Teologia

SIA, HU, HEKA

Intelligenza, Potere e Magia

Di Francesco Alba

I Testi dei Sarcofagi personificano gli attributi creativi della divinità solare come figure divine: Sia (la percezione, la conoscenza: vedi anche https://laciviltaegizia.org/2022/06/07/heka/), Hu (il discorso, l’enunciazione autorevole) ed Heka (la magia, o energia creativa); combinati, questi tre esseri fungono da catalizzatori che coadiuvano il dio del sole (sia esso Atum o Ra) a creare la realtà e la Ma’at o ordine divino.

Una tradizione tarda afferma che Sia e Hu nacquero dal sangue caduto dal pene ferito di Ra sul tumulo primordiale e per questa ragione possono essere considerati figli del dio. In tal senso i due dei erano considerati compagni costanti della divinità solare. Nei Testi delle Piramidi a Sia, “Colui che sta alla destra di Ra”, è affidata la sapienza e la responsabilità di portare il libro del dio. Di lui si diceva anche che risiedesse “nell’occhio di Ra”, in modo tale che il dio del sole potesse osservare e giudicare tutto ciò che accadeva nella dimensione terrena. Nei Testi dei Sarcofagi, Hu è chiamato “Colui che parla nell’oscurità”; si tratta con ogni probabilità dell’oscurità primordiale che precedeva la creazione della luce.

Un testo del Medio Regno, probabilmente riferendosi al turbolento passaggio dall’Antico Regno al Primo Periodo Intermedio, si chiede come il creatore possa aver permesso alla terra d’Egitto di piombare nel caos, pur avendo sempre con sé Sia, Hu e Ma’at (l’ordine divino, l’armonia).

Nei testi funerari del Nuovo Regno, Sia e Hu sono spesso raffigurati in piedi sulla barca solare di Ra. Sia agisce in qualità di portavoce di Ra nel corso del viaggio notturno del sole: egli impartisce l’ordine di aprire di volta in volta i dodici varchi del mondo sotterraneo.

Iconografia:

Figura A: Ra nella sua forma dalla testa di ariete mentre naviga nel Duat (le ore notturne e del mondo infero), accompagnato sulla sua barca da Sia (sulla sinistra, a prua) e da Heka (sulla destra, dietro Ra).

Raffigurazione dalla tomba di Ramses I (KV16), Valle dei Re. Diciannovesima Dinastia.

Figura B: La Barca Solare durante il suo viaggio notturno. Da destra a sinistra: Iside, Thot, Ra nella sua forma di Khepri (lo scarabeo), Hu (riconoscibile dal caratteristico geroglifico sul suo capo che rappresenta una zanna d’elefante, valore fonetico “hw”) e il defunto che governa l’imbarcazione. Raffigurazione dalla tomba di Anhurkhawi, Periodo Ramesside.

Riferimenti:

  • G.Pinch, Handbook of Egyptian Mythology. ABC-CLIO. 2002
  • Joyce Tyldesley, Myths & Legends of Ancient Egypt. Penguin Books – 2011
  • Paul Dickson, Dictionary of Middle Egyptian in Gardiner Classification Order. December 2006

E' un male contro cui lotterò

MEDICINA E MAGIA – LA HEKA

Di Andrea Petta e Franca Napoli

Abbiamo visto come il medico potesse debellare con la magia un demone maligno e placare l’ira divina con i corretti rituali, e come la magia fosse anche preventiva, per allontanare eventuali pericoli dalla vita di tutti i giorni.

La “forza” a cui si faceva riferimento era la “heka”, che abbiamo già incrociato su queste pagine (per quanto riguarda Heka come divinità, si veda l’articolo dedicatogli: https://laciviltaegizia.org/2022/06/07/heka/).

Heka è la forza soprannaturale che pervade l’universo consentendo alle divinità del pantheon egizio e all’umanità di agire. La heka era uno dei doni del dio creatore all’umanità; incarnata nella figura della divinità con lo stesso nome, la heka permeava quindi la vita, paragonabile forse alle “moderne” leggi della Natura. Non poteva perciò essere utilizzata per scopi contrari alla Natura stessa (non esisteva una magia nera nell’Antico Egitto) ma si poteva invece “indirizzare” verso percorsi più favorevoli per il malato. Inoltre, proprio per queste caratteristiche la heka non era sovrannaturale come viene considerata oggi.

