Arte militare, Fortezze

TELL RAS BUDRAN

LE FORTEZZE DELL’ANTICO EGITTO

Posizione del forte di Tell Ras Budran rispetto al porto di Re Khufu di Wadi al-Jarf.

Quando pensiamo alla civiltà egizia la prima cosa che viene in mente è la loro abilità costruttiva e la fantasia corre verso Giza, Luxor e Abu Simbel. Ma gli antichi egizi erano anche abili costruttori di imperi per cui necessitavano di imponenti fortificazioni non solo per la difesa dei vasti territori ma anche per il controllo degli intensi commercii che vi si svolgevano.

L’incremento di una febbrile attività di costruzioni sviluppatasi fin dalla terza dinastia determinò una forte esigenza di manodopera per ricerca urgente di materiali. Questi ultimi erano ricercati anche in località distanti. L’esempio più classico sono le cave di Tura, lontanissime, con il cui finissimo calcare venivano rivestite le piramidi. A tal fine venivano organizzate non solo spedizioni verso miniere o cave già conosciute, ma anche spedizioni esplorative, alla ricerca, cioè, “di nuove fonti di rocce e di pietre da recuperare”.

Di dette spedizioni, “molte erano anche commerciali, allo scopo di procurare quei beni che servivano alla produzione di corredi funerari come legnami e metalli preziosi”. Le spedizioni effettuate soprattutto nel Sinai permisero di stabilire contatti stabili con i paesi confinanti.

Le fortezze, perciò, costituivano un grande capitolo dell’architettura egizia; erano costruite “in base a modelli vari, “l’uno destinato a caposaldo e sbarramento, l’altro ad appoggio per le truppe di guardia alla frontiera”.

Quello che resta del forte di Tell Ras Budran.
Si intuisce la forma circolare del forte.

Nella penisola del Sinai, sulla Piana di El-Markha, è stata trovata la fortezza di Tell Ras Budran che aveva l’evidente scopo di proteggere le spedizioni che si spostavano verso l’Asia, per contrastare i Beduini, popolazioni nomadi della penisola.

Il sito si trova a circa 150 m. dal golfo di Suez.

A sinistra: ricostruzione del forte di Tell Ras Budran
A destra: rilevamento del sito scavato (G.MUNDORF, mod.)

La pianura di El-Markha, nei tempi antichi, faceva da punto di ancoraggio per le spedizioni egizie nella regione mineraria del Sud Sinai. L’università di Toronto ha studiato a fondo il sito e ha scoperto “una struttura circolare in pietra del tardo Antico Regno”: è uno dei tre forti egiziani identificati tra il primo periodo dinastico e l’Antico Regno. Per gli archeologi il forte risale alla IV dinastia (XXVI Sec. a.C.) ed è considerato contemporaneo al porto di Wadi el Jarf, situato sull’altro lato del Golfo.

Alcuni studiosi “suggeriscono che il forte fosse legato al porto poiché il molo era il quartiere generale di alcune spedizioni minerarie nel Sinai durante la costruzione della Grande Piramide”.

Vista satellitare di Tell Ras Budran

Questa Fortezza è tra le più antiche a possedere merli e bastioni e presenta una insolita forma circolare e un insolito utilizzo della pietra per questo tipo di costruzione. Una volta liberato dalla sabbia l’edificio ha mostrato una struttura costruita con pietra calcarea grezza, un diametro di circa 40 m. e un muro che alla base ha uno spessore di 7 m.

L’interno del Forte rivela buchi di palo profondi e fosse poco profonde che suggeriscono la possibilità di magazzini per lo stoccaggio e di una tettoia che copriva un cortile all’aperto; non risultano però presenze di costruzioni o abitazioni, il che fa supporre che il presidio militare stazionasse solo per tempi brevi (stagionalmente).

Il porto di Ouadi el Jarf
Il complesso del porto disponeva di un molo di pietra, a forma di L, che si estendeva in mare per una lunghezza di circa 300 m che risulta ancora parzialmente affiorante durante la bassa marea. Il porto era sovrastato da un alamat, una sorta di torre di pietre ammassate che veniva usata come segnale per individuare il porto lungo una costa poco differenziata nel suo sviluppo.

“La stagionalità del suo uso è dimostrata anche dal fatto che il forte fu occupato, poi abbandonato per essere in seguito nuovamente rioccupato, sempre e comunque durante L’Antico Regno”.

Uno dei papiri ritrovato nell’antico porto di Wadi al-Jarf
Il ministro delle Antichità egiziano Khaled el Anany ha inaugurato al Museo Egizio l’archivio dei papiri del re Cheope. La collezione di papiri – “il più antico esempio di scrittura egiziana mai rinvenuto”, ha detto el Anany – è stata ritrovata nel 2013 nell’antico porto di Wadi el-Jarf a 119 km da Suez grazie ad una missione franco-egiziana. L’importanza dei papiri è legata al fatto che descrivono affascinanti dettagli della vita quotidiana degli antichi egizi e rivelano informazioni sui lavori preparatori per la Piramide di Cheope, con dettagli sulla vita quotidiana dei costruttori e dei funzionari della IV dinastia (dal 2620 a.C. al 2500 a.C.). © ANSA

I documenti contemporanei del tardo Antico Regno riferiscono ampiamente le campagne egizie contro gli “abitanti della sabbia” asiatici e il massacro beduino di una spedizione egiziana vicino al Mar Rosso.

Parte delle numerose ancore ritrovate nel porto di Wadi al-Jarf

FONTE DELLE FORTEZZE:

  • LIVIO SECCO- CONFINI DI PIETRA- LE FORTEZZE DELL’ANTICO EGITTO-KEMET
  • S.CURTO-L’ANTICO EGITTO-SOCIETÀ E COSTUME-UTET
  • WIKIPEDIA
  • ANSA
Arte militare

TATTICHE MILITARI EGIZIE

Manovra Avvolgente
Manovra Convergente

Di Livio Secco

Questo argomento è una specificazione di quello dedicato all’interrogatorio degli esploratori catturati a Qadesh per rispondere alla domanda:

Poiché ritengo che il quesito sia di interesse generale sarà opportuno risponderle con un post specifico.

Definire una manovra militare “a tenaglia” è molto poco professionale però rende bene l’idea di una formazione militare che si faccia sorprendere ed attaccare contemporaneamente da due direzioni diverse, preferibilmente opposte. In questo modo per il difensore non ci sarà scampo.

L’OPLOLOGIA EGIZIA, quasi totalmente trascurata in Italia, ci insegna che i thutmosidi applicavano la MANOVRA CONVERGENTE mentre i ramessidi preferivano la MANOVRA AVVOLGENTE.

Entrambe si basavano su questo semplice concetto.

L’Asia veniva invasa con una spedizione militare completa di carreria, fanteria (pesante, leggera, arcieri) e logistica. Arrivati a Megiddo l’ala sinistra dell’esercito si distaccava dal grosso e proseguiva verso Nord sulla VIA COSTIERA, mentre tutto il resto della formazione proseguiva sulla VIA ORIENTALE.

Il grosso avrebbe impegnato il nemico, mentre l’ala sinistra, convergendo al momento opportuno avrebbe preso alle spalle l’avversario. Una vera e propria “tenaglia”.

Ma se il movimento reciproco delle due formazioni era identico perché definire l’avvicinamento in modo diverso?

Semplicemente perché la MANOVRA CONVERGENTE prevedeva che l’ala sinistra rimanesse dotata della propria logistica. Ciò obbligava la formazione a rimanere sulle strade battute avendo al seguito dei pesanti carriaggi. Quindi attraversava ogni centro abitato asiatico.

Diversamente la MANOVRA AVVOLGENTE lasciava proseguire l’ala sinistra sulla Via Costiera ma senza la logistica. Ciò permetteva alla formazione laterale di proseguire più speditamente perché non appesantita dai carriaggi. Inoltre essa poteva evitare l’attraversamento dei centri abitati perché non necessitava delle strade battute e quindi poteva passare più inosservata agli occhi del nemico risultando meno intercettabile.

Un suo problema era che per la sussistenza dipendeva dal grosso dell’esercito il quale possedeva tutta la logistica, anche quella dell’ala sinistra. Ciò significava che tra l’ala e il grosso avvenivano spesso contatti.

Di converso c’era una notevole positività. Il re sapeva sempre perfettamente dov’era la sua ala, appunto perchè i contatti avvenivano più volte al giorno.

Questo salvò Ramesse durante la battaglia.

