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LA BRECCIA ROSSA

A cura di Stefano Argelli

L’Egitto é un paese estremamente ricco dal punto di vista lapideo e questo antico popolo ha saputo sfruttare al meglio ciò che la natura gli ha offerto.la ricchezza di questa ampia gamma di materiali lapidei si può apprezzare visitando una qualsiasi collezione egizia che ne raccoglie gli esempi più disparati e nella quale l’Egitto si presenta come uno “stato fatto di pietra”.

La Breccia rossa (tipologia sedimentaria)

Nome scientifico: breccia carbonatica.

Descrizione Macroscopica: Breccia costituita da clasti carbonatici spigolosi di colore chiaro di dimensione molto variabile (da mm a cm) immersi in una matrice di colore giallo-rosso mattone per la presenza di argilla e ossidi di ferro. Localmente i clasti sono rivestiti da orli laminati di colore rossastro.

Al microscopio si osservano clasti carbonatici con l’orlo laminato rossastro, immerso in una matrice arenacea a granuli di quarzo.

Questa roccia è stata principalmente usata nel periodo Predinastico per la realizzazione di oggetti di piccole dimensioni come: vasi, teste di mazza, coppe, pettini ornamentali e figure di animali.

Grande ciotola di breccia rossa , I/II dinastia, 2965-2750 a.C. diametro 29 cm. Da casa d’aste Shoteby’s Londra.

Testa d’ascia in breccia rossa: accuratamente e levigata. Ha un calcio stretto, leggermente convesso, e lati strombati che si rivolgono leggermente verso l’esterno verso il bordo tagliente, che è moderatamente convesso. I lati e il calcio sono squadrati. Nella parte posteriore ci sono due perforazioni, corrispondentemente posizionato in una linea parallela al calcio. L’estremità tagliente è danneggiata in diversi punti lungo la sua larghezza, sebbene la scheggiatura sia limitata quasi interamente a una faccia. Questa stessa faccia ha un aspetto stagionato all’estremità del sedere. Sull’altra faccia piccole inclusioni sono state spostate dalla matrice, lasciando buchi sulla superficie. Periodo Naqada II 3300 a.C. Proveniente da Gebelei Alto Egitto.
Dimensioni – Altezza: 11,60 cm. Peso: 1,98 kg Larghezza: 7,40 cm Profondità: 1,30 cm.
– La lama era spezzata in due al centro ed è stata riparata in tempi moderni; dal parere degli esperti del museo è Impossibile dire se la rottura sia antica o moderna.
British Museum Londra

Per quanto riguarda le cave, sono presenti diversi affioramenti situati lungo il Nilo nella regione di Assiut, Sohang, Akhmin, Issaouia e Abydos, ma solamente a Wadi Imu (est di El-Matmar) e Wadi Abu Gelbana (est di Akhmin ) risultavano essere siti di estrazione attivi a partire dal periodo Predinastico.

Inquadramento geologico: questa roccia appartiene alle successioni sedimentarie di tipo carbonatico del Cenozoico. In particolare ai bacini carbonatici dell’Alto Egitto.la formazione della breccia rossa è relativamente recente, riferibile al Miocene Superiore (11-5 milioni di anni) ed è legata all’attività tettonica che ha portato all’apertura del Mar Rosso.

Fonti: cosmicnoise.it e Museo Egizio di Torino, italiawiki.com

Vaso in breccia rossa, periodo predinastico (Nagada II)/1° dinastia, 3500-2900 a.C. circa
di forma ovoidale con piede finemente sagomato, anse tubolari e orlo estroflesso frammentario.

Provenienza: Collezione di Royall Tyler (1884-1953), Parigi poi per discesa all’attuale proprietario Royall Tyler era uno storico dell’arte, collezionista ed esperto finanziario internazionale con sede a Parigi. Negli anni ’20 e ’30 raccolse una collezione di arte egizia, persiana e bizantina, acquisita principalmente da commercianti di Parigi come Dikran Kelekian e Joseph Brummer.
Casa d’aste Shoteby’s Londra

A sinistra: vaso in breccia rossa, periodo predinastico Naqada I, circa 4000-3600 a.C. 4 5/8 pollici (11,7 cm.) di altezza. Casa d’aste Christie’s Londra. Num zero. A destra: Vaso a forma di uccello, tardo predinastico breccia rossa esposto al British Museum di Londra

Vaso in pietra a forma di rana -3300 a.C circa Dimensioni reali: Altezza: 3,60 cm; Larghezza: 4,90 cm; Lunghezza: 5,90 cm.