Statua di Merikare, Faraone della X Dinastia.

Negli “Insegnamenti per Merikare” viene citato che “(il creatore) creò la heka per permettere agli uomini di combattere (letteralmente: essere armi contro) gli eventi”

Ricordiamoci inoltre che la connotazione negativa della parola “magia” (in copto: hik, direttamente derivato da “heka”) avvenne in contrapposizione alla religione (la cui definizione non esisteva nel linguaggio egizio) soltanto con l’avvento del cristianesimo, mentre nell’Antico Egitto era perfettamente naturale farvi ricorso. Inoltre, se vogliamo la “heka” era un primo tentativo di formulare principii attraverso i quali le forze della Natura possono essere comprese e manipolate.

Sarcofago di Paduamen, XXI Dinastia. Heka in forma d divinità dietro il trono di Osiride con due serpenti e due bastoni/serpenti nelle mani

Sarebbe sbagliato liquidare la magia come processo irrilevante per la guarigione. La suggestione e l’aspettativa del paziente hanno un valore curativo tangibile, soprattutto nel sollievo dal dolore – quello che ora chiamiamo “effetto placebo”.

La suggestione della magia, degli incantesimi, dei miti e delle divinità indubbiamente aumentava l’efficacia del placebo, ma forse per alcuni aspetti non si trattava solo di questo. Ad esempio, la quantica di alcaloidi presenti in certe piante varia a seconda del momento in cui vengono raccolte, per cui un “incantesimo” che prescrivesse di raccoglierle solo al mattino o alla sera aveva un valore empirico.

In particolare, la heka aveva un ruolo nel tentare di allontanare il “whdw”, ossia il dolore come incarnazione fisica della causa della malattia.

Il bizzarro contenuto della “scatola del mago” rinvenuta nella “Tomba del Ramesseum” o “Tomba 5”, risalente al medio Regno, nel disegno di James Quibell con diverse bacchette apotropaiche in zanna di ippopotamo, con decorazioni incise che intendevano pervadere la bacchetta con il potere della “heka”

Due di queste bacchette nel dettaglio (Museo di Manchester). Sulle bacchette apotropaiche si veda anche il post di Luisa Bovitutti qui: https://laciviltaegizia.org/2021/09/06/le-bacchette-apotropaiche/

Era legata alla magia anche la pratica di utilizzare una determinata pianta in funzione della sua somiglianza con l’organo da curare, oppure delle preparazioni di origine animale per le caratteristiche dell’animale stesso, come le gazzelle per l’agilità. Abbiamo anche accennato alla pratica di scrivere incantesimi su un supporto come il papiro (e successivamente la carta) da aggiungere sminuzzato al preparato medicamentoso, che è sopravvissuta fino ai nostri giorni

Alcune “figure” erano deputate all’utilizzo della magia nel processo di guarigione. I cosiddetti “sacerdoti-lettori” (khery-hebet) erano preposti alla lettura degli incantesimi, mentre i “guaritori” (sau) utilizzavano gli amuleti (“sa”).

La famosissima statua di Ka’aper (V Dinastia), spesso riproposta anche su questo Gruppo. Ka’aper fu un sacerdote-lettore (khery-hebet), addetto agli incantesimi. Probabilmente ne applicò uno anche alla statua che lo raffigura, per renderla così viva

Solo nel Medio Regno compaiono gli “hekay”, correlato come si evince dal nome alla “heka” ma il cui ruolo nella medicina rimane oscuro. Il loro ruolo si perse completamente nel Nuovo Regno.

I sacerdoti della dea Serqet (o Selqet), il cui simbolo era uno scorpione, erano invece responsabili della prevenzione e della cura degli attacchi da parte di serpenti e scorpioni. I testi medici pervenutici, in particolare il Papiro Brooklyn, contengono istruzioni molto pragmatiche sul trattamento di questi morsi e punture, ma sempre e comunque sotto gli auspici della dea (“Raccolta di rimedi per scacciare il veleno di tutti i serpenti, tutti gli scorpioni, tutte le tarantole nelle mani dei sacerdoti di Serqet e per scacciare tutti i serpenti e per sigillare le loro bocche”).

