A cura di Ivo Prezioso

Il Cairo, Museo Egizio. Altezza cm. 18,3
Quando sul pavimento dell’anticamera fu scorta questa meraviglia, un oggetto in alabastro traslucido che, alla luce delle torce, rimandava bellissimi riflessi, Carter ne restò particolarmente affascinato. Si trovava lì, sicuramente abbandonata dai profanatori, probabilmente colti sul fatto. Si tratta di un calice a forma di fior di loto in piena fioritura con i petali arrotondati magnificamente scolpiti in bassorilievo. E’ ricavata da un unico blocco di calcite ed è sostenuta da un piede a forma di tromba rovesciata dal quale si dipartono due elaborate composizioni che vanno a costituirne i manici. Tre steli per ciascun lato, prendono la forma di fiori di loto blu (uno aperto e due boccioli) in cima ai quali, inginocchiata su un cesto “neb”(= signore), si staglia la figura di Heh, il dio simboleggiante l’eternità. Tiene in ciascuna mano un ramo di palma le cui tacche per il computo rappresentano il geroglifico “rnpt” (=anno). Esso poggia su un girino (equivalente di centomila) a sua volta disteso su un simbolo “shn”(= infinito). Tra le mani del dio sono presenti due “ankh”(= vita). L’intera rappresentazione è, quindi, l’augurio di regno eterno per il faraone. Il fiore di loto a calice aperto che forma la coppa è quello della varietà bianca che sembra essere stato utilizzato nell’antico Egitto espressamente come modello per la realizzazione di eleganti oggetti per servire da bere. Nella collezione dell’ Eton College è conservato il frammento di una placca che mostra Tutankhamon sorseggiare da un calice simile. La coppa è inoltre decorata da una serie di raffinate iscrizioni incise e riempite con pigmento blu. Al centro, un rettangolo riporta all’interno il nome e il prenome del faraone affiancati da un’iscrizione che lo definisce “Amato da Amon, Signore dei troni delle Due Terre e del Cielo”. Il bordo ospita, invece, due iscrizioni distribuite sulla stessa linea.

La lettura inizia dal centro, precisamente dal segno “ankh” in un gioco di simmetria così tipico dei canoni estetici egizi. Una metà del testo ci restituisce la titolatura del re, l’altra metà recita “Che abbia vita il tuo Ka, possa tu trascorrere milioni di anni, oh tu che ami Waset (Tebe), seduto col tuo viso verso il vento del nord, i tuoi occhi vedendo la felicità”. Per questa frase l’oggetto fu soprannominato “Tazza dei desideri”.
QUI L’ANALISI FILOLOGICA COMPLETA A CURA DI LIVIO SECCO
Carter doveva essere particolarmente legato a questo reperto. Dispose infatti che sulla sua lapide nel cimitero di Putney Vale a Londra fosse scolpita proprio questa frase. Parole che nonostante i 3300 anni trascorsi conservano intatte la loro eterna bellezza.
