Luoghi

HERACLEION

Oggi vi porto indietro nel tempo ad Heracleion, nota anche come Thonis, una città dell’antico Egitto situata nel Delta del Nilo le cui rovine si trovano oggi sommerse nella baia di Abukir, a 2,5 km dalla costa.

La città si trovava in origine su una delle isole del Delta del Nilo, ed era attraversata da una rete di canali. Possedeva diversi ancoraggi ed un grande tempio dedicato a Khonsu, che i greci identificarono poi con Eracle. In tempi successivi, il culto di Amon divenne preminente.

I piloni del Tempio di Khonsu visti dalla piazza al suo esterno.
All’interno del cortile al Tempio di Khonsu.

Era anche il luogo della celebrazione dei Misteri di Osiride, che si compiva ogni anno durante il mese di khoiak. Il dio nella sua barca cerimoniale veniva portato in processione dal tempio cittadino di Amon fino al suo santuario a Canopo.

Heracleion prosperò particolarmente tra il VI ed il IV secolo a.C. come dimostrato da numerosi ritrovamenti archeologici: in questo periodo fu probabilmente il principale porto d’Egitto. Il faraone Nectanebo I, che regnò dal 380 al 362 a.C., ordinò molte aggiunte al tempio.

Tempio di Hapy a Thonis/Heracleion.

La città affondò nel VI o VII secolo d.C., probabilmente a causa di grandi terremoti e/o inondazioni.

Le rovine sommerse vennero infine individuate e riscoperte dall’archeologo subacqueo francese Franck Goddio nel 2000. Fino ad allora, gli studiosi non avevano la certezza che Heracleion e Thonis fossero un’unica città.

Colossi di Amon posti fuori dal Tempio che ospitava una parte interamente a lui dedicata.

Testimonianze Anteriori alla Riscoperta:

Fino a tempi assai recenti, la città di Heracleion era nota solamente da poche fonti letterarie ed epigrafiche.

Nel periodo greco le origini leggendarie di Heracleion venivano fatte risalire al XII secolo a.C.. Secondo la tradizione, Paride ed Elena vi rimasero bloccati durante la loro fuga da Menelao, prima che iniziasse la guerra di Troia. Inoltre, Eracle stesso avrebbe visitato la città, la quale avrebbe poi preso da lui il nome.

Un mercante al grande mercato di Thonis/Heracleion.

Tra le testimonianze storiche antiche, la città viene citata da Diodoro Siculo e Strabone, oltre che da Erodoto.

Una fonte riferisce che la città fosse un emporion, allo stesso modo della più famosa Naucratis.

Tra i reperti che la menzionano c’è la cosiddetta Stele di Naucratis, realizzata sotto Nectanebo I: nella stele si specifica che un decimo delle tasse d’importazione delle merci giunte a Thonis/Heracleion stava al santuario di Neith a Sais. Una copia identica di tale stele è stata ritrovata proprio nel sito subacqueo dove sorgeva Heracleion. Viene citata anche nel Decreto di Canopo, onorante da Tolomeo III.

Le case di Thonis/Heracleion.

Khonsu è una divinità egizia appartenente alla religione dell’antico Egitto, dio della luna, del tempo, della guarigione e della giovinezza. Il suo nome significa Viaggiatore e potrebbe riferirsi al viaggio della luna attraverso il cielo notturno. Era anche il dio che misurava il passare del tempo, caratteristica condivisa con l’altro dio lunare Thot: mentre quest’ultimo determinava il tempo in generale, Khonsu era legato al tempo degli uomini. Era inoltre parte della triade tebana insieme ad Amon e Mut di cui era considerato figlio.

Si riteneva che proteggesse coloro che viaggiavano di notte. Come dio della luce nella notte, Khonsu era invocato come protettore contro gli animali selvatici, oltreché come dio guaritore in generale. Gli egizi credevano che, quando Khonsu si produceva nella luna crescente, la potenza sessuale si incrementasse, le donne concepissero, le mandrie diventassero fertili e le narici e le gole si riempissero di aria pura.

I moli navali di Thonis/Heracleion.

Mentre numerose divinità, nel corso della storia egizia, furono fuse ad altri dei, Khonsu cominciò viceversa a essere adorato in molteplici aspetti, ad esempio Khonsu-Bambino e Khonsu-di-Tebe.

Un altro ruolo di Khonsu era quello di accompagnare il ba (anima) dei defunti nella duat (aldilà).

Fonte Testo:

Fonte Immagini:

Videogioco: “Assassin’s Creed Origins”

Luoghi

IL LABIRINTO DI MERIDE

Di Patrizia Burlini

Risale ormai al 2008 la straordinaria scoperta a Hawara, proprio vicino alla piramide di Amenhemat III, di un misterioso labirinto sotterraneo composto da oltre 3000 stanze, apparentemente tutte decorate con rilievi e dipinti. È noto come il labirinto di Meride (1842-1797 a.C)

Erodoto ed altri storici descrissero accuratamente questo leggendario labirinto, situato vicino a Crocodilopoli (antica Shedyet, odierna Medinet El Fayyum).

Definito da Erodoto stesso “un’opera che lascia senza parole”, tale da “superare la Grande Piramide”, il labirinto è rimasto nascosto per millenni sotto le sabbie del deserto. Secondo Erodoto questo labirinto conteneva tombe di re, camere segrete e passaggi nascosti.

A fine ‘800 alcuni archeologi inglesi, guidati da Petrie, individuarono quelle che credevano le fondamenta del più grande tempio di tutto l’Antico Egitto.

In realtà gli archeologici avrebbero individuato il soffitto, che era realizzato in pietra, scambiandolo per le fondamenta.

A maggio 2008 un team di archeologi egiziani e belgi, sotto la direzione di Zahi Hawass, ha condotto delle ricerche con un georadar che ha potuto leggere sotto il tetto di pietra, a 10 metri di profondità, una “griglia” di muri molto spessi e resistenti, probabilmente in granito, prova di varie stanze sottostanti.

La dimensione della struttura è di 304×244 metri, pari alla superficie dei templi di Karnak e Luxor Messi assieme!

Sembra che ad una profondità di circa 5 metri sia presente dell’acqua salmastra, che potrebbe aver irrimediabilmente rovinato la struttura e che rende impossibile effettuare degli scavi senza drenare l’area.

Purtroppo questa indagine, che potrebbe portare alla più straordinaria scoperta degli ultimi anni, si è arenata a questo stadio.

Sotto alcune ricostruzioni del leggendario labirinto, disegnate sulla base delle accurate descrizioni degli storici antichi.

Luoghi

IL VILLAGGIO DI DEIR EL MEDINA

Di Giusy Antonaci

STELE DEDICATA DA SMEN AL FRATELLO MEKHIMONTU E A SUA MOGLIE NUBEMUSEKHET
Nuovo Regno
XVIII dinastia
Museo Egizio di Torino

Intorno al 1500 a.C. fu fondato il villaggio di Deir el Medina, dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine.

Situato nei pressi dell’odierna Luxor, costituisce uno dei tre esempi noti di “villaggio operaio” (gli altri sono quello di Tell el-Amarna, l’antica Akhetaton, e di Kahun, nei pressi di el-Lashur) che ospitavano gli artigiani e, in genere, le maestranze preposte alla realizzazione e manutenzione delle tombe degli antichi Re della XVIII, XIX e XX dinastia.

