ma cosa contribuì ad accentuare una decadenza che, anche se ormai era nell’aria da tempo, ebbe ripercussioni così gravi che andarono via via accentuandosi fino a creare un collasso politico ed economico, causa di un periodo di crisi interne tali da ingenerare sommosse popolari dovute alla scarsità di cibo. Le inondazioni del Nilo si fecero più scarse mandando in crisi l’agricoltura, il grano iniziò a scarseggiare al punto da costringere a ridurre le razioni distribuite agli operai che, come abbiamo già detto in precedenza, indissero uno sciopero documentato in un papiro conservato a Torino. La causa di tutto il disordine che si verificò in Egitto, e non solo, in quanto furono colpite anche le popolazioni dell’intera Mesopotamia ed a quanto è emerso da studi recenti anche l’intera Europa.
Oggi gli studi di esperti geologi e vulcanologi hanno portato a pensare che le cause siano da riportare ad un evento climatico catastrofico. Il Prof. Francis Ludlow, esperto in vulcanologia del Trinity College, a Dublino, ha svolto una approfondita ricerca nella quale è stato analizzato il comportamento dei vulcani durante tutto il neozoico. Per la precisione il neozoico è il periodo attuale che va da 2,5 milioni di anni fa ai giorni nostri ed è diviso in due epoche, pleistocene e Olocene. Le evidenze maggiori sono emerse dallo studio dei vulcani islandesi, una delle più grandi eruzioni del supervulcano Hekla, il più noto d’Islanda, del quale nell’ultimo millennio sono state censite una ventina di eruzioni, pare abbia generato una potente eruzione proprio nell’epoca che stiamo trattando.
Le eruzioni dei vulcani islandesi creano grossi problemi all’attuale traffico aereo, ma quelle del supervulcano Hekla devono essere state veramente catastrofiche. Pare che durante il regno di Ramses III, o poco prima, si sia verificata una violenta eruzione che immise nell’atmosfera milioni di tonnellate di polveri e ceneri che, trasportate dai venti, si sparsero per tutta l’Europa investendo anche il Medio Oriente ed il nord Africa, Egitto compreso. Questo terribile evento contribuì a rallentare le alluvioni del Nilo; si sa che la prosperità dell’antico Egitto era legata al Nilo e alle sue inondazioni, alimentate dai monsoni e fondamentali per sostenere l’agricoltura della regione. Questa andò in crisi per quasi due decenni, già sotto Ramses III iniziò a verificarsi un abbassamento della temperatura alla quale l’Egitto non era preparato.
Per correttezza bisogna però dire che la causa principale della mancanza di inondazioni del Nilo non è ancora del tutto chiara, nonostante spesso sia avvenuta in coincidenza di eruzioni vulcaniche. Cosa che si è verificata nuovamente ed ha potuto essere accertata:
<<…….incrociando i dati sulle eruzioni, contenuti nelle carote di ghiaccio estratte in Antartide e Groenlandia, con le notizie sulle sommosse popolari dell’antico Egitto e la storia dei livelli dell’acqua del Nilo. In questo modo è stato possibile collegare l’indebolimento dei monsoni nel periodo compreso tra il 305 e 30 a.C, a eruzioni vulcaniche e ribellioni popolari, come quella iniziata del 207 a.C e durata circa 20 anni……>>.
(Coloro che fossero maggiormente interessati ad approfondire l’argomento delle eruzioni vulcaniche islandesi ed il loro impatto sulla società egizia, e non solo, può consultare le pubblicazioni del Prof. Francis Ludlow del Trinity College di Dublino e del Prof. Michael McCormick del Dipartimento di Storia della Johns Hopkins University).