Molti commentatori parlano di un arrivo fortunoso e casuale di rinforzi non ben definiti, non ben identificati. Addirittura si parla di contingenti locali di città alleate.
Assolutamente sbagliato.
Era l’ala sinistra.
Ramesse quando capì che la sorpresa tattica dell’ala era ormai svanita richiese la sua immediata presenza sul campo di battaglia. Di più. Si fece urgentemente anticipare le unità carriste (più veloci) in modo da contenere l’aggressione della proiezione ittita sulla Amon. Chi lo dice? Ma il semplice fatto che la carreria dell’ala sinistra non si posizionò dietro gli Ittiti con un largo giro della pianura, ma si ridispiegò a fianco del faraone segno evidente che gli ordini precedenti erano completamente stati cambiati per la nuovissima e gravissima situazione tattica.

Per essere più chiaro allego le due diapositive relative al cambio tattica, prese dalla conferenza e dal Quaderno di Egittologia 10.

DIAPOSITIVA 1: IL PIANO DI BATTAGLIA ORIGINALE
Ubicato il nemico la Amon e la Ra sosterranno i primi assalti e si impegneranno in un’azione di logoramento delle unità ittite dando tempo alla Ptah e alla Seth di raggiungere il campo di battaglia per assestare il colpo finale.
Dalla costa, attraverso il passo di Eleutherós, giungerà l’ala sinistra a chiudere ogni possibile via di fuga di Muwatalli.
Da tenere ben presente come l’analisi del territorio dimostri che l’unica via di fuga per gli asiatici sia verso EST dove appunto si apposterà l’ala sinistra. Ad OVEST il terreno si alza su rilievi significativi, mentre verso Est c’è la pianura del fiume Oronte.

DIAPOSITIVA 2: IL NUOVO PIANO DI BATTAGLIA
Con sufficiente tempismo compare sul campo di battaglia l’ala sinistra che, uscita dal passo dell’Eleutherós ha raggiunto velocemente la piana di Qadesh.
Però non raggiunge il punto previsto per tagliare la ritirata degli Ittiti ma, molto più opportunamente, si ridispiega a fianco di Ramesse II.
Anche se i resoconti egizi a proposito tacciono, questo significa che erano partiti dei messaggeri in direzione della costa per allertare l’ala sinistra facendone anticipare almeno le formazioni carriste che erano le più veloci e delle quali il faraone aveva assoluta necessità.
Il fatto che i carri dell’ala sinistra si ridispieghino immediatamente a fianco di Ramesse II, già pienamente operativi e in completo assetto da battaglia, vuol dire che avevano ricevuto ordini nuovi e che, quindi, già sapevano che il piano originale non era più valido.

Arte militare, Fortezze

IL COMANDANTE DI FORTEZZA NEB-RA

Di Livio Secco

La statua di Neb-Ra ritrae il comandante in capo di una importantissima fortificazione sul fronte Ovest, quella contro la Libia.

Ho incontrato questo personaggio facendo la storia dell’edilizia militare dell’antico Egitto. Ne ho derivato un’argomentazione piuttosto interessante che ho dovuto dividere in quattro conferenze: due relative al fronte Sud (nubiano), la terza sul fronte Est (asiatico) e la quarta sul fronte Ovest (libico).

Non potendo in questa sede affrontare l’intero discorso mi limito a farvi “vedere” la fortezza della quale Neb-Ra era il comandante.

DIAPO 1: copertina della conferenza

DIAPO 2: mappa del Delta Occidentale con le popolazioni libiche e la linea delle fortificazioni egizie. La fortezza di Neb-Ra è l’ultima, la più lontana dal territorio metropolitano, quella più occidentale: Zawiyet Umm el-Rakam.

DIAPO 3: Insieme a Kom Firin Zawiyet è uno dei più importanti siti fortificati che sono stati esplorati in dettaglio.
Il forte è situato sulla costa a 300 km ad Ovest di Alessandria.
Ha una superficie di 20.000 mq ed è stato studiato da una missione britannica guidata da Steven Snape.
Le sue alte mura erano spesse da 4 a 5 m con le basi protette da un terrapieno che scendeva verso l’esterno. Il lato Nord Est aveva al centro una porta bastionata. Dei magazzini sono stati liberati dalla sabbia così come un tempio in pietre calcaree ed una zona residenziale. Nei magazzini sono stati ritrovati cocci di vasellame cananeo, cipriota ed egeo dimostrando così l’importanza commerciale del forte.
Nelle immagini: mappa della fortificazione e restituzione grafica dell’accesso bastionato.

DIAPO 4: L’analisi stratigrafica di Zawiyet e il recupero dei reperti dimostra che la fortificazione fu edificata all’inizio del regno di Ramesse II e che fu occupata fino alle prime invasioni dei libici sotto il regno di Merenptah.
La potenza delle tribù libiche e il loro movimento verso Est deve aver impressionato fortemente la guarnigione che, non potendo contare su una forza superiore ai 500 uomini, non poteva contenere un’invasione di massa.
Il fatto che manchino le tipiche tracce di distruzione lasciano quindi supporre che il forte fu abbandonato piuttosto che espugnato da eserciti invasori.
Nelle immagini: in alto, parte delle rovine; al centro, l’accesso bastionato; sotto, la pavimentazione della costruzione meridionale della quale si ignora la funzione.

DIAPO 5: e veniamo al nostro comandante. Alcune fonti testuali relative al sito, documentano la presenza di un certo Neb-Ra. Egli risulta essere il comandante del forte ed è stato possibile ricostruirne in parte la carriera.
Il personaggio è onnipresente nelle raffigurazioni della fortificazione, ma sembra aver oltrepassato il limite delle proprie funzioni auto investendosi di ogni potere. Molto probabilmente approfittò del fatto che il sito era decisamente lontano dalla madrepatria e che sarebbe stato difficile per i suoi superiori controllare le sue azioni. In ogni caso ad un certo punto Neb-Ra cadde in disgrazia e questo è dimostrato dal fatto che alcune pietre con la sua effige sono state reimpiegate come pavimentazioni di alcune porte. In altri casi il suo nome è evidentemente cancellato.

A coloro che fossero interessati all’edilizia militare egizia non mi resta che consigliare la prima e, al momento, unica monografia divulgativa CONFINI DI PIETRA – Le fortezze dell’antico Egitto che potete trovare qui https://www.amazon.it/Confini…/dp/889933417X/ref=sr_1_1…

Arte militare, Tutankhamon

GLI ARCHI DI TUTANKHAMMON

Di Luisa Bovitutti

All’interno della tomba di Tutankhamon sono stati trovati moltissimi archi di due differenti tipologie, ora esposti al museo del Cairo.

Alcuni archi di Tut

Il primo modello è l’arco di legno cosiddetto “semplice”, ottenuto con un’asta priva di giunte e dotato di un’unica curva realizzata con una tecnica di piegatura a caldo, che diventava ancora più accentuata quando veniva teso; l’impugnatura e l’estremità dei flettenti era decorata con lamine d’oro.

Il secondo è l’arco composito “angolare” (cosiddetto per la sua forma), anch’esso in legno di acacia ma dalle migliori prestazioni; esso infatti, pur essendo di dimensioni ridotte ed adatto ad essere utilizzato su di un carro in corsa, aveva grande flessibilità, potenza e precisione.

Gli archi compositi venivano realizzati secondo una tecnica sviluppata in Mesopotamia ed introdotta in Egitto attorno al XVII secolo a. C., che prevedeva che l’asta di legno venisse rinforzata all’interno con corno per resistere alla compressione ed all’esterno con tendine per sopportare la trazione; le estremità dei flettenti avevano sedi su cui infilare i cappi terminali di una corda fatta con strisce di budello o di lino attorcigliate.

La corda e modalità di ancoraggio all’arco

La forma era simile a quella dei moderni archi ricurvi, ma la venatura del legno e le tracce della corda testimoniano che essi erano concepiti per essere incordati dalla parte opposta, ottenendo un profilo che ricorda la lettera beta.

Ramses III raffigurato a Medinet Habu con l’arco senza corda

L’uso di questo tipo di arco è documentato dai rilievi e dalle pitture egizie dei secoli successivi, in particolare nelle raffigurazioni di Ramses III che combatte i popoli del mare, nel tempio di Medinet Habu.

Ramses II raffigurato ad Abu Simbel, mentre sta scoccando una freccia nel corso della battaglia di Kadesh

LA FARETRA E L’ARCO COMPOSITO “LIMITED EDITION”

Gli egizi usavano l’arco per la caccia e la guerra e a far tempo dalla XVIII dinastia lo trasportavano insieme alle frecce in faretre di legno che potevano essere appese ai carri.