La rappresentazione più famosa al mondo della dea Selqet (o Serqet), meravigliosamente a guardia dei vasi canopi di Tutankhamon
Teologia

HEKA

Di Andrea Petta

Heka (a destra) segue Khnum che sta offrendo la vita al Faraone (Tempio di Esna)

Heka è la divinità che incarna il concetto di potere magico ed energia. Nei Testi dei Sarcofagi Heka è descritto come generato all’inizio del tempo dal dio creatore Atum allo scopo di fornire una forza soprannaturale che pervada l’universo consentendo alle divinità e all’umanità di agire.

Questa forza viene indicata come il nome della divinità, “heka” e si può identificare con il concetto moderno di “magia”, ma non si limitava a rituali attivi; era un potere che permeava la vita.

Heka (divinità): la parola ḥeka, quando scritta in geroglifici, è composta dal geroglifico monoconsonantico, ḥ (una corda attorcigliata, Gardiner V28) e dal geroglifico biconsonantico k ꜣ (ka, Gardiner D28), due braccia parallele rivolte verso l’alto, segno usato anche per esprimere l’antico concetto egizio della forza vitale chiamata appunto “ka”

“Heka” come “magia” si scrive con gli stessi simboli della divinità, ma il determinativo “divinità” è sostituito dal rotolo di papiro (“parola”, “concetto”) e comprende i tre trattini della pluralità.

Heka (concetto) con il simbolo del rotolo di papiro (Gardiner Y1) ed i tre trattini, simbolo di pluralità

Ogni cosa è quindi fatta, o permeata, di “heka”. Jan Assman la definisce

potere coercitivo onnipervadente, paragonabile alle leggi della natura nella sua coercizione e in tutta la sua pervasività, mediante il quale in principio fu fatto il mondo, mediante il quale è quotidianamente mantenuto e mediante il quale l’umanità è governata”.

Da notare che per la ciclicità del tempo egizio, Heka non “ha dato vita agli dei” ma Heka “dà vita agli dei” (Incantesimo 641 del Libro dei Sarcofagi); il suo ruolo non è quindi legato ad un momento singolo ma si ripete quotidianamente.

Per questa duplice accezione (concetto/divinità) Heka è spesso messo in relazione a Ma’at (“ordine”).

Heka con i due bastoni a forma di serpente. Il suo emblema (phty) significa “Forza” o “Potere”)

Heka non è il solo fattore presente nella creazione. Il potere creatore nella mitologia egizia si personifica infatti in diverse divinità.

**Sia **è il potere della percezione, che consente al Creatore di visualizzare tutte le forme

**Hu **è il potere dell’autorità della parola, che consente al Creatore di dare vita alle forme nominandole (nella cosmogonia di Neith, anche la dea crea il mondo con sette parole magiche)

Nel Testi dei Sarcofagi (Incantesimo 335) entrambe queste divinità sono al fianco del padre Atum ogni giorno.

Sia è alla destra di Ra, personifica la saggezza e porta in mano il Libro di Ra. A volte viene indicato come vivente “dentro” l’occhio di Ra permettendo al dio solare di vedere e capire tutto. Nei testi del Nuovo Regno, Sia è colui che pronuncia le formule per aprire le Dodici Porte.

Hu è invece chiamato “colui che parla nell’oscurità” intendendo il buio primordiale prima della creazione della luce.

Nel Nuovo Regno, dove Ptah viene venerato come mente creatrice, Sia e Hu diventano rispettivamente il cuore e la lingua di Ptah, essendo ritenuto il cuore la sede del pensiero umano. Così “attraverso quello che il cuore pensa e la lingua comanda, tutto fu creato

Heka (all’estrema sinistra) dietro a Osiride e Ma’at. Papiro funerario della sacerdotessa Nesitanebetisheru, 950 BCE circa

Heka è quindi il potere attraverso il quale i pensieri ed i comandi del Creatore diventano realtà (“l’espressione della creatività divina attraverso il pensiero e la parola”). In parte era possibile utilizzare questo potere (o cercare di farlo) nella vita quotidiana. Il medico, ad esempio, rivestiva il ruolo di Thot che invoca protezione “heka” nei confronti del paziente, quest’ultimo nel ruolo di una divinità sofferente come Horus ferito da Seth. In una stele della V Dinastia i medici sono definiti sia come *swnw *(dottori) che come hm-ntr-hk (“profeti di Heka”). Ma la “heka” era anche distruttiva: nel Papiro Ebers si fa menzione della necessità di far uscire la “heka” dal corpo del malato per permettergli di guarire.