Vasi in pietra sono noti in tutta la storia egiziana , ma il periodo che ha visto la loro maggiore produzione va dal medio predinastico (circa 3500 a.C.) all’inizio dell’Antico Regno (2686 a.C.), quando erano molto richiesti come corredi funerari. L’ampia varietà di pietre diverse utilizzate in questo periodo non è mai stata superata in nessun periodo successivo della storia egiziana.

Gli egiziani svilupparono presto la capacità di lavorare la pietra dura in forma di vaso. Il basalto era popolare fin dall’inizio (4000 aC). Col passare del tempo, altre pietre sono entrate in uso, alcune trasportate da cave lontane nei deserti, rendendole preziose come status symbol. La maggior parte dei vasi era di forma convenzionale, ma occasionalmente venivano intagliati anche vasi a forma di animale. La colorata breccia rossa era una delle pietre preferite per i vasi realizzati a forma di animali come ippopotami, uccelli , tartarughe e rane. Ciascuno di questi animali aveva un significato specifico per gli antichi egizi.
Poiché un gran numero di giovani rane poteva essere visto sulle rive del fiume mentre l’annuale inondazione del Nilo si ritirava, la rana ha una risonanza particolare come simbolo di fertilità e rinascita. Per questo motivo la dea Heket, che proteggeva le partorienti, era raffigurata come una rana o una donna dalla testa di rana. Sembra forte l’associazione delle rane con la rigenerazione, tanto che alcuni hanno ipotizzato che piccoli vasetti a forma di rana come questo fossero usati per contenere preziosi liquidi o lozioni necessarie soprattutto durante il parto.

Figura della dea Taweret. in breccia rossa: Periodo Tardo, 644-343. Il nome ‘Taweret’ significa colei che è grande” o semplicemente “grandi”. British Museum Londra Altezza: 108,00 cm (max); Larghezza: 28,00 cm (max;base); Lunghezza: 44,50 cm (max;base)

Taweret era dentro predinastica volte uno dea madre nel Mitologia egizia, che può essere trovato su innumerevoli amuleti. Molte testimonianze della sua venerazione risalgono all’Antico Regno dea. Insieme al dio arcaico Bacca era anche una dea protettrice nascita e il primo tempo di suzione. Taweret è stata quindi raffigurata come un ippopotamo femmina incinta, un animale noto per proteggere i suoi piccoli. Potrebbe anche essere raffigurata con le sembianze di un leone o di un coccodrillo.
(possibilmente portandoli sulla schiena) e quindi aveva un funzione apotropica (ha dovuto scacciare gli spiriti maligni oi demoni). Taweret era spesso invocato durante il parto per proteggere la donna e il bambino (alta mortalità durante il parto) ed era quindi raffigurato anche con una grande pancia e un seno molto cascante

Di solito questa dea indossa una parrucca e sopra può essere un acconciatura piumata, possibilmente con corna e disco solare. Di solito la bocca è aperta o con le labbra retratte per rivelare file di denti. Ciò potrebbe indicare la sua funzione dannosa. Attributi principali: il sa (simbolo di protezione), il anch (simbolo della vita) e la torcia (difesa dall’oscurità e dal male). esso sa il simbolo è solitamente il più grande e rappresenta la dea a terra su entrambi i lati, appoggiandosi su di essa con le palme.
A volte si incontrava la dea ippopotamo Isis associati, ad esempio, in parte al Periodo Tardo cippi, sebbene la connessione tra queste due dee non sia sempre chiara. Taweret è diventato più comune con Hathor associata e poi indossa la sua tipica capigliatura (la parrucca da avvoltoio). Nella vignetta che Libro egiziano dei morti il capitolo 186 accompagna il papiro di Anhai, lei sta con Hathor come una mucca. Sembra essere direttamente identificata con questa dea, poiché solo Hathor è menzionato nel divieto.

L’aspetto visivo delle brecce le ha rese un popolare materiale scultoreo e architettonico. La breccia fu utilizzata per le basi delle colonne nel palazzo minoico di Cnosso a Creta intorno al 1800 a.C.

La breccia era usata su scala limitata dagli antichi egizi; uno degli esempi più noti è la statua della dea Tawaret nel British Museum. Era considerata dai romani una pietra particolarmente preziosa e veniva spesso utilizzata in edifici pubblici di alto profilo. Molti tipi di marmo sono brecciati, come la Breccia Oniciata o la Breche Nouvelle. La breccia è più spesso utilizzata come materiale ornamentale o di rivestimento in pareti e colonne. Un esempio particolarmente eclatante può essere visto nel Pantheon di Roma, che presenta due gigantesche colonne di pavonazzetto, una breccia proveniente dalla Frigia (nell’odierna Turchia). Pavonazzetto prende il nome dal suo aspetto estremamente colorato, che ricorda le piume di un pavone

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LA LAVORAZIONE DEL VETRO

A cura di Luisa Bovitutti

LA STORIA

Già nell’era neolitica, attorno al 7000 a.C., l’uomo utilizzava i minerali vetrosi che trovava in natura, come l’ossidiana, per realizzare utensili; in Egitto circa 5.500 anni fa si creavano piccole perle decorative modellate dalle scorie vetrificate che si generano come sottoprodotto dalla fusione di metalli come rame e argento.

Il primo vetro realizzato artificialmente di cui si ha notizia in Egitto risale al Periodo Predinastico, durante il V e il IV millennio a.C. e si otteneva mescolando polvere di silice, calce, soda e malachite e poi fondendo il composto ad alte temperature; esso non era lucido e trasparente come quello moderno ma colorato e poteva essere lavorato con facilità.

La pasta risultante dalla fusione, infatti, veniva usata per creare recipienti cavi rivestendo con essa una forma cilindrica di polvere di silice e argilla o steatite, oppure oggetti pieni colandola in uno stampo; in tal modo si realizzavano collane e amuleti, ushabti, decorazioni e rifiniture di statuine e vasi e a partire dal Nuovo Regno flaconi per unguenti ed oli, tazze, calici, coppe, crateri, vasi tubolari od ovoidali con collo cilindrico e recipienti a forma animale.

Bisognerà attendere il 1’ secolo d. C. perché venissero introdotte le tecniche di soffiatura, nate probabilmente in Siria.

Gli Egizi amavano il vetro colorato di azzurro oppure di “blu egiziano” e spesso apponevano agli oggetti decorazioni di fiorellini rossi, gialli e bianchi.

Grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte durante la XVIII dinastia il vetro egizio raggiunse un elevato grado di trasparenza e lucentezza e le città di Malqata, Tell el-Amarna e Lisht divennero celebri per i loro costosi e raffinati prodotti, frutto di procedure di fusione mantenute segrete; in quell’epoca il vetro egizio veniva anche esportato in lingotti in tutto il Mediterraneo per essere poi rilavorato dagli artigiani locali che lo scaldavano sulla fiamma oppure a freddo, trattandolo come una pietra dura e fragile.

Con l’Eta’ del Ferro (attorno al 1300 a. C.), tuttavia, la produzione di vetro egizio subì una violenta battuta d’arresto, che si protrasse fino alla dinastia tolemaica (305 a.C. – 30 a.C.).

Qui trovate una carrellata di reperti, quasi tutti risalenti alla XVIII – XIX dinastia, molti dei quali rinvenuti a Malqata.

GLI STAMPI PER IL VETRO

Al MFA di Boston sono conservati questi stampi per vetro: sono reperti molto particolari e venivano usati per realizzare decorazioni a forma di uccelli e di palmette ed amuleti (Occhio di Horus e Bes).

GLI INTARSI

Gli intarsi sono figure ottenute accostando sopra una superficie piana tessere variamente sagomate di materia diversa ed utilizzate per decorare oggetti, mobili o strutture architettoniche.

Fin dalla prima dinastia appaiono cofanetti intarsiati con motivi geometrici in avorio, ossidiana, vetro, quarzo o legno; nella quarta dinastia si trovano mobili in legno con geroglifici intarsiati in oro e nei secoli successivi la tecnica raggiunse livelli elevatissimi, come nella maschera di Tutankhamon, realizzata con l’intarsio di vetro blu, ossidiana e quarzo.

L’uso di decorare sarcofagi, arredi domestici e strutture religiose con intarsi in vetro o pietre dure che raffiguravano figure umane iniziò nella XVIII dinastia e si protrasse fino all’epoca tolemaica: nelle immagini parti di intarsio in vetro: il profilo azzurro in alto a sinistra raffigura Akhenaton, quello in basso a destra risale all’epoca tolemaica, quello in basso a sinistra al VII secolo a. C. e l’altro alla XVIII dinastia.

L’EPOCA TARDA

Questo è il livello raggiunto nella lavorazione del vetro in Egitto in epoca tolemaica e romana:

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IL VETRO

A cura di Stefano Argelli

Il vetro è uno dei materiali più antichi conosciuti ed è strettamente legato alla storia e alle tecniche di coltura delle diverse civiltà.

È cosa non da poco, che bisognerebbe tenere in considerazione anche ai giorni nostri; tutela l’ambiente e preserva le nostre risorse naturali.

Sembra ormai appurato che abbiano iniziato la lavorazione del vetro gli antichi mastri della Mesopotamia, nel terzo millennio a.C. ma sono stati gli Egizi verso il 1500 a.C ad iniziare a produrre i primi recipienti cavi (vasi, coppe, ecc.) da utilizzare come flaconi per unguenti e oli.

Questo calice in vetro alto 8 cm con il nome Thutmose III racchiuso nel cartiglio è unico: è il vaso di vetro più antico che può essere datato con certezza e probabilmente l’oggetto più rappresentato nel museo: ogni storia di questo materiale inizia con il calice di Monaco. Nuovo Regno, 18 dinastia, 1450 a.C. Tebe – Ägyptischer Museum Monaco di Baviera.

Rara coppa di vetro policromo traslucido è stata creata in Egitto verso la fine della 18 dinastia, alta 9,3 cm per 124 grammi di peso. Il corpo a forma di campana è stato probabilmente realizzato trascinando vetro acquamarina traslucido su un nucleo montato su un’asta. Quindi, quindici tracce di canna rossa e gialla sono state applicate in bande orizzontali parallele. Mentre erano ancora morbide, queste bande venivano trascinate alternativamente su e giù con uno strumento contundente. Un solido rivestimento giallo opaco sul bordo, più un piede ad anello e due piccoli manici di canna blu e gialla completano la decorazione di questo pezzo squisitamente eseguito. Raro per la sua forma, la sua decorazione e il suo tema insolito.
I primi esemplari in vetro, risalenti al regno di Amenofi II (1428-1397 a.C.) non hanno maniglie. Questi furono aggiunti al tempo di Thutmose IV (1397-1387 a.C.)… la forma più perfetta si raggiunge sotto Amenhotep III (1387-1350 a.C.). Dopo la fine del periodo di Amarna, intorno al 1330 aC, altre forme di recipienti per unguenti divennero di moda… I recipienti di vetro erano beni rari e preziosi. Servivano come contenitori per oli profumati, unguenti e cosmetici”

Ma prima di tutto è anche un prodotto della nostra madre terra. Si trova infatti in natura sotto forma di masse vetrose di minerali quali: Ossidiana, Folgorite, Tectite-Tettite, ognuna col proprio sistema di formazione. Che hanno a che fare comunque con delle altissime temperature di fusione ed il conseguente raffreddamento. Già comunque nel Neolitico (7000a.C) il vetro era utilizzato dall’uomo per le sue proprietà: raschietti, cunei, oggetti taglienti, armi ecc.

In rare occasioni, quando un fulmine colpisce sabbia o terra, la scossa di calore estremo può creare meravigliosi e fragili tubi cavi di vetro. La maggior parte delle volte, infatti, queste opere d’arte creata dalla potenza della natura sono nascoste sotto i nostri piedi. Il risultato di questo fenomeno è chiamato “folgorite”. “Tutto quello che devi fare è andare in qualsiasi spiaggia e iniziare a scavare”, sottolinea Martin Uman dell’Università della Florida, uno dei maggiori esperti di fulmini al mondo. Nonostante siano molto affascinanti, ci sono molte immagini false che circondano queste creazioni.
Presunte immagini di folgoriti continuano a diventare virali online quando non sono altro che costruzioni umane con la sabbia.

La forma di una folgorite non è nient’altro che una ricreazione del percorso che l’elettricità ha attraversato nel terreno. Quando gli scienziati trovano esempi molto antichi, infatti, possono usarli per ricreare gli antichi climi della Terra in passato. Grazie ad una folgorite di 250 milioni di anni fa, trovata nel deserto del Sahara, sappiamo che quest’area, un tempo, era fertile e con frequenti tempeste. Oggi in Florida si verificano circa 10-15 fulmini per chilometro quadrato, uno dei tassi più alti negli Stati Uniti. Questo tipo di attività mette a rischio le linee elettriche sotterranee, quindi alcuni ricercatori, tra cui Uman, stanno esaminando questi fenomeni come un modo per capire come evitare tali danni. Un fulmine colpisce la superficie del nostro pianeta almeno un milione di volte al giorno, ma per creare queste opere d’arte devono essere abbastanza bassi e potenti abbastanza da fondere la sabbia o la terra. Piccola curiosità: la folgorite più grande mai trovata è grande 4.9 metri.

Tectite (scritto a volte Tektite) rientra nella categoria dei “vetri meteoritici”; si tratta di una particolare forma vetrosa naturale generata dalla solidificazione di rocce della crosta terrestre le quali fondono a causa dell’impatto di meteoriti. La sua forma è frequentemente allungata, come una goccia, ed il suo colore è nero intenso.
Vorrei focalizzare l’attenzione su un punto importante: come precedentemente detto, si tratta di roccia terrestre fusa a causa di un fattore esterno: la tectite NON è un meteorite. Puntualizzo ciò perché di frequente su molti siti web si parla erroneamente della tectite come “frammento della crosta lunare” o “frammento di meteorite”.

L’ossidiana è una roccia eruttiva(rapido raffreddamento) vulcanica a pasta vetrosa in genere di colore nero o con tonalità scure: verde, marrone ecc. Usate come detto nel post già nel Neolitico come oggetti taglienti, ma anche nel caso degli Egizi per oggetti come amuleti, collane e per gli occhi delle statue; anche per le pupille della maschera funeraria di Tutankhamon. In Italia sono molto diffuse sull’isola di Lipari e sull’Etna.

Nel 685 a.C. é stata ritrovata nella biblioteca del re assiro Assurbanipal la prima ricetta per la produzione del vetro a noi nota e tramandata alla storia:

Si prendano 60 parti di sabbia, 180 parti di polvere di alghe essiccate e cinque parti di gesso

Facendo un salto nel tempo si arriva verso il 100 a.C. furono i Romani ad inventare la soffiatura del vetro, aumentando notevolmente la gamma di manufatti realizzabili. Compresi i vetri per le finestre. Per non scrivete un post lungo kilometri, concludiamo con Venezia. Alcuni storici sostegno che furono i crociati a portare l’arte vetraria a Venezia dell’Oriente, dove è ormai abbastanza certo si stabili nell’XI secolo. Poiché i forni di lavorazione erano spesso causa di incendi; nel 1291 il “Maggior Consiglio” con un decreto spostò tale lavorazione sull’isola di Murano. Anche più facile da controllare come territorio limitato circondato dalle acque della laguna e per preservare meglio i segreti di lavorazione di questa splendida arte.

Fonti: Vetropack.it, vetromarca.com, Sciencealert, scarabeokheper.it Enciclopedia Treccani.##

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LA FAÏENCE

A cura di Stefano Argelli

La faïence (maiolica) che gli egizi chiamavano “la brillante” “tjehet” é considerato un materiale povero, ma a mio parere non lo é.

Veniva usata anche in sostituzione e per assomigliare a pietre pregiate e più difficili da reperire, tipo il Turchese o il lapislazzuli, proveniente dalle miniere dell’Afghanistan. è un materiale vetroso costituito principalmente di silice (SiO2), ossido di calcio (CaO) e alcali monovalenti; essa è caratterizzata dall’avere un nucleo interno a base di silice macinata o sabbia e un sottile strato esterno di vetro vero e proprio.

La cottura del materiale in un forno produce una superficie simile al vetro con un brillante colore. Il suo uso era noto in Egitto già dal periodo Predinastico (ante 3150 a.C.) con l’aggiunta di coloranti quali il rame o il cobalto

Fonti: it.scienceaq. com, enciclopedia Treccani.

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L’AVORIO

A cura di Stefano Argelli

Sin dalla preistoria l’avorio veniva intagliato e inciso, in Egitto l’arte della lavorazione dell’avorio arrivò a vette di perfezione. Continuando nel periodo Neolitico Badariano nel V millennio a.C. e nel periodo Predinastico 3900-3060 a.C. e per tutta l’era egizia.. passando per l’Europa fra il Medioevo e il Rinascimento, quando l’Italia e la Francia si contesero il primato in quest’arte. In Cina invece, la lavorazione dell’avorio si sviluppo soprattutto durante la dinastia Tang, raggiungendo l’apice nel XVII secolo, il commercio dell’avorio si estese al Giappone, al resto dell’Asia e all’America. Attualmente il maggior centro di lavorazione è Hong Kong, dove confluisce più della metà dell’avorio mondiale.

Esiste anche un avorio artificiale, realizzato con materiali plastici, soprattutto celluloide, che si ottiene dal nitrato di cellulosa e canfora ed anche un tipo vegetale conosciuto anche come corozo o tagua, è un materiale ricavato dai semi di una palma, la Phytelephas macrocarpa che cresce nella foresta pluviale del Sud America. Il frutto una volta essiccato ha consistenza, colore e aspetto molto simile all’avorio animale e può essere facilmente lavorato.

Precisando che l’avorio fa parte della categoria delle gemme; gemma di origine animale come: il corallo e le perle, così come l’ambra e il giaietto, che sono di origine vegetale.il termine avorio deriva dal latino ebur e sta ad indicare i denti dell’elefante o dell’ippopotamo quando vengono separati dalla mascella per essere lavorati. L’avorio é la polpa del dente, costituita da una miscela di fosfati organici, che occupa la cavità centrale dei denti ed è protetta, nella parte esterna dallo smalto.

Di un colore bianco molto caratteristico, é un materiale fragile e facile a scheggiarsi, ma é piuttosto elastico. L’avorio si ricava dalle zanne di elefante, che sono gli incisivi di questi animali. Poi ci sono gli ippopotami, il tricheco, narvalo, del capodoglio, e persino di specie già estinte; come i mammut. La qualità migliori rimangono quelle degli elefanti e ippopotami. Pubblicherò anche alcune foto del Paleolitico superiore che meritano assolutamente di essere viste di questo bellissimo materiale.

Stupende questa coppia di rane che nuotano, reperto preistorico.

Fonti: chimica on-line, Treccani, National Georaphic, il sapere it.

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IL DIASPRO ROSSO

A cura di Stefano Argelli

Oltre all’ffascinante aspetto spirituale degli Egizi, secondo il mio parere non è da meno quello dei materiali, sapientemente lavorati da artigiani incomparabili, come nel caso di questa pietra.

Il diaspro rosso è una roccia sedimentaria mono-mineralogica, composta da quarzo e atomi di ferro che conferiscono alla pietra vivaci colorazioni tendenti al rosso. Il nome diaspro sembra di origine persiana. può anche essere originato da alcuni tipi di spugne e gusci silicei di diatomee di cui rimane traccia nella pietra stessa. I diaspri sono formati da strati che possono avere degli spessori che variano da alcuni millimetri ad alcuni metri, con superficie a grana fine o liscia.

Durezza scala Mohs 7.

Si utilizza principalmente come pietra ornamentale per realizzare tessere di mosaico o oggetti di grandi dimensioni. Il diaspro è utilizzato anche per ricoprire pareti e pavimenti di ambienti lussuosi. I principali giacimenti sono quelli degli Stati Uniti, dell’Egitto, Brasile, India e della Sassonia. In Italia i diaspri sono frequenti nell’Appennino settentrionale, in Sicilia e in Sardegna. Secondo alcuni cenni storici sembra che i primi ad utilizzarle questa pietra siano stati gli Ittiti, essendo presenti giacimenti anche in Anatolia, successivamente anche gli Egizi, Fenici, Etruschi e Cinesi ne fecero tesoro annoverandola tra le “pietre sacre.

Di diaspro esistono varie tonalità di colore: verde, giallo, nero e altre sfumature.

Fonti: gruppo di studio e condivisione sulla gemmologia. E minerali che passione.

Tjt. Il nodo di Iside.


Era un potente amuleto egizio comparso durante il Nuovo Regno, che assicurava protezione in vita e nel corso del viaggio verso l’aldilà, connesso al culto di Osiride e chiamato in origine anche Nodo di Seth o Nodo della vita.

Foto: Stonefinder

il rosso può avere significati opposti, è il sangue, la vita in Egitto era il colore del deserto di Seth il male, ma è anche la Vita, il sangue sacro di Iside .

L’amuleto a nodo di Iside è spesso di colore rosso a protezione del defunto.

Rosso è anche il colore del disco solare di Ra, e per questo rappresenta la forza

Stupenda collana in diaspro rosso, XVIII-XX dinastia 1550-1077a.C. Composta da perle biconiche intervallate da distanziatori in cornalina. lunga 78,1 cm Foto: Christie’s

Intarsio di un volto realizzato in diaspro rosso, altezza 45 cm XVII-XIX dinastia.

Foto.: Anna Laurendent

Intarsio volto di Hathor in diaspro rosso
XIX dinastia regno di Ramses II

Foto: Vittorio Pafundi collection

Per gli antichi egizi, il cuore (ib) era la fonte dell’intelligenza, dei sentimenti e delle azioni. La memoria di una persona era anche custodita nel cuore e così durante la cerimonia del giudizio (Pesatura del cuore) o pesatura dell’anima nell’aldilà, il cuore poteva parlare a nome del defunto, rendendo conto a Osiride di una vita di azioni. Pertanto, gli amuleti del cuore venivano usati sulla mummia solo per proteggere l’organo del proprietario e per garantire che il suo cuore desse una risposta positiva al giudizio.
Nuovo Regno 1295-1070 a.C. mis.h.2,9×2,3×1,5 cm. The Met New York

Testa di leopardo con il nome di Hatshepsut. Si conoscono due pezzi da gioco di Diaspro quasi identici a questo. Uno è in prestito all’Antikenmuseum di Basilea, l’altro è al museo egizio del Cairo. Presumibilmente tutti e tre facevano parte di un set usato per il gioco del senet. La testa di leopardo è stata scolpita con grande dettaglio. Nuovo regno XVIII dinastia regno Hatshepsut e Tutmosis III c.a. 1478-1458a.C.

Foto testa di leopardo The Metropolitan Museum of art New York

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IL CALCARE DI QUA EL-KHEBIR

A cura di Stefano Argelli

Nome scientifico: calcare micritico.

Si tratta di un bellissimo calcare ( la cui componente principale è la calcite) a grana fine color avorio, con fossili dispersi e attraverso da stiloliti e fatture riempite da calcite(vene).

Le stiloliti sono superfici irregolari, che derivano da dissoluzione per pressione. Quando le rocce carbonatiche vengono sepolte da altre rocce, si compattano e lungo queste superficie avviene la dissoluzione del carbonato e la concentrazione del materiale insolubile di colore scuro.

Questo materiale é stato utilizzato principalmente nella statuaria e per elementi architettonici come colonne, ma limitatamente alle zone di estrazione.

Le probabili cave del calcare micritico, sono le cave di Qau el-Kebir ed el-Hammamya poste 10 km a sud di Badari. Queste cave sono state utilizzate principalmente nel Nuovo Regno fino al periodo romano

Inquadramento geologico: Questo particolare tipo di calcare appartiene alla formazione di Drunka del gruppo di Tebe di età Eocene Inferiore (56-48 milioni di anni) costituita da depositi carbonatici di mare basso.

Fonte: museo egizio di Torino

Statua del governatore Uahka in calcare di Qau el-Kebir Medio Regno XII dinastia 1976-1794 a.C. ricercatore Schiapparelli 1905 , luogo di ritrovamento Qau el-Kebir. Dimensioni 162,5x53x85 cm. Peso 1125 kg.
La Statua del dignitario provinciale é stata ritrovata all’interno di una cappella di un suo predecessore, Uahka II vissuto circa un secolo prima di lui. È scolpita con grande maestria; i personaggi privati ordinavano a scultori esperti di realizzare le loro sculture, ispirandosi alle imponenti statue delle famiglie reali. Purtroppo é uno scadente stato di conservazione, dovuto a mancanze gravi in corrispondenza di: ginocchia ,braccia e volto. Sulle ginocchia si può apprezzare la frattura concoide (superficie concava) del materiale dovuta alla grana estremamente fine del calcare.la originaria colorazione bianco crema della statua é stata particolarmente mascherata dall’alterazione. È possibile osservare sulle superfici fresche (zone di frattura) alcuni caratteri tipici di questa roccia sedimentaria, come giunti stilolitici (ben visibili tra i piedi)

Gruppo statuario di Amon e Horemhab museo egizio di Torino.
Nuovo Regno XVIII dinastia Horemhab 1319- 1292 a.C. ricercatore Drovetti 1824, luogo del ritrovamento Tebe. Dimensioni 209x90x112 cm.

Si tratta di un blocco unico di pietra calcarea da cui sono state scolpite 2 figure rappresentate il faraone Horemhab in piedi accanto al Dio Amon, di dimensioni maggiori per sottolineare la sua importanza. Osservando i tratti del volto del sovrano si é ipotizzato che originariamente fosse raffigurato Tutankhamon e che la statua fosse stata usurpata da Horemhab, anche se l’iscrizione non presenta segni di cancellazione. La scultura é realizzata in calcare di Qau el-Kebir. Osservando da vicino é possibile identificare i giunti stilolitici e vene riempire da calcite, solo grazie all’uso del microscopico é possibile individuare resti di fossili.la scelta degli artigiani di utilizzare questo materiale non risulta casuale, poiché le sue caratteristiche lo rendono un materiale di facile lavorabilità, ideale nella resa dei dettagli grazie alla bassa durezza, alla grana fine e alla omogeneità e compattezza della roccia

Calcite gialla
La Calcite è un minerale costituito da carbonato di calcio neutro
(CaCO3) appartenente al gruppo omonimo e deriva dal nome latino calx che significa calce.

Il colore, a seconda delle inclusioni, può variare dal bianco, al rosa, al giallo, al bruno fino al verde.

Durezza scala Mohs 3

Calcite bianca

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IL CALCARE DI GIZA

A cura di Stefano Argelli

La statua incompleta di Iteti, ispettore dei sacerdoti puri della piramide di Chefren a Giza, fu ritrovata rotta in due pezzi.
(Antico Regno – IV Dinastia – 2543/2435 a.C.)
Calcare di Giza. Altezza cm 95.
Foto. Museo egizio di Torino.

Testa di Iteti, sul capo una ricca parrucca formata da file di riccioli allineate fitte fitte.
Calcare – Altezza cm 26.

Tipologia di roccia sedimentaria dal nome scientifico di calcare fossilifero.

Calcare molto ricco di fossili visibili ad occhio nudo (chiamato calcirudite) di colore giallastro,

I fossili sono rappresentati da macroforaminiferi (nummuliti), organismi unicellulari con guscio calcareo a struttura concentrica.

Sono presenti superfici ondulate di colore più scuro dovute alla dissoluzione del carbonato di calcio in seguito alla pressione dovuta al carico e al conseguente arricchimento in argilla (stiloliti) la roccia risulta formata da macroforaminiferi (nummuliti) con matrice costituita da una calcarenite fine a piccoli frammenti di gusci di foraminiferi.

Principali impieghi: Utilizzata prevalentemente per strutture architettoniche come ad esempio le maestose piramidi di Giza e di Cheope, ma anche nella statuaria.

Il calcare di Giza veniva cavato nei dintorni del Cairo, lungo la riva sinistra del Nilo.

I calcari di qualità migliore provenivano dal plateau di Giza.

Inquadramento geologico: questa roccia appartiene al gruppo di Mokatan , di eta di Eocene Medio (48-38 milioni di anni) costituito da sedimenti carbonatici ricchi di fossili depositati in un ambiente di mare basso.

Fonte: Museo egizio di Torino

Leone in calcare Epoca Romana, fine Epoca Bizantina.(300-642 d.C.)
Ricercatore: Drovetti
Mis: 55,8x29x89 cm.
Osservando da vicino questo leone si può notare come sia stato scolpito in un calcare quasi esclusivamente costituito da frammenti di gusci di piccoli organismi fossilizzati (nummoliti) caratterizzati da forme lenticolari appiattite e ben visibili ad esempio sul naso e sulle parti più lucidate.
Foto: museo egizio Torino.

Arti e mestieri, Materiali

IL BRONZO E LO STAGNO

A cura di Sandro Barucci

Trascorrendo i secoli , il bronzo assume sempre più le caratteristiche di composizione che ha ai giorni nostri.

Pubblichiamo qui come esempio lo studio fatto da ricercatori egiziani su 10 statue del Museo del Cairo, datate fra l’ottavo ed il primo secolo a.C. L’immagine in alto raffigura Nefertem, qui sotto il sommario delle altre statue con le analisi metallografiche (eseguite con moderne tecniche senza toccare i manufatti).

La percentuale di Stagno rispetto al totale riveste un ruolo importante nei risultati che si vogliono ottenere: come già detto , a partire dall’ 1% aumenta la durezza e la tenacia della lega ; mediamente ai nostri giorni i risultati sono ottimizzati con una percentuale di 9-10 % circa. Questa proporzione ha anche il risultato di abbassare il punto di fusione , e l’aggiunta di piombo che si nota, ha l’ulteriore effetto di aumentare la fluidità della colata , due dati importanti per chi realizza una statua. Si vede nella tabella come i capimastri fossero già ben consapevoli del da farsi.

Aumentando ulteriormente la percentuale di stagno oltre il 15% , la lega diventa più dura ma più fragile , e si arriva al sonoro “bronzo per campane” ; si vede in tabella che questo effetto viene giustamente evitato.

Arti e mestieri, Materiali

IL BRONZO NEL NUOVO REGNO

A cura di Sandro Barucci

Come detto parlando del Rame arsenicale, durante il Nuovo Regno si diffonde in Egitto l’uso del Bronzo , inteso nel senso odierno come lega di Rame e Stagno.

La prima testimonianza di una scultura regale in Bronzo ci arriva grazie al Metropolitan Museum of Art di New York (the “MET”) . Questa Istituzione ha scelto di condividere molto della sua collezione e documentazioni a favore della comune Cultura.

Vediamo la statua in Bronzo di Tutmhosis III dal MET, in una lega particolare, il “Bronzo nero” , che è ottenuto aggiungendo argento o oro alla lega . Mediante un trattamento finale si riesce a scurire il manufatto, così da far risaltare ad esempio gli occhi o le palpebre in oro di questa statua (datazione ca. 1479–1425 a.C. ).

Il MET pubblica anche lo studio citato nei riferimenti, dal quale si desume anche l’esatta composizione della statua:

  • Rame Cu 88,5%
  • Stagno Sn 4,3 %
  • Arsenico As 0,5 %
  • Oro Au 6,1 %
  • Argento Ag 0,4 %
  • Ferro Fe 0,2 %

Come per l’Arsenico, anche per lo Stagno una percentuale sopra l’1% è per convenzione definita come volontaria, e già migliora le caratteristiche della lega. Vediamo che l’oro è in una percentuale di ben il 6,1% , per ottenere poi l’effetto estetico di annerimento finale.

Rif.:

Hill, Marsha, and Schorsch, Deborah (1997), A Bronze Statuette of Thutmose III, Metropolitan Museum Journal, v. 32.