Questa magnifica faretra in legno placcato in oro e l’arco composito raffigurati nelle fotografie provengono dalla tomba di Tutankhamon; la faretra è decorata con scene che lo raffigurano in forma di sfinge ed a caccia con il carro; anche l’arco è finemente decorato e reca i suoi cartigli e il disegno di un piccolo cavallo.

Arte militare

LE RAZIONI MILITARI

Di Luisa Bovitutti

Abbiamo visto nella tomba di Userhat la scena dei soldati in fila davanti al magazzino per ricevere la razione di pane che, in assenza di moneta, costituiva la loro retribuzione insieme ad altri beni di prima necessità; i militari di stanza nelle fortezze nubiane riscuotevano quanto loro dovuto ogni 10 giorni, previa consegna all’addetto di un gettone o di un cono di legno sul quale era inciso l’ammontare del compenso.

Quelli raffigurati nelle immagini risalgono alla XII dinastia, furono trovati nella località di Uronarti, nella Bassa Nubia (ora Sudan), e sono custoditi presso l’MFA di Boston.

Il gettone ha il diametro di cm. 13,1 e reca sul dritto la data di emissione, (anno 23 Amenemhat III), il numero 70 (incisi), un segno djed in orizzontale tracciato in inchiostro nero; sul rovescio ha il segno nefer; non è stata trovata alcuna spiegazione per i tre forellini lungo il diametro, mentre quello più grande serviva probabilmente per poterci infilare un cordino atto ad appenderlo al collo.

Il cono è lungo cm. 22 e pare che anch’esso fosse destinato ad essere appeso dal lato più stretto.

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale anche il Canada utilizzò un analogo sistema per contingentare la vendita della carne: i cittadini potevano acquistare la propria razione solo presentando i buoni ricevuti dall’Amministrazione; ogni buono poteva essere frazionato in otto gettoni come quello azzurro che vedete nella foto qui sotto, in pasta di legno con il foro al centro.
Esso è custodito nel piccolo museo canadese “Sam Waller”, sito a Le pas (Manitoba), che espone oggetti strani del recente passato, raccolti nel corso della sua vita dal personaggio dal quale esso prende il nome.

Arte militare, Vita quotidiana

I NOVE ARCHI

Di Francesco Alba

Popolazioni soggette all’Egitto durante la Diciottesima Dinastia:

Queste raffigurazioni compaiono su una parete della tomba di Anen, funzionario di corte nel corso della Diciottesima Dinastia e fratello della regina Tiy.

La pittura murale nella sua interezza raffigura Amenhotep III e la regina Tiy. Sotto di loro vi sono nove prigionieri, che rappresentano i nove paesi nemici controllati dall’Egitto in quel periodo (i Nove Archi):

1. Shasu – Nomadi (beduini) – Levante meridionale

2. Mentju nu Setjet – Nomadi – Isola di Sehel (Setjet), Bassa Nubia

3. Tjehenu – Libici

4. Iuntju – Nomadi nubiani “Arcieri”

5. Keftju (Caphtor) – Minoici; Cretesi

6. Irem – Nubia Superiore

7. Naharin – Mitanni, Siria settentrionale

8. Kush – Nubia Superiore

9. Sangar – Mesopotamia meridionale

I prigionieri portano degli steli di loto e di papiro attorno al collo; il loto dell’alto Egitto per i Nubiani e il papiro del basso Egitto per gli Asiatici e i Libici.

I Nove Archi

Col termine “Nove Archi” ci si riferiva ai nemici tradizionali dell’Egitto presumibilmente sia per il loro utilizzo in battaglia di archi e frecce sia a causa del rituale dello “spezzare gli archi” fisicamente, quale metafora della sconfitta militare e della resa. Designare con questo termine dei nemici ben precisi era una questione di scelta, ma la selezione generalmente includeva Asiatici e Nubiani.

I Nove Archi venivano di solito rappresentati come file di archi (anche se il numero effettivo può variare), ed erano regolarmente utilizzati per decorare elementi d’arredo della dimora reale come poggiapiedi e base del trono, perché il faraone potesse simbolicamente calpestare i suoi nemici sotto i piedi.

Sui monumenti essi appaiono spesso come delle serie di prigionieri in ceppi; sono anche dipinti sulla parte interna delle suole dei sandali di Tutankhamon.

La raffigurazione di nove prigionieri in catene sormontati da uno sciacallo sul sigillo della necropoli della Valle dei Re era evidentemente intesa per proteggere la tomba dalla depredazione degli stranieri ed da altre fonti di male.

Riferimenti

Egyptian/Coptic Language Sounds

https://www.facebook.com/100086742442820/posts/pfbid02CuQhALNzt69VndEAiSfW7jrDjaH5yTHFJbBma3QuD5hABMpZQDv1dwWJxeX4PTTl/?app=fbl

I. Shaw, P. Nicholson

The British Museum Dictionary of Ancient Egypt

The American University in Cairo Press – 1995

Arte militare

QADESH – L’attendamento della divisione Amon

Di Livio Secco

Come dettaglio nel mio testo, e come ho già descritto nel post relativo all’interrogatorio degli esploratori ittiti catturati, Ramesse avanzò in territorio nemico distanziando di un itrw [iteru] le quattro divisioni di cui disponeva. In ordine sequenziale erano la Amon (comandata da Ramesse stesso), la Ra, la Ptah e la Seth.

Come si vede dalla prima diapositiva, la distanza di un iteru, cioè 10 km circa, che separava una divisione dall’altra era necessaria perché l’esercito egizio doveva esplorare, marciando, la maggior parte di territorio disponibile, non sapendo la corretta ubicazione del nemico.
Contemporaneamente, però, lo spazio era eccessivo qualora una divisione fosse stata attaccata all’improvviso impedendo di essere rapidamente soccorsa dalle altre. Ciò è dimostrato dal fatto che infatti la Ra fu distrutta e la divisione Seth arrivò sul campo di battaglia addirittura il giorno seguente ad eventi compiuti.

In ogni caso, l’attenzione vostra la vorrei focalizzare su come Ramesse si salvò dalla completa disfatta di una battaglia iniziata davvero male con la perdita della Ra sorpresa in ordine di marcia e completamente indifesa e, giocoforza, abbandonata.

Ciò che salvò il faraone fu il corretto studio orografico del territorio con la conseguente perfetta decisione di dove attendare la divisione Amon.

Come si può vedere dalla seconda diapositiva, la migliore ubicazione era esattamente lo spazio tra i due torrenti Nahr es-Sih e Nahr Iskargi avendo alle spalle le paludi formate dall’Oronte.
In questo modo l’anello del campo visivo delle sentinelle era notevolmente ampio e permetteva un ampio margine di allarme. Contemporaneamente l’orografia del territorio realizzava una virtuale recinzione dell’accampamento proteggendolo da ogni lato.
Ricordo che l’accampamento egizio non era assolutamente un “castrum” romano né tantomeno possedeva le sue qualità di difesa passiva.

Il lato meridionale, in realtà, era aperto ed accessibile per la (ri)concentrazione delle forze egizie e per la movimentazione dell’Amon stessa.
È altresì interessante notare che ciò non creava un grave problema in caso di un attacco del nemico che sarebbe risultato concentrato in un unico punto assolutamente prevedibile e facilmente difendibile.

Infatti le cose andarono proprio in questo modo e Ramesse riuscì a salvare sé stesso e una notevole parte del suo esercito.

Le diapositive proposte illustrano sia la conferenza relativa che il libro. Per chi è interessato all’evento bellico il testo è reperibile qui: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/storia-e…/624937/qadesh/

Arte militare

QADESH – L’interrogatorio degli esploratori catturati

Di Livio Secco

Nell’ormai lontano 2020 ho pubblicato un articolo su un evento particolare avvenuto poco prima che si svolgesse la battaglia di Qadesh.

L’evento fu così importante che il faraone Ramesse II lo comprese nella sua esposizione grafica e narrativa. Il suo dettaglio ci sorprende ancora oggi per la drammaticità della tortura alla quale furono sottoposti i militari nemici.

Noi qui ripercorriamo rapidamente gli eventi che portarono alla battaglia e poi, filologicamente, analizziamo la didascalia relativa ai due sfortunati esploratori che caddero nelle mani degli Egizi.

Anni fa ebbi già l’idea di fonetizzare la pronuncia italiana per coloro che non conoscono la scrittura geroglifica e quindi non la sanno leggere. All’epoca, diversamente da oggi, non usavo ancora la codifica IPA, ma semplicemente davo le indicazioni colloquiali.

Spero che apprezziate il lavoro ugualmente.

Per coloro che fossero interessati alla narrazione completa della pianificazione e sviluppo della guerra che portò Ramesse alla battaglia di Qadesh do il collegamento per trovare il testo: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/storia-e…/624937/qadesh/

Arte militare

L’ARCO SEMPLICE EGIZIO

A cura del Docente Livio Secco

Secondo Giacomo Cavillier l’arco semplice egizio è un fusto unico di acacia con i flettenti di 1,50-1,70 metri lavorato a fuoco. La sua gittata massima è 60-70 m in tiro diretto. Il fatto che sia di acacia lo rende abbastanza economico. L’acacia è un albero indigeno e l’Egitto è poverissimo di legno sia normale che pregiato.

L’arco composito è simile nella forma, ma ha una anima lignea lavorata a fuoco e stagionata. All’esterno, sul lato concavo, è ricoperto di tendine animale, all’interno, sul lato convesso, da corno. Il tutto è rivestito da corteccia o legno leggero. L’arco composito, rispetto a quello semplice, è costosissimo. Infatti richiede legni più pregiati d’importazione, una stagionatura decennale e la reperibilità di materie prime animali e vegetali non sempre facili da trovare. Tecnicamente l’arco composito, essendo più potente, ha una gittata di 100-150 m in tiro diretto e fino a 250 m nel tiro curvo.

Le frecce sono costituite da fusti legnosi di particolare leggerezza del diametro di 60 – 70 mm, dotati di alette stabilizzatrici e di punte in selce o in metallo.

Queste ultime sono ottenute per fusione e sagomate: fogliate con codolo, triangolare o rombico con cordonatura per minor resistenza aerea e maggior penetrazione. L’archeologia sperimentale documenta che questi dardi non solo penetrano gli scudi, ma sono in grado, lacerandone le fibre lignee, di divaricarne le parti e quindi di spaccarli.

Nelle immagini: punta di freccia bidimensionale di selce ritrovata nel Fayum, punta tridimensionale in bronzo ritrovata a Kafr Ammar e datata al Terzo Periodo Intermedio, punta di freccia in ferro con codolo lungo ritrovata a Ibrim; disegno di arco semplice monolitico e arco composto con immagine della stratificazione dei materiali (Cavillier).

Per approfondire: https://ilmiolibro.kataweb.it/…/i-soldati-del-faraone/

Arte militare

LA BATTAGLIA NAVALE DEL DELTA DEL NILO

Di Sandro Barucci

Il faraone Ramses III, attorno al 1175 a.C. , si trovò a fronteggiare sul Delta del Nilo un tentativo di invasione da parte dei cosiddetti “popoli del mare” .

Un bassorilievo raffigurante la battaglia fu ritrovato nel suo mausoleo a Medinet Habu, Egitto meridionale, di fronte a Luxor sulla sponda opposta del fiume.

E’ raffigurato uno scontro molto cruento e caotico, che ha fornito però molte indicazioni agli studiosi, estrapolando le singole imbarcazioni egizie ed avversarie dal groviglio dei combattenti e dei morti e feriti caduti in acqua.

Riporto qui una immagine (da Nelson 1945) dove togliendo i corpi in acqua dalla cruenta rappresentazione complessiva vista nel post precedente, si possono meglio osservare le imbarcazioni coinvolte, con la lettera E le egizie, con la N quelle dei “popoli del mare”.

Si vede subito che tutte hanno la vela quadra imbrogliata (serrata sul pennone, che ha in tutte la stessa forma arcuata). Le imbarcazioni egizie hanno però i remi in posizione d’ uso; questo ha fatto pensare ad alcuni che la flotta di Ramses III abbia sorpreso gli invasori non pronti al combattimento.

Nell’ingrandimento della imbarcazione N1 degli invasori (da Nelson 1930 ) ho evidenziato a colori alcuni particolari interessanti :

in giallo la vela raccolta sul pennone ed in rosso le manovre. Quest’ultima è una innovazione tecnica importante, comune a tutte le imbarcazioni dei due schieramenti e consente di conferire alla vela quadra la forma migliore a seconda del vento (Vinson 1993) o di raccoglierla sul pennone, senza dover lasciare il ponte di coperta.

Le sole navi degli invasori sono caratterizzate dall’ornamento a prua e poppa a forma di testa di uccello , e dalla struttura in testa d’albero interpretata come una coffa , in azzurro, assolutamente assente nella tradizione egizia.

Come abbiamo visto spesso nei dipinti murali e bassorilievi egizi, i protagonisti della scena sono raffigurati con dimensioni decisamente aumentate rispetto alle navi, che appaiono così piccole “barchette”. In realtà nel 1175 a.C. entrambe le flotte avversarie sono dotate di mezzi navali consistenti. Wachsman ha aggiunto alla sua analisi l’immagine riportata in scala più realistica della nave N3 dei “popoli del mare” .

Parleremo ancora dei “popoli del mare” anche se con cautela, perché molto si è detto e scritto in proposito basandosi più su miti che su prove concrete.

Nel bassorilievo di Medinet Habu abbiamo già visto la particolarissima forma di prua e poppa delle navi degli invasori , con le teste di uccello alle due estremità, entrambe rivolte (in senso opposto fra loro) verso l’esterno dello scafo. E’ una forma assente nella tradizione micenea/egizia/mediterranea-orientale, che invece è collegata all’Europa centrale e alla “Cultura dei campi di urne” con le sue “vogelbarke” le “barche-uccello”. Nel lavoro di Wachsmann del 2013 sono mostrati gli esempi qui riprodotti: A) nord Romania, B) Ungheria, C) Tirinto. Si potrebbe pensare ad una migrazione di popoli del Centro-Europa verso sud a costituire almeno una parte degli invasori.

La constatazione non è certo nuova, vari studiosi hanno parlato di migrazioni . Lo stesso Prof. Maurizio Damiano parla della 

“…gigantesca ondata migratoria che intorno al XIV-XIII secolo sconvolse il mondo orientale : interi popoli si spostarono portando con sè famiglie, masserizie e bestiame, occupando le terre sul loro cammino e spingendo gli abitanti ad abbandonarle a loro volta.”

I popoli del mare non sono occasionali predoni associati in bande, ma parte di un fenomeno vasto.

Concludo il discorso sugli invasori raffigurati nello scontro con Ramses III (circa 1175 aC) anche se una vera parola fine sul tema nessuno la può dire fino ad oggi.

Come detto in precedenza una migrazione gigantesca ed invasiva si verifica da Nord verso il Mediterraneo orientale. Arrivano al collasso quasi contemporaneo la Civiltà Micenea , l’Impero Ittita, il regno dei Mitanni fra il 1200 ed il 1170 a.C.

I cosiddetti “popoli del mare” sono una parte del fenomeno e non è escluso che abbiano partecipato alle predazioni lungo le coste anche gli “italiani” aggregandosi in un momento propizio per le scorribande : equipaggi Sardi , Siciliani, qualcuno ha parlato anche di etruschi . Nell’immagine una possibile ricostruzione di una delle aggressive navi. Ricordiamo però che bande di aggressori ben attrezzati e numerosi non possono aver provocato di per sé il collasso della Civiltà del Bronzo nel mediterraneo orientale (fissata convenzionalmente al 1200 a.C.)

Riporto anche lo schema pubblicato da Kaniewski et al. dove si può vedere il progredire delle invasioni (ho solo colorato terra e mare per miglior visione in un post) . La ricerca aveva lo scopo di determinare l’esatta data della caduta di Gibala (in rosso) , ricordiamo che era un importante porto presidiato dagli Ittiti.

Solo il faraone egizio potrà fermare l’ondata minacciosa .

Riferimenti:

  • Wachsmann, Shelley, “The Ships of the Sea Peoples.” International Journal of Nautical Archaeology 10, no. 3 (1981): 187–220. doi:10.1111/J.1095-9270.1981.TB00030.X.
  • Nelson, Harold Hayden, 1930, “Medinet Habu” , Vol.I , Oriental Inst. Publ. , University of Chicago Press.
  • Nelson. Hayden Harold, 1943, “The naval battle pictured at Medinet Habu”. Journal of NearEastern Studies, V. 2, pag. 40-45.
  • Vinson, Steve. “The Earliest Representations of Brailed Sails.” Journal of the American Research Center in Egypt 30 (1993).
  • Wachsmann, Shelley. (2013). The Gurob Ship-Cart Model and Its Mediterranean Context. College Station, Texas A&M University Press
  • Damiano, Maurizio, (1996), Dizionario enciclopedico dell’antico Egitto e delle civiltà nubiane. Mondadori ISBN 9788878136113
  • Kaniewski D, Van Campo E, Van Lerberghe K, et al. (2011) The Sea Peoples, from Cuneiform Tablets to Carbon Dating. PLOS ONE 6(6): e20232.