Heka è una delle divinità più antiche; il suo nome è già presente nel tempio funerario di Sahure (V Dinastia) ma sarà venerato fino all’epoca tolemaica e copta.

Sarcofago di Paduamen, XXI Dinastia. Heka dietro il trono di Osiride con due serpenti e due bastoni/serpenti nelle mani

A volte è rappresentato dietro il trono di Osiride nei papiri funerari, con in mano uno o più serpenti – di solito due (uno dei miti antichi narra che Heka sia stato attaccato e morso da due serpenti nel deserto, ma con il suo potere ne sia guarito) oppure scettri/bastoni a testa di serpente. Si è ipotizzato una derivazione del bastone di Esculapio da questa simbologia, ma è un argomento molto controverso. I bastoni a forma di serpente sono invece caratteristici della dea Weret-Hekau “Padrona della Magia”, di solito raffigurata come un cobra anche nelle insegne reali.

Bastone magico a forma di cobra, XVII Dinastia

Il suo nome potrebbe derivare da “Padrone dei Ka” intendendo la forza vitale di ciascun uomo dalla nascita.

Nei Testi dei Sarcofagi (Incantesimo 261) Heka si dichiara al fianco di Atum dall’inizio del tempo “prima della dualità”. Nell’Incantesimo 648 la “heka” è presentata nuovamente come un aiuto fornito dagli dei; è quindi da ritenersi una forza difensiva. Negli stessi Testi è presente un riferimento ad una “heka malvagia” (traduzione credo impropria) che non è però sovrapponibile alla “magia nera”; si tratta della heka posseduta dai demoni dell’oltretomba e non ha nessuna connotazione malvagia. Infatti heka non è il potere malevolo dello stregone che può essere usato a sé stante. È invece una forza che ha creato e spinto l’universo, ma può nella visione egizia anche essere manipolata dalle azioni, dalle parole, dagli oggetti e dalle immagini per ottenere un risultato desiderato. In questa chiave alla “heka” si ispirano alcune sette esoteriche moderne.

In questa stele del V secolo BCE propostaci da Nico Pollone non molto tempo fa, Heka è visibile a sinistra, vicino alla testa di Horus, con i due serpenti a formare una X

Nei Testi delle Piramidi Heka è una forza minacciosa, simile a Sekhmet, in grado di divorare dei e uomini e nutrirsi della loro energia vitale (incantesimi 472 e 539, “Castigatore degli dei”).

Il Libro dei Morti contiene incantesimi seguendo i quali il defunto possiederà i poteri magici universali di Heka per contrastare i pericoli dell’oltretomba. Un incantesimo è specificatamente rivolto contro i coccodrilli.

Nel Libro delle Porte Heka è raffigurato in forma antropomorfa in piedi sulla Barca Solare durante il viaggio notturno attraverso gli Inferi e sventa i tentativi del serpente Apophis di fermare la barca nel Libro dell’Amduat (Settima Ora)

Sarcofago di Nectanebo XI 345 BCE. Heka sulla Barca Solare

Nei miti sviluppatisi più recentemente, Heka, insieme a Ra, Thoth e Sekhmet, protegge Osiride accecando i coccodrilli.

Nel Mammisi del tempio di Philae, Heka è la divinità che proclama l’ascesa al trono del figlio di Iside, simbolicamente il Faraone stesso raffigurato come un bambino, tenendolo in braccio

Heka come divinità non ebbe mai alcun tempio (anche in questo paragonabile a Ma’at), anche se esisteva una figura sacerdotale detta “Profeta di Heka” che, come abbiamo visto, era inizialmente rivestita dai medici.

FONTI:

  • George Hart, The Routledge Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses (2005)
  • Geraldine Pinch, Egyptian Mythology: A Guide to the Gods, Goddesses, and Traditions of Ancient Egypt (2004)
  • Geraldine Pinch, Magic in Ancient Egypt
  • Katharina Zinn, Magic Pharaonic Egypt
  • Taylor, J., Death and the afterlife in Ancient Egypt. (2001)
  • Paula Alexandra Da Silva Veiga, Health and Medicine in Ancient Egypt; Magic and Science (2009)
  • Robert Ritner, The Mechanics of Ancient Egyptian Magical Practice (1997)
  • Jan Assman, Magic and Theology in Ancient Egypt
E' un male contro cui lotterò

LA PROFESSIONE MEDICA

Di Andrea Petta e Franca Napoli

Mi sono formato nella scuola di medicina di Heliopolis dove (…) mi sono state insegnate (…) le medicine. Mi sono formato nella scuola ginecologica di Sais, dove mani divine mi hanno dato le loro ricette. Ho tutti gli incantesimi preparati personalmente da Osiride. La mia guida è sempre stato il dio Thot, inventore di parole e autore di ricette infallibili, l’unico che sa dare reputazione ai maghi e ai medici che seguono le sue indicazioni. Gli incantesimi sono ottime medicine e le medicine sono buoni incantesimi” (testo risalente al regno di Ramses II).

SCIENZA E MAGIA

(Alla magia – “heka” – dedicheremo un articolo specifico per capirne meglio gli effetti “medici”)

Come in tutte le antiche civiltà, in cui molti aspetti della vita quotidiana non potevano essere compresi con quella che oggi chiamiamo “scienza”, le pratiche empiriche e razionali della medicina venivano affiancate da quelle magiche e religiose.

Il medico poteva debellare con la magia un demone maligno, poteva offrire i suoi preparati o la sua abilità chirurgica e poteva placare l’ira divina con i corretti rituali; le tre azioni si intersecavano inevitabilmente (“gli incantesimi hanno un grande potere sul rimedio”, Papiro Ebers).

In pratica, è un preludio a quello che i Greci divideranno in corpo fisico, mente (o psiche) e spirito (o pneuma). Per questo motivo degli incantesimi venivano pronunciati preparando il medicinale oppure quando veniva applicato. La pratica di scrivere incantesimi su un supporto come il papiro (e successivamente la carta) da aggiungere sminuzzato al preparato medicamentoso è sopravvissuta fino ai nostri giorni.

La magia era anche preventiva, per allontanare eventuali pericoli dalla vita di tutti i giorni.

Nella medicina egizia manca completamente un rapporto eziologico di causa-effetto: la malattia (“mr”) non era dovuta ad un malfunzionamento di qualche organo, ma piuttosto da uno spirito maligno o da un demone invisibile entrato nel corpo del malato. Il concetto di malattia coincide quindi con il concetto di sintomo, dovuto a non a malfunzionamento organico ma a presenze esterne.

Questa è la più grande limitazione della medicina egizia, e non è di poco conto.

La guarigione non era possibile finché tale presenza non fosse stata allontanata dal malato. Molti studiosi hanno cercato di costruire un parallelismo con virus e batteri della medicina moderna; è un concetto affascinante, ma non esiste nella medicina egizia una tale idea ed è chiaramente una forzatura dovuta alla nostra moderna mentalità.

Abbiamo esempi nelle cosiddette “lettere ai defunti” (su cui sarebbe interessante fare un approfondimento adeguato), in cui si invoca la protezione da parte del defunto, indicando che spesso la causa delle malattie era vista come la mancanza di tutela che avesse permesso ad una presenza maligna di affliggere il malato.

Una “Lettera al defunto” dalla tomba di Shepsi (Qau 7695). Le lettere erano depositate all’interno delle tombe e associate alle offerte funerarie, in modo da propiziarsi lo spirito del defunto, come una sorta di captatio benevolentiae. I supporti impiegati erano diversi: le lettere più lunghe erano scritte su papiro; la maggior parte venne scritta all’interno di recipienti in terracotta impiegati come contenitori per le offerte alimentari, cosicché lo spirito del defunto che si fosse avvicinato per nutrirsi, avrebbe inevitabilmente notato la lettera sul fondo del contenitore (da Edward F. Wente. Letters from Ancient Egypt .Atlanta, 1990).
Un’altra “Lettera al defunto” dalla tomba di Nefersefkhi a Hu (Diospolis Parva). Le Lettere ai Defunti costituiscono, oltre alle forme più intime di scrittura di tutto l’Antico Egitto, il primo esempio di scrittura da parte delle donne pervenuto fino a noi (in questo caso una sorella scrive al fratello morto). (da Edward F. Wente. Letters from Ancient Egypt .Atlanta, 1990)

Ma la parte “scientifica” era sicuramente preponderante ed innovativa. Secondo un autore cristiano del secondo secolo, Clemente di Alessandria, già dagli albori del Periodo Dinastico i sacerdoti egizi avrebbero raccolto la loro sapienza in 42 libri di cui ben sei dedicati alla medicina, compreso un volume di anatomia redatto direttamente da Athothis (identificato con Djer, il terzo Faraone della I Dinastia) menzionato da Manetone e che secondo l’autore greco sarebbe stato un medico.

Purtroppo nessuno di questi volumi è arrivato fino a noi, se mai sono realmente esistiti, ma sappiamo che già dall’Antico regno la professione medica era già organizzata, con specializzazioni e gerarchie definite.

Tito Flavio Clemente o Clemente d’Alessandria, uno dei “padri” del Didaskaleyon di Alessandria

DEFINIZIONI E GERARCHIE

Abbiamo già visto che il medico veniva chiamato sinw o swnw, ed il titolo veniva scritto con i geroglifici per “uomo”, “borsa della medicina” e “freccia”; quest’ultima indicherebbe l’abilità di estrarle in battaglia. A volte il determinativo usato era quello per “uomo anziano”, sia per indicare un medico venerabile che per indicare il rispetto di cui godevano i medici.

Ma, attenzione, poteva non essere l’unico “guaritore”. Una delle fonti più importanti, il Papiro Ebers (che vedremo nel dettaglio più avanti in questo percorso), cita chiaramente i “medici” (“sinw”), i “sacerdoti di Sekhmet” (“wab”) ed i “maghi” (“sau”) come coloro che possono guarire l’infermo. La presenza dei sacerdoti potrebbe non essere legata solo alle preghiere: i chirurghi erano Sacerdoti di Sekhmet, ed anche i monaci cristiani praticarono la chirurgia fino al XII secolo quando fu loro proibito per la cosiddetta astinenza dal sangue (alla base anche del moderno rifiuto delle trasfusioni da parte dei Testimoni di Geova).

Ci sono pervenute diverse cariche ricoperte dai medici più eminenti: esistevano quindi dei “imy-r sinw” (sovrintendenti dei medici, soprattutto nei grandi cantieri statali), dei “wr sinw” (capi dei medici, sorte di primari odierni secondo Faulkner), dei “smsw sinw“ (medici anziani, probabilmente un titolo onorifico) ed infine dei “shd sinw”(ispettori dei medici, inviati dal Faraone), un titolo in uso nel solo Antico Regno. Una simile struttura gerarchica era presente anche a corte, dove compaiono i “sinw per aa” o Medici di Corte (ricordiamoci che “per aa” era la Grande Casa, cioè il Palazzo di Corte e per estensione, il Faraone stesso) ed i “sinw nesu” o Medici del Faraone

Al di sopra di tutte queste cariche c’erano i Supervisori dei Medici dell’Alto e Basso Egitto, che rispondevano presumibilmente ai Visir.

Il cartiglio del Faraone Djer: fu lui il mitico Athotis, il primo autore medico della storia?

Una categoria a parte era rappresentata dai chirurghi, chiamati come abbiamo visto “Sacerdoti di Sekhmet” visto il loro rapporto stretto con il sangue. Con ogni probabilità anche i dentisti erano una categoria separata dai medici generici (esisteva il titolo di “Capo dei dentisti” o “Capo dei dentisti di Palazzo”).

Da quello che si evince dai testi i semplici “maghi” (“sau”) – oggi li chiameremmo “guaritori” – facevano uso solamente di formule magiche ed esorcismi. Forse anche i moderni omeopati ricadono in questa categoria…

DIAGNOSI E PROGNOSI

Se l’eziologia delle patologie è un punto dolente della medicina egizia, l’approccio al malato da parte dei medici egizi è invece straordinariamente moderno.

L’intervento del medico avveniva in quattro fasi distinte, ben descritte in tutti i testi pervenuti fino a noi:

L’ascolto dei sintomi del paziente (oggi sarebbe l’anamnesi)

L’esame oggettivo utilizzando prevalentemente gli occhi e le mani

– La formulazione della diagnosi che doveva sempre essere detta al paziente (“Tu quindi dirai al/la tuo/a paziente questo:….”)

– Il trattamento

La diagnosi doveva comprendere anche la prognosi

– “È un male che posso curare” in caso di prognosi favorevole

– “È un male contro cui lotterò” in caso di esito incerto

– “È un male che non posso trattare” in caso di prognosi infausta o di intervento medico ritenuto comunque inutile

“È un male contro cui lotterò” (“mr ’h’ y”). Può avere l’estensione “con il bisturi” quando era necessario un intervento. Da “Breasted, James Henry. “The Edwin Smith Surgical Papyrus: published in facsimile and hieroglyphic transliteration with translation and commentary in two volumes.” (1930).

Detto in termini tecnici, la modalità diagnostica nella medicina egizia è nosografica, cioè consiste nel riconoscere la patologia in atto attraverso il confronto con la propria esperienza e comparando i sintomi osservati con quelli caratteristici di una determinata malattia.

La modalità diagnostica nella medicina moderna è invece fondamentalmente fisiopatologica, cioè consiste nel collegare e ricostruire tra loro i diversi eventi patologici rilevabili nel paziente, secondo rapporti di causa-effetto, per riconoscere la patologia in atto.

Per la nostra mente moderna, non sempre possiamo seguire la logica degli antichi medici. Non possiamo capire perché, ad esempio, una costipazione od un dolore allo stomaco fossero considerati dovuti al fegato, oppure perché molte patologie fossero ipotizzate dipendere dall’intestino – o meglio, possiamo comprendere come quest’ultimo fosse particolarmente importante perché doveva procedere ad espellere con le feci ogni cosa ripugnante all’interno del proprio copro, compresa la malattia.

Un brano del Papiro Ebers che illustra il concetto di malattia come male procurato da altri: “(sono da punire i calunniatori) e colui che è il capo di costoro che infondono il male nella mia carne, l’apatia nelle mie giunture, nelle mie membra, che penetra (nella mia carne)” (da “Lo ieratico nel Papiro Ebers” di Mario Menichetti)

Alcuni passaggi dei papiri medici sono affascinanti per quanto si avvicinino a concetti moderni: “(Il cibo) contaminato dal caldo può far insorgere (il male)” rimane però un’osservazione empirica e non identificò mai nella medicina egizia la vera causa di un’intossicazione alimentare, ad esempio.

Fu solo con l’avvento della medicina scientificamente fondata (EBM, Evidence-Based Medicine) che la prognosi cominciò ad esprimersi in termini temporali, ossia indicando la quantità di tempo intercorrente tra la diagnosi della malattia e qualche evento importante che ne sarebbe conseguito.

Il trattamento si basava SEMPRE su basi empiriche. Ignorando i rapporti causa-effetto delle patologie, i rimedi si basavano sull’osservazione dei benefici ripetuti nei pazienti con gli stessi sintomi. Non per nulla, si trova molto spesso nei papiri medici la formula “veramente eccellente – un milione di volte” ad indicare che quel rimedio era stato efficace innumerevoli volte.

Infine, il medico DOVEVA esaminare nuovamente il suo paziente dopo un intervento/rimedio perché le condizioni del paziente stesso potevano essere cambiate – oggi lo chiameremmo “follow-up”.

Questo approccio formale, strutturato e logico costituisce la base della medicina moderna – oggi si parla di diagnosi differenziale – ed è (o meglio, dovrebbe essere…) riconoscibile nella pratica di ogni medico. È passato attraverso la scuola di Ippocrate in Grecia, quella di Galeno a Roma ed è arrivato fino a noi. Quello che fortunatamente è cambiato è la comprensione delle cause delle malattie, che continua a crescere ancora oggi.

Una moderna diagnosi differenziale, in questo caso per il dolore toracico acuto, segue ancora il concetto di anamnesi / esame oggettivo / diagnosi, ovviamente arricchito dalla conoscenza delle cause di malattia e dai moderni sistemi di indagine. (da CARDIOtool, Medifarma Web))

L’ISTRUZIONE E LE CASE DELLA VITA

Da numerose iscrizioni sappiamo che gli insegnamenti “professionali” venivano spesso trasmessi dai genitori ai figli. Nonostante questo, ci sono pochissime evidenze dirette di medici figli di medici nell’Antico Egitto (ed anche queste oggetto di accesi dibattiti vista la presenza di nomi comuni e ricorrenti), ed è di per sé molto curioso.

La Stele di Iuny all’Ashmolean Museum, uno dei pochi esempi di medico figlio di medico: nel registro inferiore sono rappresentati il medico Huy e suo figlio, il medico Khay (XIX Dinastia, Ashmolean Museum cat 1883.14)

Huy deve essere stato un ottimo esempio per i suoi figli, perché al Louvre è conservata un’altra stele, sempre di Iuny, in cui viene rappresentato con un altro figlio, Kha-em-waset, anch’egli definito come “medico” (Louvre, stele c89)

Diventa ancora più curioso considerando un riferimento che si trova nel Papiro Ebers, dove viene menzionato che:

“Tu preparerai per lui (il paziente) medicine il cui segreto deve essere mantenuto dal medico tranne che nei confronti della propria figlia”. Perché proprio alla figlia non ci è dato sapere…

Possiamo immaginare comunque che l’esperienza venisse tramandata sia verbalmente sia tramite i papiri medici, che vedremo nel dettaglio. Si presume che i medici più facoltosi avessero le proprie copie di tali papiri, ma sicuramente le copie erano disponibili nelle cosiddette “Case della Vita” (“Per-Ankh”), che erano ubicate nei pressi dei maggiori templi delle città (Bubastis, Edfu, Abydos, Sais, Dendera, Deir el Bahari, Philae per nominarne alcune). Galeno scrisse nel II secolo che i medici greci visitavano ancora la biblioteca medica di Menfi, una diretta testimonianza del ruolo delle “Case della Vita”.

La ricostruzione di Jean Claude Golvin del tempio di Horus a Edfu. Si pensa che gli orti a fianco del tempio costituissero una delle fonti primarie di erbe per i medicamenti utilizzati

A lungo si è discusso se si trattasse di “università mediche”. In realtà si trattava di istituzioni un po’ a cavallo tra gli “scriptorium”, le biblioteche e consessi di sapienti che disquisivano anche di medicina, se vogliamo. Si sa però che a Sais esisteva una vera e propria scuola di ostetricia, molto più vicina alle istituzioni “moderne”.

Ad est del Palazzo Reale di Akhetaton, vicino al Palazzo della Corrispondenza del Faraone (dove furono trovate alcune delle “Lettere di Amarna”), sorgeva anche la “Casa della Vita”, che occupava gli edifici Q42.19 e 20. Lo sappiamo da alcuni mattoni ritrovati che portano impresso il timbro della “Per-Ankh”. A destra: una vista aerea di ciò che rimane della “Casa della Vita” di Akhetaton

Si immagina che i pazienti si recassero alle Per-Ankh per farsi visitare; ovviamente era d’uso che il paziente facesse un’offerta al tempio prima della visita ed anche (eventualmente) come ringraziamento per la guarigione.

Una statuina di Imhotep, il leggendario fondatore della Casa della Vita di Menfi

La Per-Ankh più famosa e rinomata era quella di Menfi, fondata da Imhotep in persona, mentre quella di Sais, come abbiamo visto, era dedicata alle malattie ginecologiche ed alla formazione delle ostetriche

Dai ritrovamenti archeologici si pensa che le principali Per Ankh avessero un orto in cui venivano coltivate le principali erbe medicamentose utilizzate. Si ritiene che i medici preparassero da soli i propri medicamenti, tramandando conoscenze da padre in figlio che esulavano dai testi “standard”. Soltanto a corte esistevano dei “farmacisti” addetti alla preparazione dei medicamenti.

Per quanto riguarda la parte “pratica” e…monetaria, sappiamo che nei villaggi degli artigiani e nell’esercito i medici erano pagati direttamente dallo Stato o dai templi e non esisteva un esercizio privato della professione, ma al di fuori di questo contesto si hanno ricevute di pagamenti per le cure anche abbastanza ingenti – soprattutto nel periodo Ramesside.

A Dendera era presente un ben definito sanatorio, ubicato vicino al mammisi, ma di epoca tolemaica

È possibile che questi pagamenti fossero per le preparazioni più che per la diagnosi in sé; secondo Diodoro Siculo i medici che seguivano la legge e non percepivano compensi per le diagnosi non erano perseguibili in caso di morte o menomazione del paziente, mentre in caso contrario dovevano andare sotto processo con rischio di pesanti sanzioni fino alla pena capitale.