Tra il 1525 e il 1504 a.C. il re Amenhotep I istituì un gruppo di artigiani specializzati che il successore, Thutmosi I, decise di concentrare in questo villaggio, chiamato Pa demi.

Esso si trovava in un’area desertica sita nei pressi della zona destinata ad accogliere le tombe reali, a metà strada tra quelle che sarebbero poi divenute la Valle dei Re e la Valle delle Regine.

Il villaggio di Deir el-Medina ed i primi scavi, dal 1905 al 1909, si devono all’italiano Ernesto Schiaparelli, mentre le definitive operazioni di scavo furono realizzate, dal 1922 al 1951, a cura di spedizioni francesi.

Di fatto, l’esistenza del villaggio operaio cominciò a prosperare agli inizi della XVIII dinastia.

Originariamente, esso era circondato da un muro e presentava 60 complessi abitativi, successivamente incrementati sino ad ospitare circa 120 nuclei familiari per un complesso, stimato, di 500 abitanti.

Esiste un periodo “vuoto” che corrisponde a quello dell’eresia amarniana, per il trasferimento delle maestranze ad Akhetaton.

Il villaggio riprenderà vita ed attività sotto il successore di Ay, e di Tutankhamon, Horemheb.

Deir el-Medina presenta la forma allungata che ricorda quella di una nave, con una strada principale che l’attraversa tutta separando le abitazioni in due grossi quartieri che erano denominati “quartiere di dritta”, ad est, e “di sinistra”, ad ovest.

Inoltre, proprio come su una nave, le maestranze erano suddivise in “squadre di tribordo” e “di babordo”, composte da circa 60 unità, ognuna capeggiata da un “architetto” caposquadra.

Il villaggio si trova relativamente a breve distanza dal Nilo e non è servito da acqua per cui si suppone che l’approvvigionamento avvenisse tramite carovane di animali da soma.

Le maestranze, suddivise in squadre da 60 unità ciascuna, raggiungevano il luogo di lavoro percorrendo un sentiero che passa alla sommità delle alture che delimitano la Valle dei re e su cui sono ancora visibili i luoghi di sosta ove, peraltro, erano posizionate anche le sentinelle che garantivano la sicurezza delle tombe.

Le squadre prestavano servizio per una settimana di dieci giorni a cui seguiva un week-end di due giorni.

Doveva trattarsi di una comunità abbastanza cosmopolita, considerati i nomi.

Poichè gli uomini erano costantemente lontani dal villaggio per gran parte dell’anno, Deir el-Medina risultava essere una comunità principalmente femminile.

Le donne possedevano un buon livello d’istruzione dato che, oltre ai normali lavori domestici, dovevano occuparsi del mantenimento del villaggio anche dal punto di vista economico, logistico e di approvvigionamento.

Sono note, inoltre, le professioni di alcune di tali donne che spaziano dalle “cantatrici” alle “sacerdotesse” dedicate a vari culti.

Trattandosi in gran parte di maestranze edili e di artisti, si assiste alla nascita di una necropoli operaia in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari. Originariamente, non esiste un piano prestabilito, ma solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale.

Si tratta di tombe con rilievi e opere pittoriche spesso di altissima qualità.

La necropoli ospita 53 tombe specialmente della XVIII, XIX e XX dinastia, soprattutto dedicate a capisquadra e operai del villaggio che realizzavano le sepolture, specie reali.

Anche se non strettamente rientranti nella categoria dei “nobili”, si è soliti tuttavia comprendere anche la necropoli operaia nella più ampia localizzazione e denominazione di Tombe dei Nobili della Necropoli tebana.

Fonte: Christian Greco,”Deir el Medina.Le passeggiate del direttore” (12° appuntamento)

Bubastis, Luoghi

IL PALAZZO DEL MEDIO REGNO A TELL BASTA

Di Francesco Volpe

Ricostruzione parziale del Palazzo del Medio Regno a Tell-Basta di Francesco Scio.

Il Palazzo Reale non era solo la dimora di un faraone, ma raffigurava l’ideologia, la cultura e l’amministrazione dell’antica società egizia.

Sappiamo ancora poco dei palazzi reali dei periodi più antichi, la documentazione archeologica e la maggior parte delle prove disponibili deriva dal Nuovo Regno, ma il palazzo del Medio Regno a Tell Basta, l’antica Bubastis nel Delta orientale, è una notevole eccezione. Scavato da Shafiq Farid negli anni ’60, da Ahmed Essawi negli anni ’70 e da Mohammed Ibrahim Bakr tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80.

Ricostruzione parziale del Palazzo del Medio Regno a Tell-Basta (vista posteriore) di Francesco Scio.

Il Palazzo di Tell Basta non è ancora completamente esplorato e conosciamo ancora poco la storia della sua costruzione. Saranno necessarie altre spedizioni archeologiche sul campo per conoscere più a fondo questo straordinario edificio e il suo contesto storico e culturale.

Come tutti i palazzi del vicino Oriente, quello di Tell Basta fu costruito in mattoni di fango, il Ministero di Stato per le Antichità (MSA), sotto la guida di Mohammed Abd el-Maksoud, decise di proteggere le mura dell’edificio sotto strati di mattoni moderni.

Nel 2013, una ricerca sul campo condotta dall’Accademia Austriaca ha rivelato che il palazzo originariamente si estendeva molto più a nord di quanto si pensasse in precedenza, ma purtroppo, durante la bonifica nella prima metà del XX secolo, quest’area è stata in gran parte rasa al suolo. Una sezione, tuttavia, è ancora conservata nell’angolo nord-ovest e un’intera striscia lungo il bordo occidentale del palazzo è ancora intatta.

La mappa archeologica del Palazzo del Medio Impero.

La posizione tra il palazzo e il cimitero per i governatori della XII dinastia ad est, porta a concludere che inizialmente servisse come residenza per i sindaci della città o i governatori del nomo. I nomi e i titoli di almeno cinque sindaci di Bubastis sono noti dalle loro tombe e dai resti di corredi funerari, il che suggerisce che il cimitero (e forse anche il palazzo) esistesse per gran parte della XII dinastia. Il complesso di circa 16.000 mq è, tuttavia, troppo grande per una residenza o un edificio amministrativo dei sindaci della città e le sue dimensioni suggeriscono fortemente che questo palazzo fungesse anche da residenza reale temporanea. Molti attribuiscono questo Palazzo al Faraone Amenemhat III perché un architrave di una porta in pietra calcarea rinvenuto nella parte nord-orientale del palazzo lo raffigura nella sua cappella per la festa Sed.

Una testa colossale in granodiorite di Amenemhat III (EA1063) risalente al XII Dinastia, era stata trovata da Edward Neville durante la sua spedizione nel 1887-1889, alcuni mesi dopo il ritrovamento fu donata al British Musium a Londra. Indizi che potrebbero suggerire che almeno questo re possa aver trascorso del tempo regolarmente in questa importantissima città del Delta orientale, molto probabilmente durante le festività religiose o per adempiere a obblighi amministrativi. Altre statue onorarie di due dignitari e l’ultimo dei sindaci conosciuti, Maheshotep, furono rinvenute (probabilmente vicino al luogo della loro deposizione originale) da Shafiq Farid nella spaziosa sala con colonne.

Normalmente tali statue venivano collocate nei cortili e nelle sale ipostile dei templi per garantire la presenza eterna dei loro proprietari durante le offerte e le festività. La presenza di queste statue indica che i palazzi incorporavano anche luoghi di culto.

La statua (B 96) di Khakaure-Seneb, il cui nome personale suggerisce che la nomina alla carica di governatore di Bubastis, e la sua vita, siano trascorse durante il regno di Sesostri III, e potrebbe essere durato fino all’epoca di Amenemhat III. La sua statua, che lo ritrae accovacciato, è stata trovata nel palazzo del governatore dalla parete occidentale della cosiddetta sala del trono del palazzo. Sulle sue gambe vi è la seguente iscrizione:
01 | Un’offerta che il re dà e Re-Harakhty, figlio di Geb, Osiride
02 | la Grande Enneade, la fila di cappelle dell’Alto e Basso Egitto, e Bastet
03 | signora di Bubastis, (affinché possano dare) un’offerta di invocazione, (composta da) pane, birra, bovini e pollame puri, incenso, unguento
04 | per il Ka del principe ereditario, Nomarca, portavoce di Nekheb nel Per-wer, sovrintendente
05 | del sacerdote di Bastet, Khakaure-seneb, generato da Mut.
Traduzione di Lange-Athinodorou 2015.
Foto: https//project-mine.de

La pianta del palazzo di Tell Basta è insolita, essendo orientata a sud, mentre i palazzi e le case in Egitto erano di norma erano orientate a nord. L’ingresso è posizionato sul lato destro della facciata, una caratteristica copiata dall’architettura domestica contemporanea, mentre i palazzi del Nuovo Regno mostrano solitamente una disposizione simmetrica degli spazi. Trattandosi di un ingresso monumentale con due file di sei colonne ciascuna, sembra improbabile che ci fosse un altro ingresso a nord. L’ingresso conduce, su un asse spezzato, a un altro portico che probabilmente aveva anch’esso due file di colonne e dava accesso a un cortile colonnato che conduceva alla grande sala di presentazione con altre sei colonne di notevoli dimensioni. Questa sala conduce, tramite una spaziosa porta, a un’altra sala non più conservata. Su entrambi i lati del cortile colonnato si trovano stanze che sembrano uffici. Le stanze perdute a nord potrebbero essere state riservate agli appartamenti di stato reale.

A ovest dell’ingresso, nella parte più meridionale del complesso, si trovano magazzini, a ovest di essi si trovano i resti di forni, probabilmente una cucina adatta a una famiglia di palazzo. Nella seconda fila da sud si trovano quattro appartamenti a ovest del cortile colonnato. L’unità più orientale è la più grande e potrebbe essere descritta come una “villa”; Probabilmente era la residenza del sindaco di Bubasti. La villa si estende su una superficie di oltre 400 mq ed è orientata – come di consueto per le case – a nord, dove è dotata di un cortile con uno stagno rivestito in pietra. A ovest, il cortile conduce a una sala per le riviste a cinque navate, che sporge dalla facciata occidentale di questo edificio. A sud del cortile si trovano una grande stanza, quasi quadrata, e una più piccola.

La stanza quadrata sembra essere stata utilizzata per le presentazioni e probabilmente aveva una o più colonne a sostegno del tetto. La parte più meridionale di questo edificio era molto probabilmente riservata all’abitazione privata ed è divisa in tre stanze. Probabilmente le due stanze occidentali erano camere da letto con panche contro la parete sud e forse un bagno a nord. Questa dimora ha accesso ai presunti uffici a ovest del cortile colonnato e nell’angolo nord-orientale dell’unità c’è un corridoio cieco interrotto che potrebbe essere una scala che conduce al tetto della parte ufficiale del palazzo. Altre tre unità abitative furono aggiunte a ovest; due di esse erano collegate tra loro, la terza era separata. Ognuna di esse copre 125-150 mq e sembra aprirsi verso nord. È possibile che vengano portati alla luce altri appartamenti non appena gli scavi proseguiranno nel quartiere nord-occidentale, ancora sconosciuto. Sul lato orientale, vicino all’ingresso monumentale, si trovano piccole stanze che potrebbero essere state utilizzate per le guardie di sicurezza.

l palazzo era incastonato in una ricca stratigrafia e fornisce la prova di un cambiamento significativo nello sviluppo delle zone urbane della città nel corso del tempo. Nel suo angolo sud-occidentale, le sezioni stratigrafiche sono state aperte nel marzo 2013 ed è diventato sempre più chiaro che in quel punto il palazzo fu costruito sopra una necropoli dell’Antico Regno, che è la continuazione di un cimitero scavato da Mohammed Ibrahim Bakr. Ancora più antiche di queste tombe, massicce mura di magazzini e altre strutture che sembrano appartenere a un complesso palaziale dell’Antico Regno con un diverso orientamento. Corrisponde all’orientamento di un altro cimitero d’élite dell’Antico Regno, situato a est del palazzo, come il cimitero d’élite del Medio Regno, la sua stretta connessione con il palazzo contribuisce all’unicità di questo sito.

Frammento della statua di Nefer-Ka in quarzite risalente alla 18° dinastia proveniente da Tell Basta. Università di Zagazig, postata da: https//project-mine.de

In cima al palazzo del Medio Regno si trovano i resti di un fragile insediamento della XVIII dinastia che continua con case in stile Amarna costruite con maggiore cura a sud e a est. Più tardi, nel Nuovo Regno, il palazzo lasciò il posto a una necropoli con tombe scavate nella parte occidentale del palazzo del Medio Regno. Il complesso è situato nell’estremo nord-nord-ovest di Tell Basta. Questa posizione settentrionale è osservabile in altri siti palaziali come il Palazzo di North Riverside ad Amarna, il Palazzo di Apries a Menfi, il Palazzo di Seti I e Ramses II a Qantir e anche la cosiddetta Acropoli nell’insediamento di Kahun. Il motivo è che i venti prevalenti da nord-nord- ovest avrebbero portato aria pulita al palazzo e lo avrebbero protetto dal fumo e dagli odori della città.

Fonte:

Manfred Bietak and Eva Lange, “Tell Basta: The Palace of the Middle Kingdom,” Egyptian Archaeology 44 (2014), 4-7.

Fonte Testo:

https://www.academia.edu/…/Manfred_Bietak_and_Eva_Lange…

Luoghi

IL POZZO DI OSIRIDE

Di Patrizia Burlini

Forse non tutti sanno che nella piana di Giza, vicino alle piramidi, esiste un luogo misterioso. Si tratta del “pozzo di Osiride”, un ipogeo che, al terzo livello di profondità, presenta un plinto centrale (che, in questo caso, sorregge un sarcofago vuoto, con la copertura spostata) circondato dall’acqua, con, attorno, una serie di nicchie e cunicoli scavati nella roccia. Si tratta della tomba di Cheope di cui parla Erodoto?

Pianta in cui si vede la posizione del Pozzo

Lo storico Erodoto (libro II, paragrafo 124- http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Biblioteca:Erodoto%2C_Le_Storie%2C_Libro_II ) che visitò l’Egitto nel V sec. BCE, scrisse:

“Ogni trimestre lavoravano a turno centomila uomini. E il popolo si logorò dieci anni per costruire la strada sulla quale venivano trascinate le pietre. Un’opera che è a parer mio, non di troppo inferiore alla piramide: giacché la sua lunghezza è di cinque stadi, la larghezza di dieci orge, l’altezza della scarpata raggiunge, dove tocca il massimo, le otto orge. La strada è fatta di pietra levigata e con figure incise. Occorsero dunque per essa, e per le camere sotterranee nella collina su cui sorgono le piramidi, quei dieci anni. Il Re costruì le camere, destinate alla sua sepoltura, in un’isola, ch’egli creò col condurre dal Nilo fin là un canale”

Erodoto parla quindi di una tomba circondata dall’acqua.

L’ingresso del “pozzo”

Il pozzo è stato aperto al pubblico nel 2017. È visitabile su prenotazione, al costo di USD 2000 o 3000 per un paio d’ore di “prenotazione” del pozzo.

Secondo Zahi Hawass, fu nel 1945 che l’archeologo egiziano Abdel Moneim Abu Bakr venne a sapere che le guide turistiche di Giza nuotavano e attingevano acqua in un pozzo sotterraneo vicino alle piramidi.

Individuò il pozzo sotto la strada rialzata di Khafre (Chefren) ma non lo esplorò e in seguito l’innalzamento del livello delle acque impedì ulteriori esplorazioni.

In realtà, Hawass “ dimentica” di dire che già nel 1933/34 Selim Hassan descrisse il pozzo nella sua relazione di scavo a Giza e ne esplorò due livelli, fino a 14 mt di profondità, raggiungendo il terzo livello senza poterlo esplorare, dato che era allagato.

Ricostruzione 3D del pozzo

Hawass dimentica anche che nel 1992 il regista Boris Said era già entrato nel pozzo grazie alle indicazioni di una guardia. Nel 1995, Said era entrato in joint venture con Joseph Schor che aveva un permesso per delle ispezioni georadar a Giza. Le foto del pozzo erano state già pubblicate nel website di Said…

Comunque, negli anni ‘90 Zahi Hawass, allora Direttore Generale delle Piramidi di Giza, avviò le difficili operazioni di drenaggio del pozzo, ma fu solo nell’estate del 1999 che presentò ufficialmente il progetto e comunicò al mondo la “sua” scoperta (che in realtà scoperta non era essendo già nota da decenni). A lui comunque va il merito delle ulteriori esplorazioni e del drenaggio del pozzo che ha consentito di raggiungere ed esplorare il terzo livello.

Sezione del pozzo – Zahi Hawass

I livelli del pozzo, anche se è più corretto parlare di struttura articolata con più pozzi, profonda 30 mt, sono infatti tre:

– il primo, pozzo A e livello 1, a 9 mt, con una grande camera ventilata trovata vuota

La scala che scende nel pozzo. Credit: Hidden Inca Tours

– Il secondo, pozzo B e livello 2, a 13 mt, con una camera con 6 nicchie laterali in cui sono stati rinvenuti 3 sarcofagi, in basalto e granito, con resti di scheletri umani e vari oggetti databili alla XXVI dinastia

Uno dei sarcofagi del secondo livello, databili alla XXVI Dinastia, secondo Hawass. All’interno sono stati trovati resti di ossa. Foto credit: lah.ru.

– Il terzo, pozzo C e livello 3, a circa 33 mt, rappresenta il livello più interessante. Vi si trova un sarcofago di basalto nero Lungo 2 metri e largo 1 metro circondato dall’acqua. Al suo interno furono trovati i resti di uno scheletro; il coperchio era a terra, sul pavimento. Furono trovati resti di amuleti e oggetti databili anche alla VI Dinastia

Il terzo livello
Il misterioso sarcofago del terzo livello. Credit: 1999, Homare Uematsu

Il terzo livello é composto da una camera di forma quadrata di circa 9 m x 9 m, al cui centro si trova un basamento ricavato dalla roccia che presenta ai quattro lati i resti di quattro colonne. Fra il basamento e le pareti della camera esiste una sorta di trincea, riempita di acqua cristallina, che è interrotta solo in corrispondenza dell’innesto del pozzo C; secondo Hawass la trincea assume la forma della pianta di un’abitazione, ossia il geroglifico ‘pr’, così come avviene all’Osireion di Seti I ad Abydos (considerata la tomba simbolica del dio Osiride).

Il terzo livello, dove si nota l’acqua limpida (priva di pesci)

Sulla base degli amuleti e cocci ritrovati, Hawass ritiene che il complesso sia stato dapprima scavato durante l’Antico Regno (VI Dinastia), riutilizzato nel Nuovo Regno quando il culto di Osiride ridivenne importante a Giza, e infine utilizzato per sepolture nel Tardo Regno.

Un’alcova del secondo livello con resti d’ossa e pezzi di coccio

Secondo Hawass il pozzo di Osiride potrebbe identificarsi con la tomba sotterranea circondata da acqua, menzionata da Erodoto, il quale riteneva si trattasse della tomba di Khufu (Cheope). Hawass ritiene invece che il complesso rappresenti la tomba simbolica del dio Osiride, vista la conformazione della camera I al livello 3 che richiama quella dell’Osireion di Abydos. Inoltre, l’acqua attorno alla sepoltura è probabilmente collegata al ruolo di Osiride come Dio della vegetazione e della resurrezione e alla sua identificazione con il suo creatore, che appare sulle terre primordiali circondate dal Nun.

A riprova di questo ci sarebbe il nome stesso attribuito alla piana di Giza nel Nuovo Regno: “pr Wsir nb R3-st3w“, “casa di Osiride, signore di Rostau”, dove Rostau (trascritto anche Rastaw), può tradursi come “cimitero” o “gallerie sotterranee”, e spesso è riferito specificamente a Giza: dunque “casa di Osiride, signore delle gallerie sotterranee”.

Così come per il Serapeum, le domande su questo misterioso pozzo sono molte:

  • Qual è l’epoca effettiva di costruzione?
  • Che significato ha?
  • Com’è stato possibile calare in quei cunicoli dei sarcofagi così pesanti?
  • Da dove proviene l’acqua che, secondo alcune informazioni che ho letto, tutte da verificare, sarebbe salata? Proviene dal lago di Meride?
  • Esistono dei corridoi che collegano la strada rialzata di Khafre alle piramidi e al pozzo?

Domande che non hanno al momento risposta, anche se lo stesso Hawass non nega la probabilità che nel sottosuolo di Giza vi siano molti ambienti e passaggi sotterranei ancora da scoprire, pur non ammettendo di aver trovato altro.

Di seguito trovate un link di un video che mostra il pozzo e vari approfondimenti:

http://www.gizapyramids.org/pdf…/hawass_fs_oconnor.pdf

https://www.giza-legacy.ch/the-osiris-tomb/

https://curiosmos.com/unwritten-mystery-what-was-hidden…/

https://www.saggiasibilla.com/…/03/pozzo-di-osiride/amp/

https://ilmodellocelestedigiza.wordpress.com/…/luci-e…/

https://hiddenincatours.com/what-is-the-osiris-shaft-in…/

https://techzelle.com/osiris-shaft/

Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED IL GRANDE TEMPIO DI BASTET


Mappa del sito di Bubastis, Tell-Basta.

“Bubastis” così chiamata dai greci, era una città del antico Egitto che ai tempi di Chefren era conosciuta come “Per-Bast” che tradotto significa “Casa di Bastet”, la divinità principale della città.

Per onorare questa dea le fu costruito un tempio al centro della città, non si conosce il sovrano che ordinò la sua costruzione, e nemmeno quando precisamente. Tuttavia, i templi “Ka” di Teti e di Pepi I, entrambi costruiti vicino al tempio di questa dea, sono un chiaro indizio che il culto di Bastet aveva già un grande numero di fedeli a suo seguito. Tanto da spingere questi sovrani a voler costruire i propri edifici nei pressi del luogo di adorazione di questa dea.

Degli scavi fatti nei pressi del tempo Ka di Pepi I, hanno riportato alla luce un frammento in calcare di una porta, dove si vede questo sovrano accompagnato dal suo cartiglio reale insieme alla dea Bastet.

Bubastis non era solo un importante centro di culto, ma era anche un importante snodo commerciale e difensivo, infatti si trova all’incrocio delle rotte commerciali tra Menfi e il Sinai.

Durante la 22° Dinastia, Bubastis divenne la capitale d’Egitto insieme a Tanis. Il tempio di Bastet subì diversi ampliamenti, che iniziarono dal faraone libico Osorkon I durante il suo regno. Egli fece costruire i piloni d’ingresso, il recinto esterno del tempio ed la prima corte colonnata.

Non è chiaro se i canali artificiali che correvano intorno al tempio siano opera di Osorkon I o se erano già presenti prima delle modifiche da esso apportate.

Successivamente il faraone Osorkon II continuò ad ampliare il tempio, fece costruire altri piloni che conducono in un piccolo cortile dove celebrò la sua festa “Heb-Seb”. Da questo cortile si prosegue verso la porta monumentale di Osorkon II, raffiguante il sovrano durante tutte le fasi della sua festa “Sed”, venne descritta da Edward Naville nel 1887.

Superata la porta monumentale del faraone, si arriva all’Interno di una sala con colonne Hathoriche, sui lati di questa stanza ci sono delle porte per raggiungere il cortile, proseguendo dritto invece arriviamo santuario.

Il santuario e composto da una fila di colonne Hathoriche che sorreggono un soffitto più alto, mentre le colonne papiriformi sorreggono il soffitto più basso del santuario, procedendo dritto si arriva al Pre-Naos.

Numero Identificativo: E 10590.
Oggetto: Capitello Hathorico.
Materiali: Granito Rosa.
Dimensioni: Altezza: 200 cm; Grandezza: 150 cm; Profondità: 115 cm; Peso: 7300 kg.
Datazione: Ousermaâtrê Osorkon II (contesto di fouilles) (-865 – -830).
Descrizione: Capitello Egizio raffigurante il volto della dea Hathor (con Ureo) su tutte le facciate del capitello, lavorato con la tecnica altorilievo.
Mittente: Naville, Henri Édouard.
Tenuto da: Museo del Louvre, Dipartimento delle Antichità Egizie.
Posizione attuale: Sully, [AE] Salle 324 – Le Temple, Hors vitrine.
Fonte: Museo Louvre archivio Online. 

Il Pre-Naos è una stanza non avente il soffitto, hai lati ci sono colonne papiriformi che sorreggono una tettoia, al centro della stanza vi erano grandi colonne Hathoriche dove da una colonna all’altra erano appesi veli, tessuti di vario colore. Dal Pre-Naos era possibile raggiungere altre aree del tempio, ed esempio il piccolo tempio di Mahes posto nel cortile esterno.

Numero Identificativo: E 10589.
Oggetto: Colonna Papiriforme.
Dimensioni: Altezza: 200 cm; Grandezza: 150 cm; Profondità: 115 cm; Peso: 7300 kg.
Materiale: granito rosa.
Datazione: Ousermaâtrê Osorkon II (contesto di fouilles) (-865 – -830).
Data di acquisizione: 15/11/1889.
Mittente: Naville, Henri Édouard.
Tenuto da: Museo del Louvre, Dipartimento delle Antichità Egizia.
Posizione attuale: Sully, [AE] Salle 324 – Le Temple, Hors vitrine.
Fonte: Museo Louvre archivio Online

Durante la XXX Dinastia, Nectanebo II ultimò i lavori al tempio, portò a termine il Naos, la zona più importante di un tempio. Qui vi era la statua della dea Bastet posta in una stanza centrale. Nel naos potevano entrare soltanto i sacerdoti o il faraone in carica, venivano offerti cibo, bevande di vario tipo alla statua della divinità per assicurarsi la sua protezione divina.

In varie occasioni, la statua di Bastet veniva portata su una barca sacra, che navigava attraverso i canali sacri artificiali creati attorno al tempio.

Nel Febbraio-Marzo 2002, il team di archeologici di Tell-Basta durante la 13° spedizione Egiziana-Tedesca, ha rinvenuto un frammento di architrave (G/6.2 = Naville 1891: pl. 54) decorata su due lati. Un lato mostra un disco solare alato accompagnato da un fregio, un falco con doppia corona e un cobra con una corona bianca del’ Alto Egitto sotto l’ala sinistra. Un Altro falco con una corona composita e un cobra che indossa la corona rossa del Basso Egitto sono raffigurati sull’altro lato, accompagnati da geroglifici.

Numero Identificativo: E 10592.
Oggetto: Blocco murario.
Materiale: Granito Rosa.
Dimensioni:Altezza: 125 cm; Larghezza: 163 cm; Spessore: 55 cm; Peso: 2460 kg.
Descrizione:scena della festa di Sed; re (2, corona bianca, mantello cerimoniale, con flagello, scettro heka); serie di divinità; Ra (dio con testa di falco); Atum; Shu; Tefnut; Geb; Nut; Osiride; Horus (dio con testa di falco); Seth; Iside; Nefti; Bastet (dea con testa di leone); personificazione del ka reale; uomo (in piedi, pelle di pantera, con vessillo divino) (8 uomini in piedi in cima).
Nomi e Titoli: Osorkon II; Atum; Tefnut; Geb; Set; Osiride; Horus; Iside; Nefti; Bastet.
Data: Usermaâtrê Osorkon II (anno 22) (menzione del regno) (-865 – -830).
Ritrovamento: Egitto, Zagazig, Tell-Basta, Grande Tempio di Bastet.
Mittente: Naville, Henri Édouard.
Data di Donazione: 15/11/1889.
Tenuto da: Museo del Louvre, Dipartimento delle Antichità Egizia.
Posizione attuale: Sully, [AE] Salle 324 – Le Temple, Hors vitrine.
Fonte: Museo Louvre archivio Online. 

Bastet era una divinità della religione egiziana spesso rappresentata con la testa di gatto ed il corpo da donna.

Originariamente veniva chiamata Bast ed era la dea della guerra nel Basso Egitto, prima dell’unificazione delle due terre. Nei testi delle piramidi (V o VI Dinastia) Bast era immaginata sia come madre protettiva che come terribile vendicatrice e protettrice delle due terre d’Egitto. Bast è spesso rappresentata mentre sconfigge Apopi, il dio delle tenebre e il caos.

Nell’Alto Egitto, la dea-leonessa Sekhmet ne fu la corrispettiva divinità leonina della guerra. Diversamente da molte divinità fuse in un’unica entità con l’unione delle Due Terre, Bast non fu mai fusa con Sekhmet perché era una delle più importanti e venerate divinità dell’Antico Egitto, che nei secoli diventò dea della casa, dei gatti, delle donne, della fertilità e delle nascite.

Nel Nuovo Regno gli scribi cominciarono ad aggiungere il suffisso femminile al suo nome, passando dalla grafia Bast a Bastet. Probabilmente apportarono questa modifica per evidenziare la t finale, propria appunto dei nomi femminili, che spesso non veniva pronunciata.

L’emergere di divinità simili portò a una certa confusione teologica: alcuni documenti conferiscono a Bastet l’epiteto di Signora del sistro (più pertinente con la dea Hathor), altri la presentano come un aspetto di Iside (anche Mut fu assimilata a Iside), spesso associata alla dea Uadjet, la principale patrona del Basso Egitto. Assunse il nome di Uadjet-Bast, in parallelo con l’accostamento fra Sekhmet e Nekhbet, patrona principale dell’Alto Egitto (la dea Sekhmet-Nekhbet).

Nel panteon egizio, Bastet è figlia di Ra ed Iside (questo fa di Bastet una dea solare), ed e sposata con Phta, il dio creatore, che insieme ebbero come figlio Mahes.

Fonte Immagini: Museo del Louvre archivio Online.

Fonte Ricostruzione & Mappa digitale: Francesco Volpe

Fonte testo:

  • Old Kingdom Temple And Cemetery at Bubastis (PDF) di Eva Lange.
  • The Nekhtorheb Temple (PDF) di Daniela Rosenow.
  • Bubastis 1887-1889 (PDF) di Edward Neville.
  • The Sacred Landscape of Bubastis (PDF) di Eva Lange & Tobias Ulmann.

Fonte testo (Bastet):

Nella parte occidentale dei tumuli di Tell-Basta si trovava un cimitero di soli animali, per lo più gatti, che come persone avevano diritto ad una sepoltura dignitosa poiché potessero raggiungere i loro padroni nell’aldilà.

Questo cimitero era composto da piccole fosse l’una vicino all’altra e si estendeva per diversi acri quando Edward Neville condusse la sua spedizione sul campo iniziata nel 1887. Egli descrive queste fosse come le celle degli alveari, e che all’interno si vedessero cumuli di ossa di gatto. I fellah svuotarono in parte alcune fosse trovando numerosi gatti di bronzo e statuette di divinità incoronate con fiori di loto, da cui spuntano due piume, il dio Nefertum, figlio di Bastet.

Edward Neville svuotò alcune di queste fosse con la supervisione del Dott. Goddard, che prese parte agli scavi durante l’inverno del 1889.

Insieme riuscirono a scavare più in profondità alcune fosse, cosa che i fellah non fecero, scoprirono alcuni: gatti seduti, teste, la cui parte interna è vuota; un buon esemplare rappresenta Bast in piedi sotto forma di una donna dal corpo snello e dalla testa di gatto, che indossa un lungo abito e tiene tra le mani un sistro e un cesto, e ha ai suoi piedi quattro gattini accovacciati.

L’acqua di vecchie inondazioni raggiunse I livelli più bassi, i bronzi trovati erano in pessimo stato di conservazione, le ossa che erano ammucchiate ricoprivano le fosse sotterrane, le cui pareti e il fondo sono fatti di mattoni o argilla indurita. Vicino a ciascuna, nella fossa si vede la fornace in cui venivano bruciati i corpi degli animali; i suoi mattoni rossi o anneriti indicano chiaramente l’azione del fuoco, il che è confermato dal fatto che le ossa spesso formano un conglomerato, con cenere e carbone. Questo spiega la difficoltà che abbiamo avuto nel trovare ossa integre o teschi completi, ne svuotarono una contenente oltre 200 metri cubi di ossa. Questo dà un’idea della quantità di gatti necessaria per riempirla.

Su richiesta del professor Virchow, alcuni teschi in grado di resistere ad un trasporto vennero inviati all’illustre naturalista di Berlino. Rimase colpito nel notare che diversi crani fossero troppo grandi per essere di gatto, secondo le ricerche del professor Virchow, questi crani appartenevano a icneumoni, che venivano sepolti con i gatti perché anch’essi erano animali sacri. Per quanto riguarda i gatti, furono interessanti le discussioni che ebbero avuto luogo presso la Società Antropologica di Berlino.

Edward Neville nel suo libro racconta che furono in grado di risalire a quale razza specifica appartenessero i resti di gatto ritrovati a Bubastis. Le ossa non erano di gatto domestico, che probabilmente gli egiziani non avevano, ma appartengono al tipo africano chiamato Felis Maniculata, il Dott. Hartmann affermò che è il ceppo originario del nostro gatto domestico e che abbonda in Etiopia e nell’Alto Nilo.

Gli Antichi Egizi sono riusciti in parte ad addomesticare questa razza del gatto perché si erano accorti che fosse un predatore in grado di scacciare i roditori, di cui le città erano piene, insetti e addirittura serpenti. L’addomesticazione completa del gatto risale solo in tempi più moderni e non al tempo in cui venivano raffigurati nei templi o nelle tombe.

Oltre alle ossa di animali e sculture di gatti e qualche frammento ligneo di qualche sarcofago? però non vi fu trovato altro all’interno delle fosse.

Edward Neville ipotizzo che se ci fossero state delle mummie di gatto avrebbero preso sicuramente fuoco e diventate cenere misto carbone, questo spiegherebbe l’assenza di mummie nelle fosse.

Moltissimi gatti mummificati in tutto l’Egitto sono stati rinvenuti fino ad oggi, il più antico mai trovato risale al 500 a.C. e il motivo è legato soprattutto alla religione Egizia. I gatti secondo il National Geographic, erano la reincarnazione terrena di Bastet, e molti di essi venivano dati in offerta alla dea perché egli si ricongiungessero con essa, oppure per far si che potessero raggiungere i padroni a cui appartenevano nell’aldilà.

Questi cimiteri risalgono inizialmente dall’antico regno, fino in epoca romana.

Fonte: Dal libro: Bubastis 1887-1889, e il sito National Geographic: https://share.google/0bnouJb2tGOGMz9lm

British Museum, inv. EA25565

Figura in bronzo di Bastet: questa solida figura fusa della dea Bastet la rappresenta come una donna con la testa di gatto che indossa una lunga veste riccamente decorata. I suoi occhi hanno intarsi d’oro e le sue orecchie sono forate per gli orecchini. Di tutte le dee leone con criniera venerate per la loro ferocia, Bastet è l’unica a essere in seguito trasformata nella meno terribile gatta. La gatta era particolarmente nota per la sua fecondità, e quindi Bastet era adorata come dea della fertilità e, con una logica meno ovvia, della festa e dell’ebbrezza.

A testimonianza della sua fecondità, non meno di quattro gattini siedono ai suoi piedi. Un altro è appollaiato all’interno del sistro, o sonaglio egizio, che porta in mano a simboleggiare l’altro aspetto della sua personalità, poiché è uno strumento musicale legato all’allegria. In origine, all’interno del cerchio c’erano due aste orizzontali con dischi metallici che producevano un suono stridente quando lo strumento veniva scosso. Il volto della dea Hathor, anch’essa legata alla musica, appare sull’impugnatura del sistro.

Sul petto Bastet porta un’egida o un ampio collare, sormontato da una testa di dea leonessa con un disco solare, forse a rappresentare Bastet stessa nella sua originaria manifestazione feroce. L’”egida” è probabilmente da interpretare come la parte superiore del contrappeso di un collare di perline “menyet”, un altro strumento musicale legato alla festa; quando venivano scosse, le perline sbattevano tra loro. Lungo i bordi del plinto è presente un testo geroglifico, in gran parte eroso o cancellato.