Gli effetti maggiori si fecero sentire poi sotto i regni di Ramses VI e Ramses VII. Ovviamente (in un certo senso) tutte queste vicende non vengono narrate nelle rappresentazioni sui monumenti ufficiali, Ramses III era troppo impegnato a cercare di emulare il suo avo Ramses II con l’intento di dimostrare l’esistenza di una tranquilla continuità del proprio regno con quello del suo grande predecessore. Anche se direttamente non trasmise ai posteri il decadimento in cui si trovava il paese conducendo una vita tranquilla, gli ultimi periodi della sua vita non furono proprio tanto tranquilli. A farcelo sapere è proprio suo figlio e successore Ramses IV il quale fece redigere il famoso “Papiro Giuridico” o (Papiro della congiura dell’Harem” che oggi si trova al Museo Egizio di Torino
Come abbiamo detto in precedenza, gli ultimi anni di regno di Ramses III non furono tranquilli ma nulla lasciava prevedere come si sarebbero conclusi. Ramses III ebbe tre mogli, la prima Grande Sposa Reale era la regina Iside-Hemdjert, le altre due erano Tyti e Tiye, tra i vari figli ebbe il suo diretto successore Ramses IV Amonherkhopeshef dalla sposa Tyti, il futuro Ramses VI dalla regina Iside-Hemdjert e colui che diverrà poi Ramses VIII sempre da Tyti; ebbe anche un altro maschio Pentaour dalla sposa secondaria Tiye.
Verosimilmente Pentaour non avrebbe avuto nessuna possibilità di succedere al padre in linea diretta e questo non era gradito a Tiye che ordì una congiura per tentare di porre sul trono il proprio figlio ma perché ciò avvenisse, Ramses III e il principe Ramses (futuro Ramses IV) dovevano essere eliminati. Tiye fu in grado di convincere, corrompendoli, maggiordomi, ufficiali, dignitari e funzionari d’ogni livello dell’amministrazione e si avvalse dei servi per portare messaggi oltre le mura dell’Harem. Ad organizzare la tresca ci pensò l’importante funzionario di corte Pebekkamen che divenne il fiduciario di Tiye nel gestire l’andirivieni clandestino delle informazioni. Pebekkamen si avvalse anche dell’aiuto di un maggiordomo di nome Mastesuria, un ispettore del bestiame di nome Panhayboni e due amministratori, Panuk e Pentua.
Nella primavera del 1155 a.C., Ramses III si era reinsediato a Tebe per la celebrazione della festa rituale di ringiovanimento e rigenerazione, la Heb-Sed, quel giorno si recò nel suo Harem come era solito fare ma questa volta l’accoglienza non fu per nulla cordiale. Grazie all’abilità di Panhayboni i cospiratori, dopo aver convinto l’ispettore del tesoro reale, Pairy, riuscirono a penetrare nell’Harem. Il fatto stesso che tutti questi cospiratori siano riusciti a penetrare nel sorvegliatissimo Harem reale denuncia la crisi della corte e l’inizio della inarrestabile decadenza delle istituzioni che fecero grande il Nuovo Regno.
La congiura si basò principalmente sull’uso della “magia nera” con la quale cercarono di confondere le guardie dell’Harem riuscendo così a passarsi le disposizioni da attuare. Con il ricorso a incantesimi e formule magiche i congiurati cercarono anche di infrangere la protezione naturale dei molti dei e geni che possedeva il faraone quando indossava sul copricapo reale l’ureo. Gli incantesimi e i sortilegi furono praticati dal mago di corte, Prekamenef, e dal medico personale di Ramses III, Iyroy. Tanto doveva essere il terrore dei cospiratori i quali stavano per eseguire uno dei più grandi sacrilegi della religione egizia, l’uccisione di un faraone, il dio in terra, che continuarono a praticare incantesimi anche mentre l’aggressione al re aveva luogo.
La congiura era stata in effetti ben preparata e raggiunse lo scopo prefissato, Ramses III fu assassinato anche se in un primo momento pare che il re sia sopravvissuto per alcuni giorni all’attentato. Ma come venne ucciso Ramses III? La questione è stata dibattuta a lungo sollevando varie discussioni nel corso degli anni. Il fatto che sia stato riportato che il re sopravvisse per alcuni giorni all’attentato portò gli studiosi a credere che l’arma che lo uccise fosse il veleno. L’esame della mummia non fu sufficiente ad indurre qualcuno a chiedersi cosa ci facevano delle bende avvolte intorno al collo del sovrano, cosa mai riscontrata in altre mummie.
