Teologia

SIA, HU, HEKA

Intelligenza, Potere e Magia

Di Francesco Alba

I Testi dei Sarcofagi personificano gli attributi creativi della divinità solare come figure divine: Sia (la percezione, la conoscenza: vedi anche https://laciviltaegizia.org/2022/06/07/heka/), Hu (il discorso, l’enunciazione autorevole) ed Heka (la magia, o energia creativa); combinati, questi tre esseri fungono da catalizzatori che coadiuvano il dio del sole (sia esso Atum o Ra) a creare la realtà e la Ma’at o ordine divino.

Una tradizione tarda afferma che Sia e Hu nacquero dal sangue caduto dal pene ferito di Ra sul tumulo primordiale e per questa ragione possono essere considerati figli del dio. In tal senso i due dei erano considerati compagni costanti della divinità solare. Nei Testi delle Piramidi a Sia, “Colui che sta alla destra di Ra”, è affidata la sapienza e la responsabilità di portare il libro del dio. Di lui si diceva anche che risiedesse “nell’occhio di Ra”, in modo tale che il dio del sole potesse osservare e giudicare tutto ciò che accadeva nella dimensione terrena. Nei Testi dei Sarcofagi, Hu è chiamato “Colui che parla nell’oscurità”; si tratta con ogni probabilità dell’oscurità primordiale che precedeva la creazione della luce.

Un testo del Medio Regno, probabilmente riferendosi al turbolento passaggio dall’Antico Regno al Primo Periodo Intermedio, si chiede come il creatore possa aver permesso alla terra d’Egitto di piombare nel caos, pur avendo sempre con sé Sia, Hu e Ma’at (l’ordine divino, l’armonia).

Nei testi funerari del Nuovo Regno, Sia e Hu sono spesso raffigurati in piedi sulla barca solare di Ra. Sia agisce in qualità di portavoce di Ra nel corso del viaggio notturno del sole: egli impartisce l’ordine di aprire di volta in volta i dodici varchi del mondo sotterraneo.

Iconografia:

Figura A: Ra nella sua forma dalla testa di ariete mentre naviga nel Duat (le ore notturne e del mondo infero), accompagnato sulla sua barca da Sia (sulla sinistra, a prua) e da Heka (sulla destra, dietro Ra).

Raffigurazione dalla tomba di Ramses I (KV16), Valle dei Re. Diciannovesima Dinastia.

Figura B: La Barca Solare durante il suo viaggio notturno. Da destra a sinistra: Iside, Thot, Ra nella sua forma di Khepri (lo scarabeo), Hu (riconoscibile dal caratteristico geroglifico sul suo capo che rappresenta una zanna d’elefante, valore fonetico “hw”) e il defunto che governa l’imbarcazione. Raffigurazione dalla tomba di Anhurkhawi, Periodo Ramesside.

Riferimenti:

  • G.Pinch, Handbook of Egyptian Mythology. ABC-CLIO. 2002
  • Joyce Tyldesley, Myths & Legends of Ancient Egypt. Penguin Books – 2011
  • Paul Dickson, Dictionary of Middle Egyptian in Gardiner Classification Order. December 2006

Scrittura, Teologia

LA DEA DELLA SCRITTURA, SESHAT

A cura del Docente Livio Secco

All’Israel Musem di Gerusalemme fa bella mostra di sé un blocco di pietra che riporta dei geroglifici.
Il pezzo è di recente acquisizione perché è stato ritrovato nel 2019 al largo delle coste di Atlit nel nord di Israele.
Sulla facciata scolpita si riconoscono tre registri con la caratteristica grafia egizia, ma si intuisce anche la raffigurazione di un personaggio.
In basso, si vedono ancora le sue mani: la sinistra regge un supporto mentre la destra, che impugna uno stilo, è certamente impegnata a scrivere un testo.
Facendo attenzione alla cornice che separa il secondo dal terzo registro si intuisce una decorazione che è tipica di una divinità.
Si tratta, infatti, della dea Sheshat, paredra di Thot, entrambi divinità, femminile e maschile, della scrittura.
La pietra non può che essere stata presa da un tempio che la qualità dei geroglifici farebbe risalire alla XVIII dinastia. Il testo è, ovviamente, pesantemente mutilo.



Se focalizziamo la nostra attenzione sul terzo registro possiamo ancora leggere, da destra a sinistra dall’alto in basso, un dono che la dea ci fa:
– il braccio offerente un pane conico è il trilittero “rdi” [redi]
– il tessuto ripiegato è il monolittero “s” [es]
– il nodo è il trilittero “anx” [ank]
– il cestino senza manico è il bilittero “nb” [neb]

TRASLITTERAZIONE
rdi.s anx nb

PRONUNCIA
[redi.es ank neb]

TRADUZIONE
Dà, ella, ogni vita


Sempre sullo stesso registro, più a sinistra, leggiamo una qualifica della dea Seshat:
– il cestino senza manico è il bilittero “nb” [neb]
– la pagnotta è il monolittero “t” [et]
– la mappa della casa è il bilittero “pr” [per]
– la bandierina è il trilittero “nTr” [neʧer]
– i tratti obliqui sono il monolittero “y” [i]
– il papiro arrotolato è il plurilittero “mDAt” [meʤat]

TRASLITTERAZIONE
nbt pr nTry mDAt

PRONUNCIA
[nebet per neʧeri meʤat]

TRADUZIONE
La Signora della Casa Divina del Libro


cioè: Seshat è la protettrice di tutte le biblioteche.
Per noi che amiamo lo studio si tratta di una divinità particolarmente interessante e appassionante.

Un’ultima curiosità. Il blocco di pietra è stato arrotondato da un lato e poi forato.
Per quale motivo?
Ma è ovvio: per essere usato come àncora di un’antica nave.

Oggetti rituali, Teologia

A RITE OF PASSAGE

The Enigmatic Tekenu in Ancient Egyptian Funerary Ritual

By Jacqueline Engel, based on Greg Reeder’s research

Manifestations of the Tekenu

What or who is the Tekenu?