  • Periodo: Periodo tardo.
  • Data di produzione: 900 a.C.-600 a.C. (circa) (circa).
  • Scoperto da: Egypt Exploration Fund.
  • Punto di ritrovamento: Tell Basta (Bubastis) – Governatorato di el-Sharqiya
  • Materiali: bronzo, oro.
  • Tecnica: Inciso, intarsiato.
  • Dimensioni: altezza 27 centimetri, larghezza: 8,26 centimetri, profondità: 10,80 centimetri.
  • Donato da: Egypt Exploration Fund.
  • Data di acquisizione: 1894.
  • Numero di registrazione: 1894,1208.3

Fonte immagini: British Museum, Collezione Online.

Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: OFFERTE VOTIVE DEL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Il vino era una bevanda apprezzata in Egitto, e la sua importanza crebbe nel Nuovo Regno, soprattutto nel periodo ramesside, anche perché le bevande inebrianti giocavano un ruolo preminente nelle feste e nelle celebrazioni religiose.

Questo recipiente, insieme agli altri che vi mostrerò nei prossimi giorni, fa parte dei tesori di Bubastis, e veniva probabilmente utilizzato per servire il vino in occasione della grande festa annuale in onore della dea Bastet; è un reperto eccezionale, in quanto è realizzato in argento, e quel metallo era estremamente raro nell’antichità; inoltre era usanza fondere gli oggetti risalenti per crearne di nuovi.

Esso ha il manico a forma di capra rampante, è alto cm. 16,8 e risale al regno di Ramses II; si trova al museo del Cairo. La parte inferiore globulare è decorata con cuori e con testi geroglifici di augurio per il “coppiere del re” e “messaggero in tutti i paesi” Atumentaneb, mentre il collo è inciso con una doppia fascia di scene naturalistiche che presentano anche elementi decorativi tipici del vicino oriente.

Nella fascia superiore un uomo riccamente vestito stende le braccia in segno di adorazione verso una dea sconosciuta al pantheon faraonico; vi sono poi grifoni alati, uno dei quali attacca un felino, due gazzelle che si accoppiano; una lotta tra animali.

Il registro sottostante è decorato con scene di caccia e pesca nelle paludi, tratte dal repertorio decorativo tradizionale dell’antico Egitto: un uomo naviga su una barca di papiro sormontata da un’edicola sormontata da un fiore di loto all’interno della quale si trovano un uccello nel nido, un cesto e una nassa, un altro uomo scende da una barca e tiene un’anatra da lui catturata mentre altri uccelli, spaventati, prendono il volo e abbandonano i nidi sul bordo di uno stagno dove nuotano tre pesci. Un altro pescatore si allontana portando sulla spalla una lunga pertica alla cui estremità sono attaccati due pesci. In un’altra scena alcuni uomini tirano una rete in cui sono imprigionati diversi uccelli che si erano posati su di uno stagno mentre altri, sfuggiti alla trappola, stanno volando via.

Facevano parte del “servizio da vino” del tempio anche questi oggetti attualmente in mostra al MET di New York e tutti di epoca ramesside.

Si tratta di un colino in oro, che serviva per depurare la bevanda dalle impurità mentre veniva versata nelle situle o nelle patere; di una situla in electron decorata con un motivo di foglie di olivo intorno al collo e di petali di loto che abbracciano la base; di un oggetto circolare in oro decorato con la tecnica della granulazione che era la decorazione centrale di una patera andata perduta; dei frammenti di un vaso d’argento con il collo fasciato d’oro.

La decorazione di quest’ultimo vaso è costituita da teste di Hathor e cuccioli di leone che sono un riferimento alla dea ed altresì a Sekhmet – Bastet, associate al mito della Dea Lontana, la cui furia distruttrice nei confronti dell’umanità fu fermata solo dall’ebbrezza.

Questo vasetto d’oro (a sinistra) (solo 11 cm. di altezza) ha la forma di un melograno, frutto introdotto dall’Oriente in Egitto all’inizio del Nuovo Regno; i chicchi, la cui dimensione diminuisce man mano ci si avvicina alla base del vaso, sono realizzati a sbalzo.

Il collo del vaso è decorato con quattro registri di motivi floreali, più precisamente un fregio di foglie lanceolate, una serie di fiori di loto, grappoli d’uva e piccoli fiori, una fila di rosette stilizzate e una ghirlanda di fiori. Il manico è formato da un anello mobile che passa attraverso una barra fissata al bordo del vaso, a sua volta decorata con il rilievo di un vitello sdraiato.

Esso fu realizzato nel Terzo periodo intermedio.

L’altro vaso d’oro (XIX dinastia) è decorato con un fregio di foglie lanceolate che puntano verso il basso; la fascia centrale ha un motivo di grandi gocce e la fascia inferiore ha una serie di cerchi con rosette stilizzate.

Un anello è fissato sotto il bordo da una piccola barra in cui è incastonata una pietra. Il corpo del vaso è inciso con una ghirlanda di foglie a forma di collana da cui pende un fiore di loto affiancato da due uccelli con ali spiegate. Si vede anche l’incisione di un gatto.

Entrambi questi reperti sono conservati al Museo Egizio del Cairo.

Questo prezioso vasellame in argento risale all’epoca ramesside, ed era anch’esso utilizzato per servire il vino; tutti gli oggetti sono esposti al MET di New York.

La brocca decorata con la testa di leonessa sul manico era probabilmente usata nel corso delle celebrazioni in onore di una divinità asiatica e reca il nome del maggiordomo reale Atumemtaneb, che era anche un inviato reale in tutte le terre straniere. La decorazione sotto il bordo mostra scene palustri con bovini, cavalli e capre; la base è circondata da un motivo a forma di petali

.La bottiglia d’argento con scena di offerta reca il nome di Meritptah.

Questa patera d’argento con base piatta e bordo verticale è decorata con una serie di fini incisioni di agricoltura, allevamento, caccia e pesca nelle paludi; all’interno si allarga una rosa di petali e foglie di loto.

Essa risale all’epoca ramesside e si trova al MET di New York.

I BRACCIALI DI RAMSES II

Questi bracciali in oro massiccio e lapislazzuli fanno parte del “primo tesoro” di Bubastis e recano il cartiglio del nome di intronizzazione di Ramses II (User Maât Rê Setep en Râ); potrebbero essere stati indossati dal re in persona o, più semplicemente, essere un dono offerto dal sovrano a Bastet.

Essi sono costituiti da due semicerchi incernierati; la parte superiore è decorata con due oche appaiate, con teste e coda in oro ed il corpo in lapislazzuli ; gli occhi sembrano essere di ceramica.

Il contorno del corpo è decorato con un bordo geometrico realizzato combinando minuscoli grani, piccole trecce e fili d’oro, che creano anche linee sulla testa e sulla coda delle oche , a simulare le penne. Dopo il loro ritrovamento, in via del tutto eccezionale sono stati fatti indossare a Ramses II.


Questo anello in oro adornato con un emblema di Hathor (in alto a sinistra)venne rinvenuto a Bubastis nel 1992 ed è ora esposto al museo di Zagazig.

La dea porta la tipica parrucca ornata da nastri, con la riga in mezzo e due grandi riccioli ai lati del collo e poggia sul geroglifico neb; ella è affiancata da urei sormontati da un disco solare ai lati dei quali vi sono due grandi fiori di loto; sulla testa una cornice serve da supporto ad un naos, molto simile ad un sistro.

Analoga provenienza hanno anche l’anello con le anatre (in basso a sinistra, oggi al Louvre) ed il bellissimo calice lotiforme in mostra al museo del Cairo, e recante il cartiglio di Tausert, moglie di Sethi II, la quale alla morte del figliastro Siptah assunse prerogative e titolatura reali.