Nessuno si preoccupò del fatto anche perché il corpo del faraone non presentava ferite evidenti. Recentemente un gruppo forense tedesco ha effettuato un approfondito esame della mummia ponendo particolare attenzione al bendaggio eccessivo intorno al collo. La cosa insospettì due professori di radiologia dell’Università del Cairo, il prof. Ashraf Selim e Sahar Saleem i quali sottoposero la mummia ad una tomografia computerizzata l’esito della quale lasciò stupefatti i radiologi. Dalla TAC è emerso che le bende nascondono una gravissima ferita lungo tutta la gola talmente profonda da raggiungere le vertebre. “Una ferita a cui nessuno avrebbe potuto sopravvivere” fu il commento. Dall’esito degli esami condotti il paleopatologo Albert Zink, dell’Eurac di Bolzano, l’esperto di genetica molecolare di Tubinga Carsten Puser, con la collaborazione dell’egittologo Zahi Hawass sono giunti alla conclusione che Ramses III sia morto in seguito al taglio della gola e non per avvelenamento. Da uno studio più approfondito degli esiti della TAC sulla mummia venne notato che la stessa era mancante dell’alluce sinistro che risultava reciso di netto, probabilmente con una scure.
Gli imbalsamatori posero pietosamente un rotolino di lino per nascondere tale violenza, aggiunsero anche sei amuleti attorno al piede per favorirne la guarigione nell’aldilà. Una curiosità, nella cachette di Deir el-Bahari (DB320), accanto alla mummia di Ramses III è stata rinvenuta la mummia di un giovane uomo sconosciuto. La mummia è stata sottoposta alle stesse analisi di quella di Ramses III ed è emerso che entrambe condividono l’aplogruppo del cromosoma Y Elbla oltre al 50% del materiale genetico; secondo il Prof. Zink questo significherebbe che i due potrebbero essere padre e figlio. Poiché la mummia del giovane non era bendata ma avvolta in una pelle di capra, ritenuta sprezzante perché ritualmente impura, ciò ha portato a identificare i resti in questione con il figlio cospiratore Pentaour.
Tornando alla congiura, i cospiratori non furono in grado di portare a termine il loro piano, Ramses IV prese subito il controllo della situazione, i congiurati furono subito catturati. Subito si istituì un processo a dirigere il quale vennero convocati dodici autorevoli magistrati per fare completa luce sull’accaduto. Come abbiamo detto il “Papiro giuridico” di Torino è la fonte principale su questa vicenda, fatto redigere da Ramses IV, elenca, con dovizia di particolari, i processi che vennero celebrati, emergono figure di rilievo coinvolte nel complotto. Primi fra tutti Tiye ed il figlio Pentaour, il maggiordomo Pebekkamen oltre a sei concubine, sette funzionari di Palazzo, due ispettori del Tesoro, due ufficiali dell’esercito, due scribi reali, il potente comandante dell’esercito in Nubia e un araldo.
Il resoconto dei tre processi che furono istituiti parla di 38 condanne a morte ma il numero dei condannati fu sicuramente più alto se si tiene conto che ai personaggi d’alto rango fu concesso di suicidarsi. Il Papiro racconta inoltre che furono anche condannati sette magistrati che vennero sedotti da alcune concubine alle quali cedettero, per loro la pena consistette nel taglio del naso e delle orecchie. Nessun accenno viene fatto nei testi che decorano i templi e la tomba di Ramses IV in quanto vigeva la disposizione che impediva di redigere nei testi ufficiali i peccati contro la Maat, ossia contro la giustizia e l’ordine cosmico che era garantito dal faraone, tali fatti potevano solo comparire nei documenti d’archivio.
Fonti e bibliografia:
Franco Cimmino, “Ramesse II il Grande”, Milano, Tascabili Bompiani, 2000,
Sergio Pernigotti, “L’Egitto di Ramesse II tra guerra e pace”, Brescia, Paideia Editrice, 2010
Kenneth Kitchen, “Il Faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo”, Bari, Laterza, 1994,