  • a human sacrifice?
  • an echo of a prehistoric corpse in a contracted position?
  • a container for spare body parts?
  • or was the sem-priest the tekenu in an initial manifestation?

It would appear that the key to the tekenu’s identification lies with his relationship to the “Opening of the Mouth” rite.

Earlier scholarship contains less than convincing interpretations of the figure as a human sacrifice or as an echo of a prehistoric corpse in a contracted position.

In his recent Idea into Image collection of essays, Swiss Egyptologist Eric Hornung sees in the tekenu not a real personage but rather merely a container for spare body parts.

He notes that during the mummification process the embalmers saved everything that came out of the corpse or had been in contact with it.

Select internal organs were embalmed and deposited in canopic jars, while other body tissues and matter were gathered up for separate burial.

Hornung writes,

“The body parts taken out of the corpse that were not placed in canopic jars were placed in an unusual-looking receptacle called a tekenu.”

His relationship to the “Opening of the Mouth” rite

Following the tekenu are four men accompanied by a kheri-heb priest, pulling a large shrine on a conventionally rendered sledge.

Behind the merger shrine walk seven men, at least two of whom are to be associated with the same ceremony, an ami-as and a sem or smer priest.

Tomb of Amenhemhat TT82 Green arrow= Tekenu Blue arrow Muu dancers Red = canopic chest (?)- (Osirisnet)

The kheri-heb (lector priest) presided over the “Opening of the Mouth” ceremony and his connection with the shrine depicted is explained in the super inscription, which says that the deceased has come to “see the tekenu being brought and the ointments (merhet] conducted to the top of the mountain” (that is, where the tomb is located).

Therefore, it would seem that the tekenu has some association with the shrine following him in the procession, which contains not the deceased’s canopic jars but ointments or oils.

These are very probably the seven holy oils used to perform the “Opening of the Mouth”.

The mysterious Tekenu is depicted as a curled up form, surrounded by a gray animal’s skin and resting on a sleigh dragged by four men. Other persons are partially obscured by Tekenu, but in fact they are behind him in the procession. The first carries two canes in his left hand folded against his chest.

Transformation in the skin (Meska)

In time an animal sacrifice came to be substituted for a human one and, in memory of the latter, a man or “mannequin” (the tekenu) had to pass through the skin of the sacrificial animal in a symbolic act of rebirth.

Djehutymes (Paroy) – TT 295. Two priests covered in a very tight girdle (shroud, or skin)with red horizontal stripes, except for the head. One is seated, the other stretched out on a kind of low bed, the legs of which bent towards the interior. This is a representation concerning the sem-priest during the Ritual of the Opening of the Mouth in two states, “sleeping” and “awake”.
According to Budge, the sem- priest is first “asleep”, a state during which he sees his “father” (i.e. the deceased) in “all his manifestations”, then he awakens and tells of his visions.
It is suggested lately that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and that the whole of the scene would correspond – in a shaman-like manner – to a sort of trance during a pseudo sleep. This ritual could have a tie with the mysterious Tekenu.

Moret recognized that when the tekenu was in the skin (meska), he was undergoing a transformation.

His emergence from the skin- shroud was likened by the French Egyptologist to an infant’s exit from the womb; and thus, through this action by the tekenu, was the deceased automatically “born again.”

Sir Wallis Budge likewise wrote about the meska that by passing through:

“…the skin of a bull vicariously a man obtained the gift of new birth,either for himself of for the person he represented….’

Moret also be lieved that the tekenu disappeared, finally, from depictions of funeral rites in New Kingdom tombs because his symbolic performance was replaced by a simplified ritual enacted by a sem priest, who, like the tekenu, was associated with the “Opening of the Mouth” ceremony.

Relief representation in the 18th Dynasty Tomb of Renni at El Kab showing the tekenu as a shrouded man (face exposed) sitting upright (?) on a sledge pulled by two men (only one seen here).

Manifestations

Davies studied many of the tomb depictures of tekenus and classified them accordingly:

  • In eleven cases the tekenu is “…muffled from head to foot in a black wrapper….” -In seven cases he is “…shown in a kneeling posture, wrapped in a yellowish cloak, but with the head free. The hair is long, but the figure, including the face, is generally of an indefinite form and colour.
  • In two cases the body is cloaked but the head and hand are free and
  • in one case the body is “…free of all encumbrance, and to all appearance crouching voluntarily on the sled.

It is with this last example that the rarest and most revealing portrayal of the Tekenu emerges.

The tekenu in the Theban tomb of the fanbearer Montuhirkhepeshef from the time of Thutmose III (TT20)

Tomb of Rekhmire TT100
The Tekenu can appear either on a sled on the way to the tomb, or upon a seat which has feet tucked inwards (or a bed seen on its axis), as here (see xx-075, see bs-38608). It has a varied shape from a bag to a human representation curled up, perhaps a foetal position if we accept that it is seen from above. It is covered with a skin that here is white and forms a cocoon from which emerge only the head and hands (see Tassie). The nature of Tekenu is still debated. Increasingly, it is being thought (following Griffith) that it represents a sem-priest who will participate in the Ritual of Opening of the Mouth.


Tomb of Rekmire – TT 100

It is in the Tomb of Rekhmire (TT100) that answers begin to emerge regarding the role of the tekenu.

On the south wall of the tomb’s entry passage, he is shown lying on a couch with only his head and hand exposed.

The Tekenu can appear either on a sled on the way to the tomb, or upon a seat which has feet tucked inwards (or a bed seen on its axis), as here. It has a varied shape from a bag to a human representation curled up, perhaps a foetal position if we accept that it is seen from above. It is covered with a skin that here is white and forms a cocoon from which emerge only the head and hands (see Tassie). The nature of Tekenu is still debated. Increasingly, it is being thought (following Griffith) that it represents a sem-priest who will participate in the Ritual of Opening of the Mouth.

Above him is written “Bringing to (?) the city of (?) the skin (meska) as a tekenu, one who lies under it (the skin?) in the pool of Khepera (perhaps “pool of transformation”?). “

Budget believed that the meska was to be associated with the name of the Other world, so that the “city of the skin” may be understood as a reference to the deceased’s destination in the Afterlife.

Detail

Thus, when the tekenu reaches the “city of the skin” he is in the “pool of transformation” — that is to say, while physically wrapped.

Within the skin-shroud the tekenu is spiritually in a state of transformation, or undergoing a rebirth.

We are fortunate in Rekhmire’s tomb to witness the metamorphosis of Tekenu.
On the image of the ritual of Opening of the mouth we may be witnessing the awakening of the sem- priest wrapped in his shroud after a trance (shamanic type according to some, such as Helck) that took him into the next world. This journey gives him that powers that now make him able to perform the ritual: the Tekenu is turned into a sem-priest…

On the north wall of the entry passage of Rekhmire’s tomb is an elaborate portrayal of the rites of the “Opening of the Mouth.”

Here a statue of the deceased is set upon a mound of sand, with ritual acts being performed before and directed at it- including purifications with water, fumigations with incense, presentation of magical oils and minerals, a symbolic striking of the statue, the ritual “opening” of the statue’s mouth with various instruments, and bloody animal-sacrifices, all of these being done for the benefit of the deceased in the Hereafter.

Of these various ceremonies, the one relevant to this discussion involves a sem priest who is depicted wrapped in a horizontally striped shroud (or skin) which envelopes his entire body, leaving only his head free.

Detail

The sem kneels upon a low couch, exactly like the one the tekenu occupies in an earlier scene in this same tomb. (Allowing for the convention of Egyptian artistic representation, he may, in fact, be lying on this piece of furniture in a contracted position, rather than kneeling in an upright one.) Standing in front of the sem is the ami-as priest, who calls out, “My father, my father, my father, my father,” to which the sem replies, “I have seen my father in all his manifestations.”

This same scene is depicted in other New Kingdom tombs, as well.

For instance, in the royal tomb of King Seti I the sem says to the ami-as priest, “One touched me when I was lying down asleep, one roused me and I awoke.”

Thus, as interpreted by Budge, the sem in his enveloping shroud is first “asleep,” during which state he sees his “father” (the deceased) in all of his many forms (“manifestations”), then he is awakened and reports his vision.

Was the sem priest a “shamanistic magician”?

Sem priest in the tomb of Rekhmire TT100

The sem- priest is the figure wrapped in a cloak and curled up on a seat which has curved legs, or a bed. This scene represents the sem- priest in two functions, “asleep” and “awake”.
According to Budge, it is in the first “sleep” state during which he sees “in all its forms” the type of statue that must be made for “his father” (i.e. of the deceased) in all its forms”. In addition, he also sees invertebrates (insects and spiders). It has been suggested that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and the entire scene would correspond – in an expected shamanic manner to a trance during a ‘false sleep’. This ritual could be linked with the mysterious Tekenu.

More recent scholarship has suggested that the sem priest was particular the earliest Egyptian magician, who

“functioned by shamanistic dream- trance and adopted the leopard-skin dress for animal transformation in the spirit world.”

This was concluded by German Egyptologist Wolfgang Helck, after he had examined certain “archaic features in the “Opening of the Mouth” ritual.

Thus, the so-called “sleep” of the sem was a state of dream-incubation or trance.

After being aroused by the ami-as priest, the sem donned the qeni, an archaic reed-vest meant to protect him during the next rite.

This was the act of “sculptors” or artisans striking a statue of the deceased, simulating thereby the murder of Osiris by Set, and perhaps with some association to the original carving of the statue.

Following this ritual, the sem removed the qeni and draped himself with the skin of a leopard or panther.

Wearing this vestment of his priestly office, he continued the “Opening of the Mouth” ceremonies.

The possibility that the sem priest was a “shamanistic magician” helps explain many of the questions associated with the role of the tekenu. The latter would not, then, have been supplanted by the sem, as Moret believed, for the sem was the tekenu in an initial manifestation.

Imitating the archaic burial by assumming a fetal position, he was veryously enveloped (head/hands uncovered and covered) in a skin shroud, and while so covered he entered, somehow, a deep, cataleptic, trance-like dream-state, his body thus seeming lifeless and formless, and even appearing as Hornung’s “shapeless, sack-like, black mass.

While in this trance-condition, the tekenu-sem located the deceased in the spirit world and recognized him, following which he was awakened from his trance by the voice of the ami-as priest calling out.

Thus, having visited the spirit world, the sem was imbued with powers which enabled him to perform the succeeding

The Theban Tomb 295 of Djehutiymes, Paroy.

Two priests covered in a very tight girdle (shroud, or skin), with red horizontal stripes, except for the head.
One is seated, the other stretched out on a kind of low bed, the legs of which bent towards the interior.
This is a representation concerning the sem-priest during the Ritual of the Opening of the Mouth in two states, “sleeping” and “awake”. According to Budge, the sem- priest is first “asleep”, a state during which he sees his “father” (i.e. the deceased) in “all his manifestations”, then he awakens and tells of his visions.

It is suggested lately that the sem-priest would act as the first Egyptian magician and that the whole of the scene would correspond – in a shaman-like manner – to a sort of trance during a pseudo sleep. This ritual could have a tie with the mysterious Tekenu.

“Opening of the Mouth” ritual for the deceased.

The tekenu was no more because he had been transformed into the sem.

Of course, this is only a possible explanation of the nature and role of the tekenu.

It is based on the rather large assumption that some modern sense can be made of the various and varying depictions of the tekenu, plus the assumption that the ancients themselves understood or agreed upon who or what was being portrayed.

Many questions remain unanswered. Were the representations of the tekenu in various funeralary contexts merely artistic or theological conventions, their meanings being less important than the actual portrayals?

The range of tekenu depictures from fully realized men to nonanthropomorphic sack-like objects may indicate that even the Egyptians were unsure of who/what they were dealing with.

There is a tendency to view ancient Egyptian funerary practices as monolithic in nature, when, in fact, competing theologies, priestly speculation and even simple artistic-preferences all contributed to rich and varied tomb decoration.

In the end, speculations like those presented here may not be much different than the speculations of the ancients.

One man’s bag may very well have been another man’s shaman.

https://www.academia.edu/3286798/A_Rite_of_Passage_The_Enigmatic_Tekenu_in_Ancient_Egyptian_Funerary_Ritual

https://www.osirisnet.net/tombes/nobles/rekhmire100/e_rekhmire100_10.htm

Teologia

HEKA

Di Andrea Petta

Heka (a destra) segue Khnum che sta offrendo la vita al Faraone (Tempio di Esna)

Heka è la divinità che incarna il concetto di potere magico ed energia. Nei Testi dei Sarcofagi Heka è descritto come generato all’inizio del tempo dal dio creatore Atum allo scopo di fornire una forza soprannaturale che pervada l’universo consentendo alle divinità e all’umanità di agire.

Questa forza viene indicata come il nome della divinità, “heka” e si può identificare con il concetto moderno di “magia”, ma non si limitava a rituali attivi; era un potere che permeava la vita.

Heka (divinità): la parola ḥeka, quando scritta in geroglifici, è composta dal geroglifico monoconsonantico, ḥ (una corda attorcigliata, Gardiner V28) e dal geroglifico biconsonantico k ꜣ (ka, Gardiner D28), due braccia parallele rivolte verso l’alto, segno usato anche per esprimere l’antico concetto egizio della forza vitale chiamata appunto “ka”

“Heka” come “magia” si scrive con gli stessi simboli della divinità, ma il determinativo “divinità” è sostituito dal rotolo di papiro (“parola”, “concetto”) e comprende i tre trattini della pluralità.

Heka (concetto) con il simbolo del rotolo di papiro (Gardiner Y1) ed i tre trattini, simbolo di pluralità

Ogni cosa è quindi fatta, o permeata, di “heka”. Jan Assman la definisce

potere coercitivo onnipervadente, paragonabile alle leggi della natura nella sua coercizione e in tutta la sua pervasività, mediante il quale in principio fu fatto il mondo, mediante il quale è quotidianamente mantenuto e mediante il quale l’umanità è governata”.

Da notare che per la ciclicità del tempo egizio, Heka non “ha dato vita agli dei” ma Heka “dà vita agli dei” (Incantesimo 641 del Libro dei Sarcofagi); il suo ruolo non è quindi legato ad un momento singolo ma si ripete quotidianamente.

Per questa duplice accezione (concetto/divinità) Heka è spesso messo in relazione a Ma’at (“ordine”).

Heka con i due bastoni a forma di serpente. Il suo emblema (phty) significa “Forza” o “Potere”)

Heka non è il solo fattore presente nella creazione. Il potere creatore nella mitologia egizia si personifica infatti in diverse divinità.

**Sia **è il potere della percezione, che consente al Creatore di visualizzare tutte le forme

**Hu **è il potere dell’autorità della parola, che consente al Creatore di dare vita alle forme nominandole (nella cosmogonia di Neith, anche la dea crea il mondo con sette parole magiche)

Nel Testi dei Sarcofagi (Incantesimo 335) entrambe queste divinità sono al fianco del padre Atum ogni giorno.

Sia è alla destra di Ra, personifica la saggezza e porta in mano il Libro di Ra. A volte viene indicato come vivente “dentro” l’occhio di Ra permettendo al dio solare di vedere e capire tutto. Nei testi del Nuovo Regno, Sia è colui che pronuncia le formule per aprire le Dodici Porte.

Hu è invece chiamato “colui che parla nell’oscurità” intendendo il buio primordiale prima della creazione della luce.

Nel Nuovo Regno, dove Ptah viene venerato come mente creatrice, Sia e Hu diventano rispettivamente il cuore e la lingua di Ptah, essendo ritenuto il cuore la sede del pensiero umano. Così “attraverso quello che il cuore pensa e la lingua comanda, tutto fu creato

Heka (all’estrema sinistra) dietro a Osiride e Ma’at. Papiro funerario della sacerdotessa Nesitanebetisheru, 950 BCE circa

Heka è quindi il potere attraverso il quale i pensieri ed i comandi del Creatore diventano realtà (“l’espressione della creatività divina attraverso il pensiero e la parola”). In parte era possibile utilizzare questo potere (o cercare di farlo) nella vita quotidiana. Il medico, ad esempio, rivestiva il ruolo di Thot che invoca protezione “heka” nei confronti del paziente, quest’ultimo nel ruolo di una divinità sofferente come Horus ferito da Seth. In una stele della V Dinastia i medici sono definiti sia come *swnw *(dottori) che come hm-ntr-hk (“profeti di Heka”). Ma la “heka” era anche distruttiva: nel Papiro Ebers si fa menzione della necessità di far uscire la “heka” dal corpo del malato per permettergli di guarire.

Heka è una delle divinità più antiche; il suo nome è già presente nel tempio funerario di Sahure (V Dinastia) ma sarà venerato fino all’epoca tolemaica e copta.

Sarcofago di Paduamen, XXI Dinastia. Heka dietro il trono di Osiride con due serpenti e due bastoni/serpenti nelle mani

A volte è rappresentato dietro il trono di Osiride nei papiri funerari, con in mano uno o più serpenti – di solito due (uno dei miti antichi narra che Heka sia stato attaccato e morso da due serpenti nel deserto, ma con il suo potere ne sia guarito) oppure scettri/bastoni a testa di serpente. Si è ipotizzato una derivazione del bastone di Esculapio da questa simbologia, ma è un argomento molto controverso. I bastoni a forma di serpente sono invece caratteristici della dea Weret-Hekau “Padrona della Magia”, di solito raffigurata come un cobra anche nelle insegne reali.

Bastone magico a forma di cobra, XVII Dinastia

Il suo nome potrebbe derivare da “Padrone dei Ka” intendendo la forza vitale di ciascun uomo dalla nascita.

Nei Testi dei Sarcofagi (Incantesimo 261) Heka si dichiara al fianco di Atum dall’inizio del tempo “prima della dualità”. Nell’Incantesimo 648 la “heka” è presentata nuovamente come un aiuto fornito dagli dei; è quindi da ritenersi una forza difensiva. Negli stessi Testi è presente un riferimento ad una “heka malvagia” (traduzione credo impropria) che non è però sovrapponibile alla “magia nera”; si tratta della heka posseduta dai demoni dell’oltretomba e non ha nessuna connotazione malvagia. Infatti heka non è il potere malevolo dello stregone che può essere usato a sé stante. È invece una forza che ha creato e spinto l’universo, ma può nella visione egizia anche essere manipolata dalle azioni, dalle parole, dagli oggetti e dalle immagini per ottenere un risultato desiderato. In questa chiave alla “heka” si ispirano alcune sette esoteriche moderne.

In questa stele del V secolo BCE propostaci da Nico Pollone non molto tempo fa, Heka è visibile a sinistra, vicino alla testa di Horus, con i due serpenti a formare una X

Nei Testi delle Piramidi Heka è una forza minacciosa, simile a Sekhmet, in grado di divorare dei e uomini e nutrirsi della loro energia vitale (incantesimi 472 e 539, “Castigatore degli dei”).

Il Libro dei Morti contiene incantesimi seguendo i quali il defunto possiederà i poteri magici universali di Heka per contrastare i pericoli dell’oltretomba. Un incantesimo è specificatamente rivolto contro i coccodrilli.

Nel Libro delle Porte Heka è raffigurato in forma antropomorfa in piedi sulla Barca Solare durante il viaggio notturno attraverso gli Inferi e sventa i tentativi del serpente Apophis di fermare la barca nel Libro dell’Amduat (Settima Ora)

Sarcofago di Nectanebo XI 345 BCE. Heka sulla Barca Solare

Nei miti sviluppatisi più recentemente, Heka, insieme a Ra, Thoth e Sekhmet, protegge Osiride accecando i coccodrilli.

Nel Mammisi del tempio di Philae, Heka è la divinità che proclama l’ascesa al trono del figlio di Iside, simbolicamente il Faraone stesso raffigurato come un bambino, tenendolo in braccio

Heka come divinità non ebbe mai alcun tempio (anche in questo paragonabile a Ma’at), anche se esisteva una figura sacerdotale detta “Profeta di Heka” che, come abbiamo visto, era inizialmente rivestita dai medici.

FONTI:

  • George Hart, The Routledge Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses (2005)
  • Geraldine Pinch, Egyptian Mythology: A Guide to the Gods, Goddesses, and Traditions of Ancient Egypt (2004)
  • Geraldine Pinch, Magic in Ancient Egypt
  • Katharina Zinn, Magic Pharaonic Egypt
  • Taylor, J., Death and the afterlife in Ancient Egypt. (2001)
  • Paula Alexandra Da Silva Veiga, Health and Medicine in Ancient Egypt; Magic and Science (2009)
  • Robert Ritner, The Mechanics of Ancient Egyptian Magical Practice (1997)
  • Jan Assman, Magic and Theology in Ancient Egypt
Teologia

KHONSU O KHONSHU? CHI ERA COSTUI?

Di Luisa Bovitutti

I ragazzi probabilmente conosceranno molto meglio KHONSHU, che appare nella serie TV Moon Knight, trasmessa su Disney+ dalla fine di marzo e che è il live action movie del famoso ed omonimo fumetto Marvel.

Moon Knight

Khonshu, nella serie dio della luna e della vendetta, resuscita il mercenario Marc Spector che condivide il corpo con il mite Steven Grant che soffre di dissociazione di identità, e lo rende suo servo e vigilante con il nome di Moon Knight, conferendogli il compito di combattere gli dei che gli sono nemici ed in particolare Ammit, il mostro che assisteva al giudizio del defunto davanti ad Osiride e che realizzava la giustizia divina divorandone il cuore e precludendogli l’Aldilà se fosse stato indegno.

Khonshu combatte contro Ammit

Il dio appare al vigilante in visioni e sogni, assumendo le sembianze di un uomo che ha al posto della testa un gigantesco teschio di rapace; egli è caratterizzato da una grande sete di sangue e vendetta, e talvolta ne abita il corpo per garantirgli una forza sovrumana.

La dea Tueris

Poco o nulla a che vedere, quindi, con l’egizio Khonsu, il quale solo durante l’epoca arcaica sembra essere stato considerato un dio terrificante, che trucidava i nemici del faraone per poi estrarne le viscere; dal Nuovo Regno, infatti, egli fu adorato principalmente come dio della luna e del tempo, figlio gentile, compassionevole e protettivo di Amon e Mut, insieme ai quali componeva la cosiddetta “Triade tebana”.

Khonsu era rappresentato mummiforme, talvolta con la testa di falco, ma di solito con la testa di un giovane con la treccia dell’infanzia e la barba ricurva; egli teneva in mano uno scettro ed un flagello ed indossava un copricapo costituito da una falce di luna orizzontale sormontata da una luna piena ed un ampio collare con un pettorale a forma di mezzaluna.

Rilievo parietale raffiguranti Khonsu, nel tempio a lui dedicato a Karnak

Il centro del suo culto era a Tebe e varie aree del tempio di Karnak gli erano dedicate; in epoca tolemaica ivi sorse un tempio a lui dedicato; a Kom Ombo era considerato figlio di Sobek e di Hathor, ad Edfu figlio di Osiride.

Egli faceva crescere le piante e maturare i frutti, favoriva il concepimento degli umani e degli animali ed una cosmogonia raffigurata nel tempio di Karnak gli attribuisce un ruolo importante nella creazione dell’universo; era anche il dio della guarigione, perché era in grado di dominare le forze malvage che attaccavano l’uomo sotto forma di dolori, e malattie, producendo decadimento, follia e morte.

Statuetta raffigurante Khonsu, di epoca tarda, al Louvre

Il suo animale sacro era il babbuino, tradizionalmente associato alla luna e a Thot.

«Divinità e Supereroi»: il percorso guidato sulle orme di «Moon Knight».

L’uscita su Disney+ di “Moon Knight” ha risvegliato nei giovani spettatori l’interesse nei confronti della mitologia dell’Antico Egitto.

Al fine di promuovere la serie la Disney ha realizzato una collaborazione con il Museo Egizio di Torino, che dal mese di aprile ha introdotto un percorso guidato di circa un’ora, intitolato «Divinità e Supereroi», che si snoda nelle sale più importanti alla scoperta dei miti e delle divinità che hanno ispirato i personaggi della serie.

Al link sotto indicato potrete leggere informazioni più approfondite sulla visita e prenotarla.

https://museoegizio.it/esplora/visite/divinita-e-super-eroi/

FONTI:

Teologia

LA DEA ANOUKET

Di Francesca Benelli

Dea della prima cataratta: da Elefantina al Louvre Questa graziosa testina di terracotta blu, sebbene assomigli fortemente a una rappresentazione di Hathor, è in realtà nell’immagine della Dea Anouket (Anoukis).

Anouket è: “una delle divinità della regione Elefantina, dell’Isola di Sehel in particolare”, ci dice Isabelle Franco. Quanto a Jean-Pierre Corteggiani, ricorda che uno dei suoi titoli è: “Padrona della Nubia”; a volte viene chiamata la Nubiana, anche se nulla prova che sia veramente originaria di questa regione, una delle sue funzioni è quella di sorvegliare il confine meridionale dell’Egitto “.

Dal tempio di Satet, Elefantina. La Dea con la sua barca processionale. Legno di persea dorato .XIX dinastia. Museo del Louvre Paris.

Ma il suo ruolo più importante resta quello legato alle piene del Nilo, o forse più precisamente al ritiro delle acque che devono seguirlo: “spetta a lei ridurre la portata e consentire così, dopo il ritiro delle piene, i semi a germogliare e la vegetazione a crescere sui terreni liberati dall’acqua “. Un ruolo capitale dunque, da cui dipende il cibo e la sussistenza di un intero popolo, ciò forse spiega perché il suo culto si sia diffuso più a nord: troviamo, infatti, in particolare rappresentazioni della dea a Deir el-Medineh ma è anche possibile che sia stato introdotto lì “dagli operai che lavoravano nelle cave di granito di Assuan”.

Associato a Khnum e Satis, Anouket è la terza divinità della triade della Prima Cataratta. Viene generalmente presentata come “la figlia della coppia divina” o, talvolta, “la moglie del dio”.

Sull’isola Elefantina fu eretto un tempio per adorare la triade divina. Poi, il sito fu dimenticato, sepolto sotto il sebbakh. Fu riscoperto e studiato alla fine del 1906 dall’IFAO. Fu Charles Simon Clermont-Ganneau, orientalista, diplomatico e professore al Collège de France che intraprese i primi scavi lì. “Jean Clédat, uno dei suoi ex studenti si è unito a lui e grazie alla generosità del barone Edmond de Rothschild gli sono arrivati ​​nuovi sussidi”. La missione svoltasi l’anno successivo diede luogo ad un bellissimo ritrovamento: “Presso le fondamenta di un tempio adiacente alla necropoli, un ‘nascondiglio’ conteneva oggetti di ogni genere e di varie epoche, attestanti l’età del santuario: frammenti di stele e statue, oggetti di terracotta e legno sono stati offerti per la condivisione al Museo del Louvre “.

Testa della dea Anouket – Terracotta blu (smaltata) Scoperto nel “nascondiglio” di Elefantina, durante gli scavi 1907-1908 condotti da Charles Simon Clermont-Ganneau e Jean Clédat (IFAO) Dipartimento di antichità egizie al Museo del Louvre – E 12696 –
foto © Musée du Louvre / C. Decamps

È così che questo affascinante manufatto è entrato nelle collezioni del museo parigino dove è stato registrato con la referenza E 12696. Alta 18 cm, la testa di fritta blu satinata è resa viva, vivace, espressiva, da tutti i dettagli dipinti in un nero profondo, che generano anche un contrasto suggestivo. Anche se il suo stato di conservazione non è ottimo, anzi incompleto, addirittura incollato, ci affascina letteralmente con il suo aspetto! Il viso è mostrato di fronte, è di forma leggermente triangolare ma le guance sono piene. Gli occhi sono grandi, delineati di nero, le sopracciglia inarcate. Il naso è leggermente allungato. La parrucca, opulenta e dritta, è ben realizzata. Gli stoppini sono materializzati da linee nere ed è ornato da nastri orizzontali con motivi circolari. In “A Century of French Excavations in Egypt 1880 1980” possiamo leggere questa descrizione molto interessante: “L’emblema della dea Anouket evoca la forma di un sistro (strumento musicale) con un viso umano triangolare piatto, dotato di orecchie di bovide, incorniciato da una grande parrucca e dal collo ornato dalla collana ousekh, qui frammentaria. Il modius dà origine a cinque alte piume del copricapo della dea, al posto del ‘naos’ secondo la tipologia del sistrum hathoric ” La corona di piume alte è infatti l’attributo, tanto riconoscibile quanto originale, della dea Anouket.

Quanto alle domande sul ruolo di questo manufatto, restano senza risposta fino ad ora: “Forse questo emblema era un oggetto liturgico, o più semplicemente un ex voto, in ogni caso è un oggetto originale per sua natura. Figurazione e tecnica ”

Cose meravigliose, Sarcofagi, Teologia

IL SERAPEUM E I SUOI MISTERI

A cura di Andrea Petta

Si tratta di uno dei luoghi di sepoltura dei Tori Apis, simboli di fertilità, di potenza sessuale e fisica. Il Toro Apis era considerato l’incarnazione fisica di Ptah, quindi poteva esistere solo un toro sacro alla volta; quando il toro Apis moriva i sacerdoti cercavano la sua reincarnazione, identificando l’animale con la sua colorazione sacra: “bianco e nero con il ventre bianco, doveva avere un segno triangolare bianco sulla fronte, un’aquila con ali spiegate sul dorso, una falce di luna su un lato, un segno a forma di scarabeo sotto la lingua e una coda con lunghi peli divisi in due” (Plutarco). Era segno di buon auspicio che il toro portasse avanti la zampa sinistra (il lato del cuore) accettando il cibo dal sacerdote preposto, di norma il Sommo Sacerdote di Ptah a Menfi.

Il Toro Apis, statua attualmente al Louvre

I tori Apis morti venivano sepolti nel Serapeum con sontuosi funerali. In Egitto ne esistevano uno a Saqqara, dove si adorava Apis, e l’altro ad Alessandria, dedicato a Serapis (sincretismo tra Apis ed Osiride) venerato in epoca ellenistica. Il nome Serapeum deriva proprio da Serapis.

Il complesso, situato sotto un tempio edificato da Nectanebo I (come il Viale delle Sfingi che vi conduceva), presenta una serie di gallerie sotterranee.

Nelle cosiddette “gallerie minori” erano presenti diversi sarcofagi in legno, contenenti tori mummificati risalenti al periodo tra la XVIII e la XXVI Dinastia. I vasi canopi hanno sempre sembianze umane. I primi tori hanno sepolture separate, dall’epoca di Ramses II sotto la responsabilità di Khaemvese vengono radunate come il loro rango richiedeva.

La Grande Galleria, la più famosa del Serapeum, è lunga più o meno 350 metri e contiene 24 nicchie, in cui Mariette ha ritrovato 24 sarcofagi, 2 in pietra calcarea (i più “tardi”) e 22 di granito di Assuan (granito rosa, granito grigio, diorite, gabbro e sienite), ciascuno del peso di circa 65 tonnellate, chiuse da coperchi che portano il peso complessivo di ciascun sarcofago ad un centinaio di tonnellate. Ogni sarcofago misura oltre 3 metri di altezza e 4 di lunghezza per 2 di profondità, ed è incastonato in una nicchia scavata nel pavimento; ognuno è apparentemente scavato da un blocco massiccio di granito. Le facce interne di ciascun sarcofago di ciascun sarcofago sono perfettamente lisce ed assolutamente in squadra.

Il sarcofago #3. Come abbiano fatto nell’antichità a spostare il coperchio mi rimane misterioso

La sequenza “ufficiale” dei sarcofagi in granito parte dall’anno 23 del regno di Amasis (XXVI Dinastia, circa 545 BCE) con la stele attualmente al Museo del Louvre (che vedremo in dettaglio a parte).È molto probabile che i sarcofagi di granito siano stati preparati vicino alle cave di Assuan, abbiano preso la direzione di Menfi via fiume e poi portati nelle rispettive nicchie. Su una stele in demotico viene riportato che il trasporto di un sarcofago di granito da Menfi al Serapeum (più o meno 8 km) richiese 19 giorni, di cui 5 giorni di riposo.

Auguste Mariette spiega nella sua relazione di scavi “Le Sérapeum de Memphis”, pubblicata da Gaston Maspero, che i sarcofagi (trasportati su rulli di cui si possono ancora riconoscere le tracce a terra), venivano trainati mediante un argano orizzontale a otto leve. Mariette ha trovato, durante gli scavi, due di questi argani in una delle nicchie. Le nicchie erano riempite di sabbia (sistema sperimentato con l’innalzamento degli obelischi) e la rimozione della sabbia dalla nicchia avveniva gradualmente, abbassando così dolcemente il sarcofago.

IL MISTERO DI KHAEMVESE

Uno delle gallerie conteneva un sarcofago con relativa mummia in forma umana, attribuita a Khaemvese (figlio di Ramses II e responsabile dello sviluppo del Serapeum) ma l’attribuzione è dubbia ed i reperti sono andati persi a parte una maschera funeraria in foglia d’oro conservata al Louvre.

La maschera d’oro di Khaemvese, ben diversa da quelle di Tutankhamon o Psusennes

Secondo Dodson: “nonostante il suo aspetto, la mummia si è rivelata una massa di resina profumata, contenente una quantità di ossa disordinate. Sebbene sia spesso dichiarata la mummia di Khaemweset, sulla base del possesso dei suoi gioielli, la massa di resina contenente frammenti ossei ricorda molto di più l’indubbia sepoltura di Apis delle tombe E e G. La sua formazione anche nel simulacro di una mummia umana trova eco nei coperchi della bara antropoide che coprivano le masse resinose all’interno dei sarcofagi di Apis VII e IX, non vi può essere quindi alcun dubbio che la sepoltura sia effettivamente quella del toro, Apis XIV”.

Sarà vero? Oppure il quarto figlio di Ramses II, Sommo Sacerdote di Ptah ed erede designato al trono, era sepolto proprio qui?

IL MISTERO DEI SARCOFAGI DI PIETRA

22 dei 24 sarcofagi erano perfettamente al centro di ogni nicchia. Solo due si trovavano fuori posto, decentrati; uno fu ritrovato (ed è lì tuttora) nel mezzo di una galleria laterale con il coperchio in un’altra. Perché?

Solo tre di questi imponenti contenitori presentano delle iscrizioni in geroglifici ma molto povere, come appena sbozzate, con linee irregolari e malferme. Perché?

Solo uno era intatto. Una “leggenda metropolitana” racconta che Mariette, come moda all’epoca, lo fece saltare con una carica di dinamite ma non trovando nulla all’interno. La cosa è altamente improbabile, A parte che la dinamite verrà inventata una quindicina d’anni dopo e la nitroglicerina era ancora molto giovane ed instabile, Mariette stesso lamenta la fragilità del terreno calcareo e la quantità di polvere da sparo per far saltare 65 tonnellate di diorite avrebbero messo in pericolo tutto il sito; c’è invece la possibilità dell’uso di polvere da sparo per aprire la strada da una frana verso le gallerie minori.

Tutti i contenitori in granito sono stati trovati vuoti, il che ha creato dubbi e perplessità sul loro reale utilizzo come sarcofagi. Sono molto più lisci, praticamente perfetti, all’interno mentre l’esterno è più grezzo, a volte con cavità o protuberanze. Perché?

Il trasporto ipotizzato da Mariette sulla carta sarebbe plausibile, ma lo spazio a disposizione è veramente ridotto. Se la cosa fosse effettivamente possibile con un centinaio di tonnellate da trainare, onestamente non saprei. Mi è partita un’ernia a solo pensarci. È effettivamente plausibile?

Per dovere di cronaca sono state proposte da alcuni studiosi ipotesi alternative per la fabbricazione e l’installazione dei sarcofagi del Serapeum:

  • Margaret Morris, che sposa la teoria del Dr. Joseph Davidovitz e il suo cemento battezzato “Geopolimero” ricavato da una antica formula egizia rinvenuta nell’isola di Seel (Davidovitz la propone per la costruzione delle piramidi).
  • Christopher Dunn, secondo il quale sarebbe stata impiegata una tecnologia avanzata e macchinari andati in seguito perduti in un cataclisma. (OK, so cosa pensate adesso, ma ho trovato teorie anche più strane)

Comunque sia, rimane un luogo estremamente affascinante

Teologia

NUT, GEB E SHU

Raffigurazione dal Libro dei Morti di Nestanebtasheru, noto come “Papiro Greenfield”. Ventunesima Dinastia, British Museum

A cura di Francesco Alba

Secondo uno dei più consolidati miti egizi, i primordi della creazione furono caratterizzati da una serie di eventi cosmici.

Shu (l’aria asciutta, datrice di vita, la luce del sole) e Tefnut (l’umidità, la rugiada mattutina) si separarono dal loro padre Atum, emerso dalle acque del Nun, formando la prima coppia che si congiunse nella prima unione sessuale fra maschio e femmina. Tefnut diede quindi alla luce un’altra coppia di divinità, un figlio, Geb (la Terra) e una figlia, Nut (il Cielo). Geb e Nut si strinsero l’un l’altra così ardentemente da non lasciare più alcuno spazio fra di loro per qualsiasi futuro essere vivente. Nut, pur avendo concepito dei figli non poteva (o non voleva) darli alla luce. Sembrava che Geb e Nut volessero quasi diventare una cosa sola, invertendo l’evoluzione del cosmo verso la diversità. Perché la creazione procedesse adeguatamente si rendeva dunque necessaria un’altra separazione e, nella sua nuova manifestazione quale datore di vita, Shu si fece carico di separare la coppia divina.

Secondo il capitolo 76 dei Testi dei Sarcofagi, Shu sollevò sua figlia Nut e pose Geb, suo figlio, sotto i suoi piedi. Questa immagine fu dettagliatamente raffigurata per la prima volta sui sarcofagi e sui papiri funerari alla fine del Nuovo Regno. Geb è mostrato in una posa scomposta sul fondo dell’immagine, talvolta ancora in uno stato di eccitazione sessuale. Shu sta in piedi con le braccia sollevate per sostenere il corpo arcuato di Nut, che tocca entrambi gli orizzonti con le mani e i piedi. La posizione delle braccia sollevate allude con evidenza al geroglifico col quale si scrive la parola “ka” (forza vitale o essenza vitale) che sottolinea il ruolo di Shu nel rendere possibile la vita.

Diversi altri esseri, incluse le entità note come divinità Heh, sono talvolta mostrate nell’atto di assistere Shu nel sostenere il cielo sopra la terra .E così furono fissati definitivamente i confini del mondo fisico: lo spazio superiore (Nut), l’atmosfera (Shu) e la terra (Geb), circondati dalle oscure acque primordiali del Nun. La separazione di Nut e Geb permise la nascita dei loro figli. Questi furono gli dei Osiride, Seth e Horo e le dee Iside e Nefti (alcune fonti non considerano Horo).

La tradizione religiosa risalente ai Testi delle Piramidi narra di Seth che uscì con violenza dal seno di sua madre. Seth era una divinità la cui natura lo metteva in relazione al caos; il giorno della sua nascita era considerato il giorno in cui il disordine e la discordia avevano fatto per la prima volta il loro ingresso nel mondo. Osiride, Seth, Iside e Nefti, insieme a Geb e Nut, Shu e Tefnut e Ra-Atum costituirono un gruppo di quattro generazioni di divinità noto come l’Enneade Eliopolitana o Grande Enneade.

Fonte: G. Pinch. Handbook of Egyptian Mythology ABC-CLIO – 2002

Teologia

NUT

A cura di Raffaele Biancolillo

Nut o Nuit è una divinità egizia appartenente alla religione dell’antico Egitto ed era la dea del cielo e della nascita, in contrasto con la maggior parte delle altre mitologie, che solitamente hanno un padre celeste.

«Allora Ra scagliò una maledizione su Nut in modo che non potesse avere figli in qualsiasi giorno dell’anno. Affranta, Nut andò da Thot, il 3 volte grande Dio della conoscenza […] che le voleva bene. […] Thot andò da Khonsu, il Dio della Luna, e lo sfidò a senet. Partita dopo partita, hanno giocato ed ha vinto sempre Thot.» (Testi delle Piramidi).

Nut è figlia di Shu, dio dell’aria, e Tefnut, dea dell’umidità. Era una delle divinità dell’Enneade e con suo fratello Geb, nonché suo marito, la Terra, ebbe cinque figli: Osiride, Horus, Seth, Iside e Nefti; dall’unione di Seth sarebbe nato Anubi, il dio dalla testa nera di sciacallo.

Una diversa tradizione dice che Horus nacque invece dall’unione di Iside e Osiride.