Esso è alto appena dieci centimetri; la coppa è costituita da un fiore di loto (simbolo dell’Alto Egitto) e si appoggia su di un piede cilindrico svasato alla base a forma di ombrello di papiro rovesciato (simbolo del Basso Egitto).Il loto simboleggia la rinascita: quando ha terminato il suo corso, il sole si rifugia nel loto per sorgere di nuovo il giorno successivo, e il ciclo ricomincia ogni giorno.


Tra i gioielli rinvenuti a Bubastis spicca un collier di diciannove giri di piccoli elementi decorativi di differenti forme in oro e corniola largo 36 cm., che si allaccia al collo grazie ad una catenella che ne raccoglie le estremità. Esso è ora custodito al museo del Cairo.

Naturalmente il gioiello è stato reinfilato al momento della scoperta, perché i singoli componenti si erano sparpagliati fin dall’antichità, ed è quindi impossibile stabilire se esso è identico a come doveva essere in origine

FONTI:

  • Trésor de Bubastis : un vase qui raconte une histoire, di Marie Grillot
  • Francesco Tiradritti, Tresors d’Egypte. Les merveilles du musée égyptien du Caire
  • Treasures from Tell Basta: Goddesses, Officials, and Artists in an International Age di Christine Lilyquist Curator Emerita, Egyptian Art and Lila Acheson Wallace Curatorship in Egyptology, The Metropolitan Museum of ArtMetropolitan Museum Journal 47© 2012 The Metropolitan Museum of Art, New York
  • https://www.metmuseum.org/art/collection/search/545170
  • L’histoire des bracelets d’or aux oies de Ramsès II, di Marie Grillot, in  https://egyptophile.blogspot.com
  • Marie Grillot, Une bague à tête d’Hathor provenant du “nouveau” trésor de Tell Basta, in https://egyptophile.blogspot.com
  • Marie Grillot, Un magnifique collier de perles d’or et de cornaline découvert grâce… à une voie ferrée!, in https://egyptophile.blogspot.com
Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: LA SCOPERTA DEI TESORI DEL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Il 2 settembre 1906, circa 160 metri ad ovest del tempio principale di Bubastis, là dove si stava costruendo la linea ferroviaria che collegava il Cairo, Mansoura e Belbeis, fu scoperto uno straordinario tesoro, composto da oggetti d’oro e d’argento: gli operai lo nascosero per poterselo dividere ma il Servizio per le Antichità, avvertito per tempo, riuscì a recuperarne la maggior parte.

Esso venne probabilmente sepolto da sacerdoti che intendevano proteggerlo o da saccheggiatori che l’avevano razziato ed intendevano tornare a recuperarlo in un momento successivo.

Il 16 ottobre successivo a poca distanza dal primo venne alla luce un altro tesoro, ben più importante, e le Autorità riuscirono ad intervenire prontamente ed a recuperarlo.

Entrambi i tesori comprendevano vasellame in oro e argento, gioielli (collane, orecchini, bracciali, anelli) e molti piccoli oggetti in argento, molto probabilmente offerte votive dedicate alla dea Bastet; le iscrizioni presenti su molti di essi permettono di farli risalire alla XIX dinastia (1539-1075 a.C. circa), ed in particolare all’epoca della regina Tausert, salvo una coppia di bracciali recanti il cartiglio di Ramses II.

Nel 1992, infine, la missione dell’Università di Zagazig scoprì sotto le fondamenta del tempio il cosiddetto “nuovo tesoro” composto da 139 pezzi di gioielleria, per la maggior parte amuleti e perline decorative in oro, in argento, in corniola, in vetro, in steatite ed in maiolica, conservati in due piccoli contenitori di alabastro.

Molti reperti appartenenti ai tre tesori sono oggi esposti al Museo Tell Basta di Zagazig, inaugurato all’inizio di marzo 2018 dal ministro delle Antichità egiziano Khaled El-Enany; nei prossimi post vi mostrerò nel dettaglio i magnifici reperti che li compongono.

Nelle immagini: un primo assaggio dei tesori di Bubastis

Fonti:

Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: LA CITTÀ ED IL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Nel Delta del Nilo, a sud-est della città egiziana di Zagazig, si trova il sito di Tell Basta, ove sorgono le rovine di Bubastis (in egizio Per Bastet – Dominio di Bastet), che fu capoluogo di un nomo ed anche capitale del Basso Egitto nel corso della XXII dinastia.

La città sorgeva in una zona strategicamente importante alla confluenza tra il ramo Tanita (o Bubastide) e quello Pelusiaco del Nilo, base di partenza per le missioni militari verso l´Asia e per le spedizioni commerciali verso il Mediterraneo e minerarie dirette nel Sinai per acquisire turchesi e rame.

Fin dalla IV dinastia essa fu sede di un tempio dedicato a Bastet; Erodoto, che lo visitò nel V secolo a.C., rimase impressionato dalla sua magnificenza: “In questa città c’è un tempio molto degno di menzione; anche se ci sono altri templi che sono più grandi e costruiti con un costo maggiore, niente più di questo è un piacere per gli occhi”.

Lo storico greco riferisce che ogni anno, in occasione di una festa in onore della Dea, la città raccoglieva migliaia di pellegrini che giungevano in barca navigando il Nilo e che per tutto il viaggio cantavano, battevano le mani e gridavano e che poi si davano agli eccessi, “bevendo più vino in quei giorni che durante tutto il resto dell’anno”.

Egli descrive le proporzioni imponenti del portico del tempio che si trovava nel centro di un’area depressa nel mezzo della città “così che si sarebbe potuto guardare in basso e vederla ovunque ci si trovasse”, e narra delle pareti mirabilmente scolpite e di uno specchio d’acqua a forma di falce di luna che circondava l’edificio su tre lati.

La città raggiunse il suo apogeo nel Terzo Periodo Intermedio, per poi declinare ed essere abbandonata nel settimo secolo, dopo la conquista musulmana; la memoria della sua posizione si perse per secoli fino a quando essa fu nuovamente individuata nel 1798 da Étienne-Louis Malus, uno studioso francese che accompagnò Napoleone nella sua spedizione in Egitto ma venne scavata solo nel 1888 dall’egittologo svizzero Édouard-Henri Naville.

Egli si dedicò in modo particolare allo studio del Tempio di Bastet, all’epoca ancora imponente, e portò alla luce un’immensa necropoli che conteneva gatti mummificati, migliaia di statuette di bronzo raffiguranti Bastet e raffinati frammenti di statue, che inviò al British Museum di Londra.

In quell’epoca la zona fu devastata dai cercatori di fertilizzanti e numerosi reperti furono trasferiti nei musei di tutto il mondo e nelle collezioni privati; i monumenti vennero smantellati ed il calcare fu riutilizzato per le costruzioni di edifici moderni.

Nelle poche rovine rimaste sono oggi identificabili il peristilio del tempio, il portale monumentale e il cortile del giubileo di Osorkon, una sala ipostila con colonne papiriformi del Regno medio e il santuario di Nekhtharehbe (Nectanebo II); nella città sono visibili anche le rovine di un tempio di Pepi I e di un edificio in mattoni di Amenemhat III.

Nelle immagini:

  • a sinistra in alto – posizione geografica di Bubastis;
  • a destra in alto – ricostruzione dell’area del tempio di Bastet;
  • a sinistra in basso modello del palazzo del Medio Impero;
  • in basso al centro – le rovine del tempio;
  • a destra in basso – capitello hathorico

Fonti: