Luoghi

IL VILLAGGIO DI DEIR EL MEDINA

Di Giusy Antonaci

STELE DEDICATA DA SMEN AL FRATELLO MEKHIMONTU E A SUA MOGLIE NUBEMUSEKHET
Nuovo Regno
XVIII dinastia
Museo Egizio di Torino

Intorno al 1500 a.C. fu fondato il villaggio di Deir el Medina, dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine.

Situato nei pressi dell’odierna Luxor, costituisce uno dei tre esempi noti di “villaggio operaio” (gli altri sono quello di Tell el-Amarna, l’antica Akhetaton, e di Kahun, nei pressi di el-Lashur) che ospitavano gli artigiani e, in genere, le maestranze preposte alla realizzazione e manutenzione delle tombe degli antichi Re della XVIII, XIX e XX dinastia.

Tra il 1525 e il 1504 a.C. il re Amenhotep I istituì un gruppo di artigiani specializzati che il successore, Thutmosi I, decise di concentrare in questo villaggio, chiamato Pa demi.

Esso si trovava in un’area desertica sita nei pressi della zona destinata ad accogliere le tombe reali, a metà strada tra quelle che sarebbero poi divenute la Valle dei Re e la Valle delle Regine.

Il villaggio di Deir el-Medina ed i primi scavi, dal 1905 al 1909, si devono all’italiano Ernesto Schiaparelli, mentre le definitive operazioni di scavo furono realizzate, dal 1922 al 1951, a cura di spedizioni francesi.

Di fatto, l’esistenza del villaggio operaio cominciò a prosperare agli inizi della XVIII dinastia.

Originariamente, esso era circondato da un muro e presentava 60 complessi abitativi, successivamente incrementati sino ad ospitare circa 120 nuclei familiari per un complesso, stimato, di 500 abitanti.

Esiste un periodo “vuoto” che corrisponde a quello dell’eresia amarniana, per il trasferimento delle maestranze ad Akhetaton.

Il villaggio riprenderà vita ed attività sotto il successore di Ay, e di Tutankhamon, Horemheb.

Deir el-Medina presenta la forma allungata che ricorda quella di una nave, con una strada principale che l’attraversa tutta separando le abitazioni in due grossi quartieri che erano denominati “quartiere di dritta”, ad est, e “di sinistra”, ad ovest.

Inoltre, proprio come su una nave, le maestranze erano suddivise in “squadre di tribordo” e “di babordo”, composte da circa 60 unità, ognuna capeggiata da un “architetto” caposquadra.

Il villaggio si trova relativamente a breve distanza dal Nilo e non è servito da acqua per cui si suppone che l’approvvigionamento avvenisse tramite carovane di animali da soma.

Le maestranze, suddivise in squadre da 60 unità ciascuna, raggiungevano il luogo di lavoro percorrendo un sentiero che passa alla sommità delle alture che delimitano la Valle dei re e su cui sono ancora visibili i luoghi di sosta ove, peraltro, erano posizionate anche le sentinelle che garantivano la sicurezza delle tombe.

Le squadre prestavano servizio per una settimana di dieci giorni a cui seguiva un week-end di due giorni.

Doveva trattarsi di una comunità abbastanza cosmopolita, considerati i nomi.

Poichè gli uomini erano costantemente lontani dal villaggio per gran parte dell’anno, Deir el-Medina risultava essere una comunità principalmente femminile.

Le donne possedevano un buon livello d’istruzione dato che, oltre ai normali lavori domestici, dovevano occuparsi del mantenimento del villaggio anche dal punto di vista economico, logistico e di approvvigionamento.

Sono note, inoltre, le professioni di alcune di tali donne che spaziano dalle “cantatrici” alle “sacerdotesse” dedicate a vari culti.

Trattandosi in gran parte di maestranze edili e di artisti, si assiste alla nascita di una necropoli operaia in cui le sepolture nulla hanno da invidiare alle tombe nobiliari. Originariamente, non esiste un piano prestabilito, ma solo con la XIX dinastia le tombe di famiglia si concentreranno sul lato nord-occidentale.

Si tratta di tombe con rilievi e opere pittoriche spesso di altissima qualità.

La necropoli ospita 53 tombe specialmente della XVIII, XIX e XX dinastia, soprattutto dedicate a capisquadra e operai del villaggio che realizzavano le sepolture, specie reali.

Anche se non strettamente rientranti nella categoria dei “nobili”, si è soliti tuttavia comprendere anche la necropoli operaia nella più ampia localizzazione e denominazione di Tombe dei Nobili della Necropoli tebana.

Fonte: Christian Greco,”Deir el Medina.Le passeggiate del direttore” (12° appuntamento)

Bubastis, Luoghi

IL PALAZZO DEL MEDIO IMPERO

Di Francesco Volpe

La Ricostruzione del Palazzo del Medio Impero visto dal alto a Bubastis.

Il Palazzo del Medio Impero era la “grande casa” dove i Faraoni di generazione in generazione hanno governato sull’Egitto, durante il periodo in cui Bubastis fù capitale, nella XXII dinastia.

Il suo ruolo era fondamentale sia per l’economia del egitto e per esercitare il potere sul paese, infatti la sua posizione li consentiva di essere raggiunto facilmente dalle navi che arrivano da Roma o dalla Grecia attraverso il Nilo fino i due canali artificiali situati vicino al tempio di Bastet.

Le navi arrivano per scambiare i beni preziosi di cui l’Egitto aveva bisogno, proprio atraverso il Nilo, che tutte le città in Egitto lo usavano come mezzo per il trasporto alimentare, di beni e persino il transito di blocchi provenienti dalle cave con cui venivano costruiti i grandi templi o le piramidi.

Le grandi mura che proteggevano il Palazzo, visuale esterna.

In questo caso a Bubastis si usano i canali artificiali per portare le navi cariche di merci preziose per l’economia del paese al Palazzo, una volta arrivate a Bubastis la merce di qualsiasi tipo veniva portata nei magazzini del grande palazzo di Bubastis, dove poi poteva essere conservata, rivenduta o distribuita in tutto l’Egitto.

Il Palazzo del Medio Impero ci da modo di credere che Bubastis era strategicamente importante per l’economia Egiziana, era famosa per le mummie di gatto anche esportate in tutto l’Egitto, dovuto al culto principale della dea Bastet, dea principale di questa città che prende il nome proprio da essa, tradotto “Casa di Bastet”.

La mappa archeologica del Palazzo del Medio Impero.

Accanto al Palazzo del Medio Impero di Bubastis sono stati rinvenuti molti nomi nel cimitero reale risalente alla vecchia dinastia, un sacco di nomi furono stati scoperti nelle incisioni nei resti dei sepolcri che componevano il cimitero reale.

Principalmente i nomi sono della famiglia o più famiglie reali che hanno abitato il Palazzo in diverse epoche.

Luoghi

IL POZZO DI OSIRIDE

Di Patrizia Burlini

Forse non tutti sanno che nella piana di Giza, vicino alle piramidi, esiste un luogo misterioso. Si tratta del “pozzo di Osiride”, un ipogeo che, al terzo livello di profondità, presenta un plinto centrale (che, in questo caso, sorregge un sarcofago vuoto, con la copertura spostata) circondato dall’acqua, con, attorno, una serie di nicchie e cunicoli scavati nella roccia. Si tratta della tomba di Cheope di cui parla Erodoto?

Pianta in cui si vede la posizione del Pozzo

Lo storico Erodoto (libro II, paragrafo 124- http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Biblioteca:Erodoto%2C_Le_Storie%2C_Libro_II ) che visitò l’Egitto nel V sec. BCE, scrisse:

“Ogni trimestre lavoravano a turno centomila uomini. E il popolo si logorò dieci anni per costruire la strada sulla quale venivano trascinate le pietre. Un’opera che è a parer mio, non di troppo inferiore alla piramide: giacché la sua lunghezza è di cinque stadi, la larghezza di dieci orge, l’altezza della scarpata raggiunge, dove tocca il massimo, le otto orge. La strada è fatta di pietra levigata e con figure incise. Occorsero dunque per essa, e per le camere sotterranee nella collina su cui sorgono le piramidi, quei dieci anni. Il Re costruì le camere, destinate alla sua sepoltura, in un’isola, ch’egli creò col condurre dal Nilo fin là un canale”

Erodoto parla quindi di una tomba circondata dall’acqua.

L’ingresso del “pozzo”

Il pozzo è stato aperto al pubblico nel 2017. È visitabile su prenotazione, al costo di USD 2000 o 3000 per un paio d’ore di “prenotazione” del pozzo.

Secondo Zahi Hawass, fu nel 1945 che l’archeologo egiziano Abdel Moneim Abu Bakr venne a sapere che le guide turistiche di Giza nuotavano e attingevano acqua in un pozzo sotterraneo vicino alle piramidi.

Individuò il pozzo sotto la strada rialzata di Khafre (Chefren) ma non lo esplorò e in seguito l’innalzamento del livello delle acque impedì ulteriori esplorazioni.

In realtà, Hawass “ dimentica” di dire che già nel 1933/34 Selim Hassan descrisse il pozzo nella sua relazione di scavo a Giza e ne esplorò due livelli, fino a 14 mt di profondità, raggiungendo il terzo livello senza poterlo esplorare, dato che era allagato.

Ricostruzione 3D del pozzo

Hawass dimentica anche che nel 1992 il regista Boris Said era già entrato nel pozzo grazie alle indicazioni di una guardia. Nel 1995, Said era entrato in joint venture con Joseph Schor che aveva un permesso per delle ispezioni georadar a Giza. Le foto del pozzo erano state già pubblicate nel website di Said…

Comunque, negli anni ‘90 Zahi Hawass, allora Direttore Generale delle Piramidi di Giza, avviò le difficili operazioni di drenaggio del pozzo, ma fu solo nell’estate del 1999 che presentò ufficialmente il progetto e comunicò al mondo la “sua” scoperta (che in realtà scoperta non era essendo già nota da decenni). A lui comunque va il merito delle ulteriori esplorazioni e del drenaggio del pozzo che ha consentito di raggiungere ed esplorare il terzo livello.

Sezione del pozzo – Zahi Hawass

I livelli del pozzo, anche se è più corretto parlare di struttura articolata con più pozzi, profonda 30 mt, sono infatti tre:

– il primo, pozzo A e livello 1, a 9 mt, con una grande camera ventilata trovata vuota

La scala che scende nel pozzo. Credit: Hidden Inca Tours

– Il secondo, pozzo B e livello 2, a 13 mt, con una camera con 6 nicchie laterali in cui sono stati rinvenuti 3 sarcofagi, in basalto e granito, con resti di scheletri umani e vari oggetti databili alla XXVI dinastia

Uno dei sarcofagi del secondo livello, databili alla XXVI Dinastia, secondo Hawass. All’interno sono stati trovati resti di ossa. Foto credit: lah.ru.

– Il terzo, pozzo C e livello 3, a circa 33 mt, rappresenta il livello più interessante. Vi si trova un sarcofago di basalto nero Lungo 2 metri e largo 1 metro circondato dall’acqua. Al suo interno furono trovati i resti di uno scheletro; il coperchio era a terra, sul pavimento. Furono trovati resti di amuleti e oggetti databili anche alla VI Dinastia

Il terzo livello
Il misterioso sarcofago del terzo livello. Credit: 1999, Homare Uematsu

Il terzo livello é composto da una camera di forma quadrata di circa 9 m x 9 m, al cui centro si trova un basamento ricavato dalla roccia che presenta ai quattro lati i resti di quattro colonne. Fra il basamento e le pareti della camera esiste una sorta di trincea, riempita di acqua cristallina, che è interrotta solo in corrispondenza dell’innesto del pozzo C; secondo Hawass la trincea assume la forma della pianta di un’abitazione, ossia il geroglifico ‘pr’, così come avviene all’Osireion di Seti I ad Abydos (considerata la tomba simbolica del dio Osiride).

Il terzo livello, dove si nota l’acqua limpida (priva di pesci)

Sulla base degli amuleti e cocci ritrovati, Hawass ritiene che il complesso sia stato dapprima scavato durante l’Antico Regno (VI Dinastia), riutilizzato nel Nuovo Regno quando il culto di Osiride ridivenne importante a Giza, e infine utilizzato per sepolture nel Tardo Regno.

Un’alcova del secondo livello con resti d’ossa e pezzi di coccio

Secondo Hawass il pozzo di Osiride potrebbe identificarsi con la tomba sotterranea circondata da acqua, menzionata da Erodoto, il quale riteneva si trattasse della tomba di Khufu (Cheope). Hawass ritiene invece che il complesso rappresenti la tomba simbolica del dio Osiride, vista la conformazione della camera I al livello 3 che richiama quella dell’Osireion di Abydos. Inoltre, l’acqua attorno alla sepoltura è probabilmente collegata al ruolo di Osiride come Dio della vegetazione e della resurrezione e alla sua identificazione con il suo creatore, che appare sulle terre primordiali circondate dal Nun.

A riprova di questo ci sarebbe il nome stesso attribuito alla piana di Giza nel Nuovo Regno: “pr Wsir nb R3-st3w“, “casa di Osiride, signore di Rostau”, dove Rostau (trascritto anche Rastaw), può tradursi come “cimitero” o “gallerie sotterranee”, e spesso è riferito specificamente a Giza: dunque “casa di Osiride, signore delle gallerie sotterranee”.

Così come per il Serapeum, le domande su questo misterioso pozzo sono molte:

  • Qual è l’epoca effettiva di costruzione?
  • Che significato ha?
  • Com’è stato possibile calare in quei cunicoli dei sarcofagi così pesanti?
  • Da dove proviene l’acqua che, secondo alcune informazioni che ho letto, tutte da verificare, sarebbe salata? Proviene dal lago di Meride?
  • Esistono dei corridoi che collegano la strada rialzata di Khafre alle piramidi e al pozzo?

Domande che non hanno al momento risposta, anche se lo stesso Hawass non nega la probabilità che nel sottosuolo di Giza vi siano molti ambienti e passaggi sotterranei ancora da scoprire, pur non ammettendo di aver trovato altro.

Di seguito trovate un link di un video che mostra il pozzo e vari approfondimenti:

http://www.gizapyramids.org/pdf…/hawass_fs_oconnor.pdf

https://www.giza-legacy.ch/the-osiris-tomb/

https://curiosmos.com/unwritten-mystery-what-was-hidden…/

https://www.saggiasibilla.com/…/03/pozzo-di-osiride/amp/

https://ilmodellocelestedigiza.wordpress.com/…/luci-e…/

https://hiddenincatours.com/what-is-the-osiris-shaft-in…/

https://techzelle.com/osiris-shaft/

Bubastis, Luoghi

RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO DI BASTET

A cura di Francesco Volpe

Questo era il Tempio di Bastet a Bubastis; in egiziano antico Par Bastet, era circondato dalle mura per isolarlo dai rumori della città, era la casa della divinità Bastet e solo i sacerdoti potevano entrare nel naos dove era conservata la statua della divinità.

All’interno delle mura c’erano strutture che usavano i sacerdoti e un piccolo tempio dedicato a Mihos, un piccolo lago sacro che era usato per un antico rituale che prevedeva di gettare un gatto nel lago sacro per celebrare la trasformazione di Bastet da gatto a leonessa.

All’esterno i Piloni di Osorkon I erano l’ingresso che portava ad un cortile interno circondato da due muri; nel cortile c’era un colonnato che si pensa fosse dedicato ad Hathor.

Una volta entrati nel cortile ci si trova davanti ai piloni di Osorkon II che erano l’entrata del tempio di Bastet. Davanti al pilone destro c’era la statua della Regina Karomama.

Il Tempio aveva una grande sala iniziale con grandi colonne dove probabilmente si riunivano per pregare o partecipare a dei rituali sacri.

La seconda sala aveva un colonnato di 3 file di 3 colonne su entrambe i lati della stanza (probabilmente era la sala delle offerte) il pre-naos, e infine il naos di Bastet.

Erodoto descrisse il tempio di Bastet come uno dei più belli d’Egitto: secondo la sua descrizione all’esterno era circondato da 2 canali artificiali chiamati Isheru che secondo Erodoto arrivano al Nilo.

Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: OFFERTE VOTIVE DEL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Il vino era una bevanda apprezzata in Egitto, e la sua importanza crebbe nel Nuovo Regno, soprattutto nel periodo ramesside, anche perché le bevande inebrianti giocavano un ruolo preminente nelle feste e nelle celebrazioni religiose.

Questo recipiente, insieme agli altri che vi mostrerò nei prossimi giorni, fa parte dei tesori di Bubastis, e veniva probabilmente utilizzato per servire il vino in occasione della grande festa annuale in onore della dea Bastet; è un reperto eccezionale, in quanto è realizzato in argento, e quel metallo era estremamente raro nell’antichità; inoltre era usanza fondere gli oggetti risalenti per crearne di nuovi.

Esso ha il manico a forma di capra rampante, è alto cm. 16,8 e risale al regno di Ramses II; si trova al museo del Cairo. La parte inferiore globulare è decorata con cuori e con testi geroglifici di augurio per il “coppiere del re” e “messaggero in tutti i paesi” Atumentaneb, mentre il collo è inciso con una doppia fascia di scene naturalistiche che presentano anche elementi decorativi tipici del vicino oriente.

Nella fascia superiore un uomo riccamente vestito stende le braccia in segno di adorazione verso una dea sconosciuta al pantheon faraonico; vi sono poi grifoni alati, uno dei quali attacca un felino, due gazzelle che si accoppiano; una lotta tra animali.

Il registro sottostante è decorato con scene di caccia e pesca nelle paludi, tratte dal repertorio decorativo tradizionale dell’antico Egitto: un uomo naviga su una barca di papiro sormontata da un’edicola sormontata da un fiore di loto all’interno della quale si trovano un uccello nel nido, un cesto e una nassa, un altro uomo scende da una barca e tiene un’anatra da lui catturata mentre altri uccelli, spaventati, prendono il volo e abbandonano i nidi sul bordo di uno stagno dove nuotano tre pesci. Un altro pescatore si allontana portando sulla spalla una lunga pertica alla cui estremità sono attaccati due pesci. In un’altra scena alcuni uomini tirano una rete in cui sono imprigionati diversi uccelli che si erano posati su di uno stagno mentre altri, sfuggiti alla trappola, stanno volando via.

Facevano parte del “servizio da vino” del tempio anche questi oggetti attualmente in mostra al MET di New York e tutti di epoca ramesside.

Si tratta di un colino in oro, che serviva per depurare la bevanda dalle impurità mentre veniva versata nelle situle o nelle patere; di una situla in electron decorata con un motivo di foglie di olivo intorno al collo e di petali di loto che abbracciano la base; di un oggetto circolare in oro decorato con la tecnica della granulazione che era la decorazione centrale di una patera andata perduta; dei frammenti di un vaso d’argento con il collo fasciato d’oro.

La decorazione di quest’ultimo vaso è costituita da teste di Hathor e cuccioli di leone che sono un riferimento alla dea ed altresì a Sekhmet – Bastet, associate al mito della Dea Lontana, la cui furia distruttrice nei confronti dell’umanità fu fermata solo dall’ebbrezza.

Questo vasetto d’oro (a sinistra) (solo 11 cm. di altezza) ha la forma di un melograno, frutto introdotto dall’Oriente in Egitto all’inizio del Nuovo Regno; i chicchi, la cui dimensione diminuisce man mano ci si avvicina alla base del vaso, sono realizzati a sbalzo.

Il collo del vaso è decorato con quattro registri di motivi floreali, più precisamente un fregio di foglie lanceolate, una serie di fiori di loto, grappoli d’uva e piccoli fiori, una fila di rosette stilizzate e una ghirlanda di fiori. Il manico è formato da un anello mobile che passa attraverso una barra fissata al bordo del vaso, a sua volta decorata con il rilievo di un vitello sdraiato.

Esso fu realizzato nel Terzo periodo intermedio.

L’altro vaso d’oro (XIX dinastia) è decorato con un fregio di foglie lanceolate che puntano verso il basso; la fascia centrale ha un motivo di grandi gocce e la fascia inferiore ha una serie di cerchi con rosette stilizzate.

Un anello è fissato sotto il bordo da una piccola barra in cui è incastonata una pietra. Il corpo del vaso è inciso con una ghirlanda di foglie a forma di collana da cui pende un fiore di loto affiancato da due uccelli con ali spiegate. Si vede anche l’incisione di un gatto.

Entrambi questi reperti sono conservati al Museo Egizio del Cairo.

Questo prezioso vasellame in argento risale all’epoca ramesside, ed era anch’esso utilizzato per servire il vino; tutti gli oggetti sono esposti al MET di New York.

La brocca decorata con la testa di leonessa sul manico era probabilmente usata nel corso delle celebrazioni in onore di una divinità asiatica e reca il nome del maggiordomo reale Atumemtaneb, che era anche un inviato reale in tutte le terre straniere. La decorazione sotto il bordo mostra scene palustri con bovini, cavalli e capre; la base è circondata da un motivo a forma di petali

.La bottiglia d’argento con scena di offerta reca il nome di Meritptah.

Questa patera d’argento con base piatta e bordo verticale è decorata con una serie di fini incisioni di agricoltura, allevamento, caccia e pesca nelle paludi; all’interno si allarga una rosa di petali e foglie di loto.

Essa risale all’epoca ramesside e si trova al MET di New York.

I BRACCIALI DI RAMSES II

Questi bracciali in oro massiccio e lapislazzuli fanno parte del “primo tesoro” di Bubastis e recano il cartiglio del nome di intronizzazione di Ramses II (User Maât Rê Setep en Râ); potrebbero essere stati indossati dal re in persona o, più semplicemente, essere un dono offerto dal sovrano a Bastet.

Essi sono costituiti da due semicerchi incernierati; la parte superiore è decorata con due oche appaiate, con teste e coda in oro ed il corpo in lapislazzuli ; gli occhi sembrano essere di ceramica.

Il contorno del corpo è decorato con un bordo geometrico realizzato combinando minuscoli grani, piccole trecce e fili d’oro, che creano anche linee sulla testa e sulla coda delle oche , a simulare le penne. Dopo il loro ritrovamento, in via del tutto eccezionale sono stati fatti indossare a Ramses II.


Questo anello in oro adornato con un emblema di Hathor (in alto a sinistra)venne rinvenuto a Bubastis nel 1992 ed è ora esposto al museo di Zagazig.

La dea porta la tipica parrucca ornata da nastri, con la riga in mezzo e due grandi riccioli ai lati del collo e poggia sul geroglifico neb; ella è affiancata da urei sormontati da un disco solare ai lati dei quali vi sono due grandi fiori di loto; sulla testa una cornice serve da supporto ad un naos, molto simile ad un sistro.

Analoga provenienza hanno anche l’anello con le anatre (in basso a sinistra, oggi al Louvre) ed il bellissimo calice lotiforme in mostra al museo del Cairo, e recante il cartiglio di Tausert, moglie di Sethi II, la quale alla morte del figliastro Siptah assunse prerogative e titolatura reali.

Esso è alto appena dieci centimetri; la coppa è costituita da un fiore di loto (simbolo dell’Alto Egitto) e si appoggia su di un piede cilindrico svasato alla base a forma di ombrello di papiro rovesciato (simbolo del Basso Egitto).Il loto simboleggia la rinascita: quando ha terminato il suo corso, il sole si rifugia nel loto per sorgere di nuovo il giorno successivo, e il ciclo ricomincia ogni giorno.


Tra i gioielli rinvenuti a Bubastis spicca un collier di diciannove giri di piccoli elementi decorativi di differenti forme in oro e corniola largo 36 cm., che si allaccia al collo grazie ad una catenella che ne raccoglie le estremità. Esso è ora custodito al museo del Cairo.

Naturalmente il gioiello è stato reinfilato al momento della scoperta, perché i singoli componenti si erano sparpagliati fin dall’antichità, ed è quindi impossibile stabilire se esso è identico a come doveva essere in origine

FONTI:

  • Trésor de Bubastis : un vase qui raconte une histoire, di Marie Grillot
  • Francesco Tiradritti, Tresors d’Egypte. Les merveilles du musée égyptien du Caire
  • Treasures from Tell Basta: Goddesses, Officials, and Artists in an International Age di Christine Lilyquist Curator Emerita, Egyptian Art and Lila Acheson Wallace Curatorship in Egyptology, The Metropolitan Museum of ArtMetropolitan Museum Journal 47© 2012 The Metropolitan Museum of Art, New York
  • https://www.metmuseum.org/art/collection/search/545170
  • L’histoire des bracelets d’or aux oies de Ramsès II, di Marie Grillot, in  https://egyptophile.blogspot.com
  • Marie Grillot, Une bague à tête d’Hathor provenant du “nouveau” trésor de Tell Basta, in https://egyptophile.blogspot.com
  • Marie Grillot, Un magnifique collier de perles d’or et de cornaline découvert grâce… à une voie ferrée!, in https://egyptophile.blogspot.com
Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: LA SCOPERTA DEI TESORI DEL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Il 2 settembre 1906, circa 160 metri ad ovest del tempio principale di Bubastis, là dove si stava costruendo la linea ferroviaria che collegava il Cairo, Mansoura e Belbeis, fu scoperto uno straordinario tesoro, composto da oggetti d’oro e d’argento: gli operai lo nascosero per poterselo dividere ma il Servizio per le Antichità, avvertito per tempo, riuscì a recuperarne la maggior parte.

Esso venne probabilmente sepolto da sacerdoti che intendevano proteggerlo o da saccheggiatori che l’avevano razziato ed intendevano tornare a recuperarlo in un momento successivo.

Il 16 ottobre successivo a poca distanza dal primo venne alla luce un altro tesoro, ben più importante, e le Autorità riuscirono ad intervenire prontamente ed a recuperarlo.

Entrambi i tesori comprendevano vasellame in oro e argento, gioielli (collane, orecchini, bracciali, anelli) e molti piccoli oggetti in argento, molto probabilmente offerte votive dedicate alla dea Bastet; le iscrizioni presenti su molti di essi permettono di farli risalire alla XIX dinastia (1539-1075 a.C. circa), ed in particolare all’epoca della regina Tausert, salvo una coppia di bracciali recanti il cartiglio di Ramses II.

Nel 1992, infine, la missione dell’Università di Zagazig scoprì sotto le fondamenta del tempio il cosiddetto “nuovo tesoro” composto da 139 pezzi di gioielleria, per la maggior parte amuleti e perline decorative in oro, in argento, in corniola, in vetro, in steatite ed in maiolica, conservati in due piccoli contenitori di alabastro.

Molti reperti appartenenti ai tre tesori sono oggi esposti al Museo Tell Basta di Zagazig, inaugurato all’inizio di marzo 2018 dal ministro delle Antichità egiziano Khaled El-Enany; nei prossimi post vi mostrerò nel dettaglio i magnifici reperti che li compongono.

Nelle immagini: un primo assaggio dei tesori di Bubastis

Fonti:

Bubastis, Luoghi

BUBASTIS ED I SUOI TESORI: LA CITTÀ ED IL TEMPIO DI BASTET

A cura di Luisa Bovitutti

Nel Delta del Nilo, a sud-est della città egiziana di Zagazig, si trova il sito di Tell Basta, ove sorgono le rovine di Bubastis (in egizio Per Bastet – Dominio di Bastet), che fu capoluogo di un nomo ed anche capitale del Basso Egitto nel corso della XXII dinastia.

La città sorgeva in una zona strategicamente importante alla confluenza tra il ramo Tanita (o Bubastide) e quello Pelusiaco del Nilo, base di partenza per le missioni militari verso l´Asia e per le spedizioni commerciali verso il Mediterraneo e minerarie dirette nel Sinai per acquisire turchesi e rame.

Fin dalla IV dinastia essa fu sede di un tempio dedicato a Bastet; Erodoto, che lo visitò nel V secolo a.C., rimase impressionato dalla sua magnificenza: “In questa città c’è un tempio molto degno di menzione; anche se ci sono altri templi che sono più grandi e costruiti con un costo maggiore, niente più di questo è un piacere per gli occhi”.

Lo storico greco riferisce che ogni anno, in occasione di una festa in onore della Dea, la città raccoglieva migliaia di pellegrini che giungevano in barca navigando il Nilo e che per tutto il viaggio cantavano, battevano le mani e gridavano e che poi si davano agli eccessi, “bevendo più vino in quei giorni che durante tutto il resto dell’anno”.

Egli descrive le proporzioni imponenti del portico del tempio che si trovava nel centro di un’area depressa nel mezzo della città “così che si sarebbe potuto guardare in basso e vederla ovunque ci si trovasse”, e narra delle pareti mirabilmente scolpite e di uno specchio d’acqua a forma di falce di luna che circondava l’edificio su tre lati.

La città raggiunse il suo apogeo nel Terzo Periodo Intermedio, per poi declinare ed essere abbandonata nel settimo secolo, dopo la conquista musulmana; la memoria della sua posizione si perse per secoli fino a quando essa fu nuovamente individuata nel 1798 da Étienne-Louis Malus, uno studioso francese che accompagnò Napoleone nella sua spedizione in Egitto ma venne scavata solo nel 1888 dall’egittologo svizzero Édouard-Henri Naville.

Egli si dedicò in modo particolare allo studio del Tempio di Bastet, all’epoca ancora imponente, e portò alla luce un’immensa necropoli che conteneva gatti mummificati, migliaia di statuette di bronzo raffiguranti Bastet e raffinati frammenti di statue, che inviò al British Museum di Londra.

In quell’epoca la zona fu devastata dai cercatori di fertilizzanti e numerosi reperti furono trasferiti nei musei di tutto il mondo e nelle collezioni privati; i monumenti vennero smantellati ed il calcare fu riutilizzato per le costruzioni di edifici moderni.

Nelle poche rovine rimaste sono oggi identificabili il peristilio del tempio, il portale monumentale e il cortile del giubileo di Osorkon, una sala ipostila con colonne papiriformi del Regno medio e il santuario di Nekhtharehbe (Nectanebo II); nella città sono visibili anche le rovine di un tempio di Pepi I e di un edificio in mattoni di Amenemhat III.

Nelle immagini:

  • a sinistra in alto – posizione geografica di Bubastis;
  • a destra in alto – ricostruzione dell’area del tempio di Bastet;
  • a sinistra in basso modello del palazzo del Medio Impero;
  • in basso al centro – le rovine del tempio;
  • a destra in basso – capitello hathorico

Fonti: