Kemet Djedu

IL RILIEVO DI SETHY I RECUPERATO DA UN’ASTA INGLESE

Di Livio Secco

Franca Loi ha presentato QUI un rilievo recuperato dal Ministero delle Antichità egiziano in collaborazione con l’Interpol.

L’egittologo Mattia Mancini ci informa che tutto nacque quando il curatore della sezione Egitto & Nubia del British Museum, Marcel Marée, chiese informazioni al ministro egiziano El-Damaty in merito all’autenticità del pezzo.

Evidentemente il ministero si attivò per scoprire che, quello che stava andando all’asta a Londra era un blocco di calcare di 67 x 43 cm relativo a Sethy I che era stato illegalmente esportato dall’Egitto e che, pertanto, andava sequestrato e restituito.

Non mi dilungo oltre perché al post di Franca vorrei solo aggiungere un commento filologico.
Come di consueto ho aggiunto anche la codifica IPA per la pronuncia in italiano.


A chi volesse iniziare lo studio autodidattico della scrittura geroglifica mi permetto di segnalare la seguente strumentazione completa:

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Templi

IL TEMPIO FUNERARIO DI SETHI I

Di Grazia Musso

Veduta dell’odierna facciata del tempio di Sethi I, il portico di nove colonne fascicolate supporta ancora una parte della trabeazione, in origine le colonne erano dieci

A Gurnah, un’area di Tebe Ovest, vi sono le rovine del tempio di Sethi I.

Il tempio funerario era preceduto da un viale di sfingi, da due piloni e due cortili, ma di tutto questo non rimangono che poche tracce.

L’odierna facciata è costituita da un portico di dieci colonne, dietro si trovano tre porte che introducono alle tre parti del tempio, dedicate a Sethi I e ad Amon ( parte centrale), a Sethi I e a suo Ramses I (sinistra) e al culto solare( destra); quest’ultima è un’area costituita da un cortile fra due portici e con un altare al centro.

Nel cortile a cielo aperto, compreso tra il secondo e il terzo pilone, Sethi I, avviò la costruzione di una gigantesca sala ipostila.

La sala, con i suoi 104 metri di lunghezza, 52 di larghezza e 24 di altezza, era la più grande che fosse mai stata edificata.

Fu molto di più di un ampliamento delle strutture già esistenti, si trattava infatti di un tempio vero e proprio, che presto divenne il punto di partenza delle due processioni festive tebane.

Le fu dato il nome di ” tempio di Sethi-Merenptah che splende nella casa di Amon”.

Lungo l’asse principale del tempio si innalzavano due file di possenti colonne alte 22,5 metri, sormontate da capitelli papiroformi a ombrella.

Le navate laterali erano suddivise da sette file di colonne più basse, papiroformi a bocciolo.

Il tempio funerario di Sethi I conserva una parte della decorazione interna.
Un portico introduce nel tempio dedicato a Sethi I ed a Amon.
Qui è rappresentato Sethi I che offre dei fiori al dio Amon-Ra in trono.

Ogni fila contava nove colonne, eccettuato quella adiacente al colonnato centrale che si componeva di sette colonne e, alle estremità, di due pilastri quadrangolare.

Si contavano in totale 134 colonne, che formavano una gigantesca selva di papiri di pietra.

Le colonne, che poggiavano su grandi basi circolari, non erano monolitiche bensì composte da più rocchi; esse erano sovrastante da spessi abachi sui quali poggiava il gigantesco architrave che sosteneva il tetto.

La differenza di altezza tra la navata centrale e quelle laterali rese possibile l’apertura di finestre a clausura, costituite da lastre di pietra traforata, che permettevano alla luce di diffondersi nel corridoio principale.

Tale struttura a basilica fu riprodotta anche nella sala delle feste di Thutmosi III, ma le dimensioni di questa grande sala ipostila restano uniche e assolutamente ineguagliate.

Perpendicolare all’asse principale, un percorso trasversale che collegava i due portali a sud e a nord, creava un’asse alternativo rispetto a quello est-ovest, che veniva utilizzato per le processioni tra il tempio di Karnak e di Luxor.

Alla morte di Sethi I, dopo meno di undici anni di regno, la sala ipostila e il suo programma iconografico furono portati a compimento da Ramses II.

La metà settentrionale dell’edificio, la cui decorazione era stata iniziata sotto Sethy, presentava altorilievi, mentre le scene a sud furono completate da Ramses II in bassorilievo.

La parte inferiore del fusto delle colonne è decorata con foglie di papiro, mentre nella parte superiore sono raffigurate scene di sacrifici e i cartigli con il nome del re costruttore, sostituito in un secondo tempo da quello dell’ultimo sovrano ramesside.

Le pareti interne della sala presentano una notevole ricchezza di decorazioni e motivi.

Alcune sequenze mostrano il sovrano mentre viene condotto davanti alla triade tebana formata da Amon Mut e Khonsu per venerarla e recare offerte.

Alle rappresentazioni della purificazione rituale del faraone a opera delle divinità si alternano scene che raffigurano l’incoronazione e la salita al trono nel tempio, la consegna dello scettro nonché l’iscrizione del suo nome sulle foglie del sacro albero ished.

Sethy offre un bastone intrecciato di fiori.
I bastoni di fiori erano, dopo il pane e il vino una delle offerte più consuete per le divinità.
Con essi si manifestavanol l’augurio di gioia e letizia e l’aspirazione a disporre di perpetua forze Vitali.
Associato ad Amon, i bastoni ricoprivano anche un’altra specifica funzione: il sovrano offriva il “mazzo di fiori di Amon di Karnak” non solo alla divinità, ma anche ai defunti, quale augurio di rigenerazione.

Grande importanza è attribuita alle processioni delle effigi divine nelle barche sacre, che occupano lunghi registri risalenti al regno di Sethi I come di Ramses II.

Le pareti interne illustrano esclusivamente riti e processioni, restituendo così un’idea delle cerimonie sacre che si svolgevano nella sala.

Sulle pareti esterne compare la vittoria del sovrano sul caos, ottenuta grazie alla sconfitta dei nemici stranieri.

Sulla parete settentrionale figurano le campagne militari di Sethi I contro i beduini del deserto orientale e della Palestina, così contro i libici e gli ittiti; su quella meridionale, scene in rilievo della celebre battaglia di Ramses II contro gli ittiti preso Qadesh, e della campagna che il sovrano condusse contro gli asiatici è i libici.

La grande sala ipostila è quindi una rappresentazione in pietra dell’Egitto e del mondo circostante, con l’universo sacro degli dei e del culto al suo interno e all’estero il mondo caotico che il sovrano era chiamato a distruggere.

Le colonne papiroformi rappresentano a loro volta la “terra nera”, ovvero L’Egitto inondato dalla piena del Nilo.

Oggi purtroppo non rimane nessuna delle statue che dovevano ornare l’esterno e l’interno della sala ipostila e che riproducevano le stesse rappresentazioni presenti nei rilievi.

Si sono conservate soltanto, di fronte al vestibolo del terzo pilone, due colossali statue dell’epoca thutmoside.

Rameses II vi aveva fatto apporre nuove iscrizioni, Sethi II e Ramses IV ne aveva a rinnovato il piedistallo.

L’usanza di rinnovare le iscrizioni e di riutilizzare le statue dei sovrani precedenti non deve essere giudicata come un atto di appropriazione indebita: al contrario, in questo modo il sovrano le strappava all’oblio e assicurava loro nuove offerte.

Fonte

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Konemann

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Harem Faraonico

IL FIGLIO DEL KAP HOREMHEB E LA SUA TOMBA

Di Luisa Bovitutti

Horemheb con la moglie e la principessina figlia di Thutmosis IV affidata alle sue cure

Horemheb figlio di Iside iniziò la sua carriera come semplice scriba sotto Amenhotep II, poi il suo successore Thutmosis IV, con il quale aveva frequentato il kap, gli attribuì titoli ed incarichi prestigiosi e remunerativi. Grazie al successo conseguito potè permettersi una tomba mirabilmente decorata proprio sulla cima della collina di Sheikh Abd el-Gurna, la TT78, visitata fin dalla prima metà del 1800 dai più importanti egittologi dell’epoca, ripulita e restaurata nel primi anni del 1900.

Horemheb ricevette ventidue titoli onorifici (Principe e ConteFamiliare del ReGrande Confidente del Signore delle Due TerreConfidente PreferitoAmato dal Dio PerfettoVicino ad HorusVicino al signore del palazzoPortatore di ventaglio alla destra del reVero scriba del re che lo amaCompagno del Signore delle due terre, Compagno del portatore della forza, Gli occhi del re attraverso la terrae ventuno attinenti le mansioni effettivamente espletate.

I suoi titoli si trovano nella sala trasversale della tomba: egli scalò i vari gradi delle gerarchie militari fino a diventare Responsabile per il reclutamento e l’organizzazione delle truppe“, che gli dava il controllo su tutti i soldati e gli ufficiali attivi.

In ambito civile era delegato a ricevere i tributi dai paesi stranieri ed in qualità di Sorvegliante del bestiame e di Sorvegliante degli uccelli e dei pesci esercitava il controllo sulle caccia, la pesca e sui possedimenti reali; Thutmose IV gli affidò anche l’educazione di sua figlia Amenemipet che nella tomba viene raffigurata seduta sulle sue ginocchia.

Con Amenhotep III ricevette anche i titoli religiosi di Sorvegliante dei campi di AmonSorvegliante del bestiame di AmonColui che si occupa delle costruzioni di Amon.

La sua tomba ha la pianta a T rovesciata tipica dell’epoca ma ha una galleria aggiuntiva, che inizia nell’angolo nord-ovest della cappella e che conduce al complesso sotterraneo non iscritto che termina con la camera sepolcrale; essa si affacciava su di un cortile oggi praticamente scomparso per la presenza di parecchi detriti.

La parte inferiore della facciata era scolpita nella roccia ricoperta da un rivestimento di limo del Nilo; quella superiore era in mattoni e sul bordo era decorata con una fila di coni funerari recanti il nome del defunto.

Ricostruzione della facciata; in origine l’ingresso era contrassegnato dagli stipiti della porta, ora scomparsi; sul lato superiore c’era la decorazione costituita da una serie di coni funerari.
Uno dei coni funerari

Solo la sala trasversale e quella longitudinale sono state decorate secondo uno schema analogo a quello già visto nella tomba di Userhat: nella stanza trasversale Horemheb viene rappresentato da vivo mentre fa offerte agli dei, porta doni al sovrano, controlla la distribuzione delle razioni alle reclute e banchetta festoso; in quella longitudinale sono illustrati i riti funebri destinati a garantirgli la vita ultraterrena e per la prima volta in una tomba si trova rappresentato il giudizio di Osiride.

Le raffigurazioni di Horemheb, della moglie Atjuia cantante di Amon a Karnak, della madre e del fratello maggiore sono state intenzionalmente scalpellate, salvo tre di esse, forse perché prive di nome e di testo.

Il soffitto della tomba, rimasto incompiuto

Non si tratta tuttavia di damnatio memoriae conseguente ad un deteriorarsi del rapporto con il sovrano, in quanto la tomba fu effettivamente utilizzata per Horemheb; i danni sono quindi certamente successivi alla sua morte, e sarebbero ascrivibili alla mano di nemici personali che volevano precludere l’Aldilà a lui ed alla sua famiglia.

Gli sfregi ai geroglifici indicanti il nome del dio Amon risalgono all’epoca amarniana, altri vennero inferti dai successivi usurpatori della tomba, dai cristiani copti e dai tombaroli.

Nel corso dell’ultimo secolo le pitture parietali si sono ulteriormente deteriorate, ma grazie alla documentazione realizzata in passato è ancora oggi possibile conoscere il loro aspetto originario.

LA SALA TRASVERSALE DELLA TOMBA

LE SCENE DELLE OFFERTE E DEI BANCHETTI

La scena del banchetto così come ricostruita.
Nel registro centrale Horemheb e sua madre ricevono offerte da Atjuia e da un’altra donna dietro la quale stanno le due liutiste e la ballerina; nei due sottoregistri gli ospiti e sotto di loro delle giare.
Nel registro in basso, da destra, il gruppo dei musicisti con il ragazzo che offre da bere, dei servi portatori di offerte, due macellai, lo scriba sorvegliante e un uomo di porta un mazzo di fiori di loto.
Nel registro superiore ciò che resta della scena che rappresenta Horemheb ed Atjuia che banchettano.

Analogamente alla tomba di Userhat, sui due lati corti della sala si trovavano una stele (a destra) ed una falsa porta (a sinistra) oggi distrutte; le scene sulla parete interna a destra ed a sinistra dell’ingresso, gravemente deteriorate, raffigurano Horemheb e la moglie che fanno offerte agli dei, seguiti da file di servi che portano uccelli, uova, pagnotte, mazzi di papiro e tori.

Alle due estremità della stessa parete si trova la rappresentazione di un banchetto festivo al quale prendono parte Horemheb, sua madre Iside, sua moglie Atjuia, un’altra donna, musicisti e ballerine e molti ospiti, tutti elegantemente vestiti, ingioiellati e con un cono di profumo sulla testa.

Gli ospiti sono praticamente scomparsi nella scena di destra, mentre in quella di sinistra si notano i servi che portano da bere a cinque ufficiali dell’esercito seduti su sgabelli pieghevoli; sotto di essi grandi giare tutte decorate ed il testo relativo al canto dell’arpista.

In particolare la parte destra della parete mostrava Horemheb e sua madre (oggi completamente scalpellati) a cui le due mogli del defunto, raffigurate molto più piccole, offrono coppe con bordi decorati ed un vasetto dorato, probabilmente un unguentario o un portaprofumo.

Sopra la prima donna, verosimilmente Atjuia, moglie principale, c’è il seguente testo: 

Per il tuo Ka! Trascorri una vacanza nella tua bella casa dell’eternità, che sarà tua per tutta l’eternità. Il tuo viso è rivolto ad Amon-Re, il tuo Signore, che ti ama! Dalla mano di tua moglie, la padrona [….], verità della voce.

La donna dietro di lei dice: 

“Ricevi queste corone, questi oli pregiati, affinché ti accompagnino in questo giorno di festa, possa tu essere ricevuto da questo dio perfetto della Tebe occidentale (Osiride). Tua moglie [… ] verità della voce.

C’è poi un gruppo di musicisti, composto da due liutisti, un arpista e da cantanti che danno il ritmo. Nonostante il danno, si nota che il volto della prima donna, stranamente, è raffigurato di fronte (freccia verde nell’immagine); esse indossano abiti attillati lunghi fino ai piedi e trasparenti dalla vita in giù; come si è detto, dei numerosi ospiti, posti sul registro superiore, non è rimasta praticamente traccia.

Ecco la suonatrice di liuto rappresentata frontalmente

Speculare a questa scena se ne trovava un’altra molto simile, che conosciamo solo grazie ad una ricostruzione: il registro inferiore raffigurava un arpista seduto e molto grande, un liutista in piedi ed un cantante cieco che applaudiva dando il ritmo. Dietro di lui, un altro cantante si abbassava per accarezzare un servo che gli offriva e da bere una fiaschetta e reggeva tre bastoni; ai suoi piedi una testa bovina destinata alle offerte.

Il cantante cieco che batte le mani dando il ritmo ai suonatori in una delle due scene del banchetto

Alla sinistra dei musici, un servo portava la testa e la zampa di un bue, seguito da un altro con due ceste contenenti altri pezzi di carne, che si girava a guardare dietro di sé, verso due macellai al lavoro sotto gli occhi di un funzionario e diceva loro quanto stava scritto nel testo: Lo scriba Nebnefer mi dice: voi macellai, muovetevi a tagliare i pezzi, ma voi discutete invece di lavorare.

All’estrema sinistra, un servitore chiudeva la scena portando un grande mazzo di fiori di loto.

Nel registro intermedio c’era la rappresentazione di Horemheb con la principessina sulle ginocchia (allegata al precedente post) e sua madre, nella quale i volti erano stati risparmiati dalla mano dell’uomo; essi purtroppo si sono poi deteriorati per l’azione del tempo.

Davanti alla coppia sono ancora appena visibili Atjuia ed un’altra donna che offrono ad Horemheb due grandi coppe d’oro, una delle quali piena di un materiale bianco; dietro di loro due ragazze che suonano liuti a manico lungo e si muovono al ritmo della musica così come la ballerina quasi piegata in due.

Atjuia ed un’altra donna (a sinistra) fanno offerte ad Horemheb e a sua madre Iside (vedi sopra); dietro di loro due suonatrici di liuto ed una ballerina scatenata.

A destra dei musicisti, il registro è diviso in due sottoregistri: in quello superiore si vedono cinque alti ufficiali dell’esercito seduti su sedili pieghevoli; due servi offrono loro da bere; il piccolo sottoregistro inferiore presenta grandi giare decorate ed il testo del canto dell’arpista raffigurato sotto.

Il modesto frammento rimasto di Horemheb ed Atjuia che banchettano

Il registro superiore, che raffigurava Horemheb ed Atjuia al banchetto con i loro ospiti è quasi completamente scomparso.

I DONI AL FARAONE

Ai lati del passaggio che conduceva alla sala longitudinale vi erano due rappresentazioni speculari di Thutmose IV, un tempo complete, ora assai deteriorate: rimangono solo pochi frammenti.

In quella di destra il re sedeva sotto un baldacchino su di un trono con le gambe a forma di zampa leonina, tra le quali c’era il sema tawy, simbolo dell’Egitto unificato; davanti al sovrano si trovavano due flabelliferi ed Horemheb, che gli presentava una grande composizione floreale. Dietro il re c’era una dea protettrice.

Ricostruzione della scena nella quale Horemheb offre al Faraone una composizione di fiori e frutta, ora praticamente scomparsa tranne quel frammento nella prossima immagine.
Il frammento residuo della scena delle offerte al Faraone, che permette di apprezzarne la vividezza dei colori e i magnifici particolari.

Dietro ad Horemheb, sul più basso dei tre registri, sopravvive l’immagine dei suoi fratelli che rendono omaggio al sovrano: tutti portano composizioni floreali; il primo di essi, la cui immagine ed il cui nome vennero scalpellati dai suoi nemici, anche delle anatre; il secondo, Amenemhat, Comandante delle truppe nubiane di Sua Maestà, reca un arco con delle anatre appese; il terzo, chiamato Amenhotep, offre frutta ed un bue, ornato di ghirlande floreali.

I tre fratelli di Horemheb, il primo dei quali è stato scalpellato; rimane solo l’imponente composizione di fiori ed anatre che deve offrire al sovrano.
Il terzo fratello di Horemheb che porta con sé legato con una corda un bovino grasso riccamente ornato

Essi sono probabilmente di origine nubiana, in quanto indossano i grandi orecchini ad anello e hanno la testa rasata e treccine che dalla sommità della testa cadono sulla spalla.

Dietro di loro, un uomo tiene per le orecchie una lepre e porta un cesto pieno di uova e piume di struzzo; accanto a lui c’è uno stambecco con lunghe corna ricurve.

L’ultimo componente della sfilata di offerenti.

L’ISPEZIONE DEI CAVALLI E L’OMAGGIO DEI PAESI TRIBUTARI

Davanti al baldacchino del Faraone, protetto dalle sue Guardie del corpo che reggono grandi scudi, troviamo quattro sottoregistri.

Le Guardie del corpo di Thutmosis IV, immagine tratta dall’archivio fotografico del Museo Egizio di Torino

Il primo dall’alto è solo parzialmente intatto e mostra Horemheb, responsabile delle scuderie reali, che passa in rassegna i cavalli del sovrano, che i servi fanno sfilare in gruppi di quattro; essi sono di diversi colori e sono ornati da magnifici pennacchi di piume.

I cavalli sfilano davanti ad Horemheb

Il secondo, quasi completamente scomparso, raffigurava Horemheb che ispezionava gli archi e le spade e destinate ad equipaggiare l’esercito.

Il terzo mostra una delegazione di dodici uomini che portano brocche e vasi decorati; essa è capeggiata da due dignitari che si prostrano davanti al sovrano ed è preceduta da un trombettiere.

I siriani portano i tributi ad Horemheb e rendono omaggio alla superiorità egizia.

Si tratta di siriani, così come si deduce dalla corta barba appuntita di alcuni di loro e dal tipico abbigliamento, costituito da una gonna lunga fino ai piedi, talvolta bicolore, avvolta più volte intorno ai fianchi.

Particolare della scena con gli offerenti siriani: si notino i capelli rasati e la barbetta bionda

Il quarto registro mostra l’omaggio dei nubiani: due “malvagi principi di Kush, del vile paese di Kush”, inginocchiati a terra, rendono onore ad Horemheb ed al re e sono seguiti da servi che indossano pelli di pantera e da donne che tengono per mano dei bambini e portano i più piccoli in una cesta rivestita di pelle bovina che tengono sospesa sulla schiena con una cintura alla fronte, come già abbiamo visto nella tomba di Sobekhotep.

Le donne nubiane forse destinate a restare in Egitto come serve, portano con sé i loro bambini.

Esse hanno capelli scuri e cortissimi, collane e grandi orecchini a cerchio in argento; sono a seno scoperto ed indossano gonne lunghe, talvolta maculate, probabilmente di pelle; la loro carnagione è rossastra (colore che gli Egizi riservavano agli uomini), così come quella di alcuni bambini, mentre altri sono neri (ormai grigi, perché il pigmento è sbiadito).

Il quinto registro mostra sulla metà di sinistra due gruppi di ballerini nubiani che danzano mentre un collega dà loro il ritmo; essi hanno tutti la testa rasata, tranne tre ciocche di capelli.

Un ballerino nubiano, con la sua strana acconciatura a ciuffetti, danza per il Faraone.

L’ultima scena del corteo, solo in parte completata, mostra dei pastori che guidano una piccola mandria di bovini.

La piccola mandria che chiude la sfilata degli offerenti nubiani

IN AGGIORNAMENTO

FONTI:

https://www.osirisnet.net/…/horemheb78/e_horemheb78_01.htm

http://artehistoriaegipto.blogspot.com/…/capitulo-52…

C'era una volta l'Egitto, Nuovo Regno, XVIII Dinastia

LA REGINA AHMOSE NEFERTARI  (O AHMES NEFERTARI)

Di Piero Cargnino

Abbiamo parlato di Ahmose I, mi pare quindi doveroso a questo punto fare una breve digressione dal discorso principale per parlare di una delle donne più influenti della XVIII dinastia, la regina Ahmose Nefertari (o Ahmes Nefertari), la Grande Sposa Reale di Ahmose I, entrambi figli di Seqenenra Ta’o e della  Grande Sposa Reale Iahhotep (o Ahhotep I).

La coppia reale ebbe cinque  figli i cui nomi denunciano una scarsa fantasia da parte dei genitori, tre maschi: Ahmose Ankh, rappresentato con la madre su una stele trovata a Karnak, Ahmose Siamon la cui mummia è stata ritrovata nella cachette di Deir el-Bahari, Amenofi che succederà al padre sul trono, e due femmine: Ahmose Meritamon che sposerà il fraello  Amenofi I divenendo la “Grande Sposa Reale”, Ahmose Sitamon che verrà anche lei trovata nella cachette di Deir el-Bahari.

Non è certo se fossero anche figli di Ahmose I e di Ahmose Nefertari  il principe Ramose la cui statua si trova oggi al Museo di Liverpool e Mutnofret che andrà sposa a Thutmose I.

La regina Ahmes Nefertari poteva vantare numerosi titoli nobiliari: “Principessa ereditaria”, “Grande di Grazia”, “Grande di lodi”, “Madre del re”, “grande sposa reale”, “Sposa del dio”, “Unita alla Corona bianca”, “figlia del re”, “Sposa del dio”, “figlia del re” ed in seguito acquisì anche quello di “Dea di Resurrezione”. Tutti questi titoli davano alla regina un ruolo di primaria importanza nell’ambito della religione.

Quando nel suo diciottesimo (o ventiduesimo) anno di regno, Ahmose assunse anche la carica di “Secondo Profeta di Amon”, dotò la propria moglie  Ahmes Nefertari di terre, beni e amministratori che la seguivano; In un secondo tempo conferì la carica alla regina attribuendole anche il titolo di “Divina Sposa di Amon” e di “Divina Cantatrice di Amon”. Non si può certo dire che Ahmose I non amasse la moglie.

Con tutti quei titoli che poteva vantare  Ahmes Nefertari era divenuta la  responsabile di tutte le proprietà templari e dei relativi tesori, botteghe e amministrazioni. Creò le “Divine Spose di Amon” dotandole di un immenso patrimonio in terre, granai, scribi, artigiani, contadini compresi gli amministratori. Su di una stele dove si commemora l’investitura della regina a “Secondo Profeta di Amon” essa compare in compagnia del fratello suo e di suo marito, il principe Ahmose Sipair che però morì prima di salire al trono.

Alla morte di Ahmose I svolse il ruolo di reggente per il figlio Amenofi I, il suo nome compare su molti monumenti a Sais e a Tura. Quando si spense, un anno dopo il figlio Amenofi I (secondo alcuni cinque anni dopo), venne divinizzata e adorata a Tebe e a Deir el-Medina e fu oggetto di tributo speciale da parte degli operai che vivevano nel villaggio. Il culto della regina Ahmose Nefertari continuò fino all’inizio del I millennio a.C., basti pensare che la regina, chiamata “Signora del Cielo e dell’Occidente”, compare dipinta in oltre 50 tombe private e 80 monumenti. Venne, con ogni probabilità sepolta nella necropoli di Dra Abu el-Naga dove fu trovato anche un suo tempio funerario.

Forse anche la sua mummia venne inumata nella cachette di Deir el-Bahari dove nel 1881 fu trovata una mummia senza nome che non presentava particolari dettagli identificativi, questa venne attribuita ad Ahmose Nefertari anche se la sua identità è molto dibattuta. Nel 1885 l’egittologo Emile Brugsch la sbendò ma il fetore che emanava era tale per cui Brugsch la fece nuovamente inumare sotto il Museo del Cairo. Alcuni anni dopo venne esaminata dall’anatomista G. Elliot Smith, le cui conclusioni furono che si trattava di una donna sulla settantina, alta 1 metro e 61 centimetri, quasi calva e mancante di una mano, sicuramente asportata dai profanatori per recuperare gli anelli. Esaminata a fondo si può dire che, anche qualora non si tratti di Ahmose Nefertari, si tratta ugualmente di una nobildonna del suo periodo.

Fonti e bibliografia:

  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Laterza, Roma-Bari, 2005  
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
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IL FARAONE AHMOSE E LA CACCIATA DEGLI HYKSOS

Di Piero Cargnino

Raggiunta la maggiore età, Ahmose sale al trono divenendo a tutti gli effetti il primo faraone della XVIII dinastia.

Pur essendo uno dei faraoni più importanti, di lui conosciamo ben poco e quello che conosciamo ci è pervenuto dalle iscrizioni presenti nelle tombe di due suoi soldati, probabilmente generali del suo esercito, Ahmes figlio di Abana e Ahmes Pennekhebet.

Intorno alla sua figura regna una certa confusione creata da Giuseppe Flavio il quale traducendo Manetone riferisce che a cacciare gli Hyksos fu un re di nome Misphragmuthosis salvo poi trasformarne il nome in Tethmosis inducendo erroneamente a pensare alla figura di Thutmose.

Manetone gli assegna 25 anni di regno che paiono confermati da un graffito rinvenuto nelle cave di Maasara che riporta il 22° anno di Ahmose.

Salito al trono, dopo la reggenza della madre, Ahmose riprese subito le ostilità e col suo esercito marciò su Avaris dove in luogo di Apophis ora governava il sovrano Hyksos Khamudi. Khamudi è l’unico sovrano della XV dinastia a comparire nel Canone Reale, alla riga 10 colonna 20, di lui sono noti anche due sigilli scarabei, entrambi provenienti da Gerico.

Un altro sigillo, forse proveniente da Byblos, porta un’incisione che parrebbe “Khamudi”. Di parere contrario Kim Ryholt secondo il quale l’incisione va letta “Kandy” riferito ad un re sconosciuto.

Dalle iscrizioni ritrovate nelle tombe sopra citate, si apprende che Ahmose si scagliò subito contro Menfi ed Eliopoli che riconquistò senza quasi combattere. Poi puntò a nord verso Avaris, qui non fu necessario porvi l’assedio in quanto gli occupanti si arresero senza che ci fossero combattimenti.

La presa di Avaris sarebbe avvenuta intorno all’undicesimo anno di regna di Khamudi (circa 1530 a.C.). Ma questo ad Ahmose non era sufficiente, il grave insulto all’onore e all’integrità dell’Egitto dovuto all’occupazione Hyksos bruciava troppo e l’unico modo per il completo riscatto, e per evitarne il ripetersi in futuro, richiedeva di estendere il controllo da parte dell’Egitto sugli asiatici del nord e dell’est.

Cacciati gli occupanti di Avaris, e “tutti” gli Hyksos presenti in Egitto, Ahmose passò il confine inseguendo le altre guarnigioni in rotta. (Ho scritto “tutti” tra virgolette, la ragione la vedremo in un momento successivo). Ultima roccaforte nella quale si rinchiusero gli Hyksos fu l’antica città di Sharuhen nel deserto del Negev. Dopo un assedio durato tre anni, l’esercito di Ahmose conquistò la città e la fece radere al suolo. L’intento di controllare l’area siro-palestinese per bloccare eventuali tentativi di nuove infiltrazioni da parte di genti semite, portò l’Egitto a scontri con i regni Mitanni ed Ittita.

Nella città di Avaris Ahmose fece costruire diversi palazzi la cui decorazione pittorica, ritrovata frammentata, si presenta stranamente eseguita con tecnica e colori  del tutto estranei alla tradizione egiziana, ricordano quelli del palazzo di Cnosso. Ma per completare l’opera occorreva anche dare una lezione ai nubiani che con gli Hyksos si erano alleati contro l’Egitto riconquistando la Nubia. Senza ulteriori indugi Ahmose si rivolse a sud ed in breve si riprese la Nubia.

La riunificazione dell’Egitto era ora completa ma per mantenerla sicura dovette ricorrere a sedare le ribellioni nel regno di Kush dove, in seguito a tre campagne militari, raggiunse l’isola di Sai, tra la seconda e la terza cateratta, delle quali assunse il controllo nominando un governatore con il titolo di “Figlio del re di Kush”, carica ricoperta da un principe reale. Pare inoltre che verso la fine del suo regno abbia inviato una spedizione punitiva anche in Fenicia.

Con Ahmose, il cui potere passa ora da “re-dio” a “re-generale”, si accentuò il contrasto interno con il clero il cui “Primo Profeta di Amon” aspirava ad assumere “de facto” il controllo dello Stato ma questo sarà un problema che vedremo in seguito.

Inizia con Ahmose I il Nuovo Regno che durerà circa 500 anni e comprenderà la dinastie dalla XVIII alla XX, secondo Manetone, e sarà il momento della massima espansione dell’influenza egizia tanto da indurre spesso a chiamarlo impero. Periodo nel quale assisteremo alla più grande riforma religiosa mai riscontrata in Egitto ad opera del faraone eretico Akhenaton, ma questa è storia che affronteremo in seguito.

Ahmose si fece edificare una “piramide” ad Abido, l’ho messa tra virgolette in quanto non si tratta di una vera piramide bensì di un cenotafio che, nonostante presenti un lato di circa 53 metri ed un’altezza, in origine, di circa 40 metri, è stata realizzata con sabbia e detriti litici poi ricoperti con pietra calcarea per renderla più stabile. Non contiene alcuna camera funeraria o corridoi a conferma della sua natura di semplice cenotafio. Oggi si presenta come una collina di detriti alta una decina di metri.

Il sarcofago di Ahmose, contenente la sua mummia, venne ritrovato nella famosa cachette di Deir el-Bahari dove fu nascosta con molte altre per preservarle dalle violazioni, oggi sono conservati al Museo di Luxor. L’esame della mummia ha rivelato che il sovrano deve essere deceduto fra i trenta ed i quaranta anni.

Come abbiamo detto sopra Ahmose cacciò gli Hyksos dall’Egitto, (tutti?), questo lo andremo a vedere nel seguito analizzando come l’evento viene trattato dagli studiosi cercando di districarci fra le numerose, e spesso contrastanti, ipotesi che in proposito sono state avanzate.

Fonti e bibliografia:

  • Gardiner Alan, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997   
  • Edda Brasciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini 2005
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke 2013
  • G. Elliot Smith, “The Royal Mummies, Duckworth Egyptology”, 1912 (ristampa 2000)
  • Giampiero Lovelli, “Ahmose I : il faraone che scacciò gli Hyksos dall’Egitto”, articolo da Storie di Storia, 2017
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori 1995
  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani 2003
  • Kemet . La voce dell’Antico Egitto, “Gli Hyksos, il popolo invasore”, Web  2017
  • Kim Ryholt, “The Political Situation in Egypt during the Second Intermediate Period”, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1997
Mai cosa simile fu fatta, XIX Dinastia

RILIEVO DI SETI I

Di Franca Loi

Calcare dipinto
Regno di Seti I – XIX Dinastia – 1308-1294 a.C.)

Si tratta di un blocco di calcare di 67 x 43 cm inciso e dipinto con la figura e i cartigli di Seti I (1289-1279). Il faraone, rappresentato con la corona azzurra “kheperesh”, è al cospetto di Hathor, che gli porge la collana “menat” con l’ankh, e di Upuaut, il “sosia” di Anubi. Il pezzo proviene da uno scavo abusivo probabilmente dell’area di Asyut perché i testi fanno riferimento a un tempio della città dove era particolarmente venerato il dio lupo.

A sinistra primo nome di re dell’Alto e del Basso Egitto, “La Maat di Ra è duratura” – A destra secondo nome di figlio di Ra. “L’amato da Ptah”.

Alle spalle di Hathor il dio-lupo Upuaut, “colui che apre le strade”.

Il Ministero delle Autorità, in collaborazione con l’Interpol, è riuscito a recuperare questo reperto archeologico illegalmente esportato dall’Egitto che stava per essere messo all’asta a Londra.

L’ANALISI FILOLOGICA A CURA DI LIVIO SECCO QUI

Fonte:

MUSEO EGIZIO DEL CAIRO

DJED MEDU

Kemet Djedu

LO SCARABEO DI WAH

Di Livio Secco

Tra gli scarabei di Wah (vedi: https://laciviltaegizia.org/2022/06/05/gli-scarabei-di-wah/) c’è un monile pendente a forma di scarabeo decisamente non comune. Innanzi tutto è in argento, ma quello che più incuriosisce è l’iscrizione geroglifica riportata sopra.
Essa si confonde con il manufatto perché, pur essendo di un metallo diverso, ne ha una colorazione simile e quindi l’iscrizione, per essere letta, va in qualche modo evidenziata.

Dal sito del Metropolitan veniamo a sapere che Wah era un dipendente di un facoltoso nobile, Meketra. Il padrone donò al suo subordinato il gioiello in oggetto. Il fatto che esso sia fatto in argento con iscrizioni in elettro e che sia stato prodotto con una particolare manifattura ci rende molto sorpresi.

In Egitto l’argento, per un certo periodo, fu addirittura più costoso dell’oro poiché era tutto d’importazione. Il fatto poi che il nobile facesse iscrivere entrambi i nomi sul pendente ci documenta che lo stesso fu commissionato apposta come dono per un servitore del quale il padrone aveva davvero una stima profondissima, indubbiamente dimostrata dal costoso omaggio.

L’iscrizione è doppia ed è riportata sulle elitre del coleottero. Si legge tutto da destra a sinistra.
Come al solito ho aggiunto anche la codifica IPA per chi volesse leggere i geroglifici.

Età Ramesside, Mai cosa simile fu fatta, Statue

STATUA DI SETHI I

Di Grazia Musso

Alabastro, altezza cm 238
Karnak, Tempio di Amon-Ra, cortile della Cachette
Scavi di George Legrain
Museo Egizio del Cairo – JE 36692=CG42139

La statua è stata ritrovata a pezzi nella Cachette di Karnak, dove era stata depositata smontata.

Infatti si tratta di un’opera composita, un tipo di scultura assai caratteristico nell’arte egizia, che prevede l’utilizzo di diversi materiali.

Le parti principali sono state prodotte separatamente, scegliendo con cura la qualità della pietra, in modo che le venature seguissero lo sviluppo anatomico.

La testa e il torso sono ricavati da un tipo di alabastro assai compatto, mentre le gambe e mani sono ottenute usando un materiale con maggiori venature

Gli indumenti, gli attributi e alcuni tratti fisionomici, che furono asportati prima dell’interramento della statua, dovevano essere stati realizzati usando altri materiali, sicuramente preziosi.

La stilistica induce a attribuire la statua alla fine della XVIII Dinastia.

La bocca, ben modellata e sensuale, la cavità che ospitava gli occhi, a mandorla e assai allungata, le sopracciglia, sottili e arcuate, sono elementi che riconducono la scultura alla fine del periodo amarniano o all’epoca immediatamente successiva.

Il nome, Sethi I, inciso sul pilastro dorsale e sulla base, potrebbe essere stato aggiunto, come lascia supporre l’ortografia un poco approssimativa dei segni, in un secondo tempo, quando il re decise di appropriarsi dell’ opera di un immediato predecessore.

Il sovrano Indossa probabilmente il khrpesh, la così detta ” corona azzurra”, un copricapo regale che ricorre con frequenza nelle opere scultoree nei rilievi proprio tra la fine della XVIII e l’inizio della XIX Dinastia.

Gli occhi e le sopracciglia erano intarsiati: i primi dovevano essere in ossidiana con contorni in rame, mentre le seconde erano, forse, in lapislazzuli.

Un foro sotto il mento indica che la statua era provvista di barba posticcia, mentre il punto di giuntura tra collo e torso doveva essere coperto da un’ampio collare.

Anche i fori di collegamento tra braccia e mani, in ognuna delle quali era inserito un oggetto (scettro o cilindro), dovevano essere nascosti da due bracciali.

Il gonnellino, verosimilmente plisettato, doveva avere un elemento decorativo frontale, probabilmente realizzato in foglia d’oro.

Il sovrano indossa i sandali, ed è rappresentato nell’atto di calpestare i Nove Archi, i tradizionali nemici dell’Egitto, le figure di due di questi sono ancora conservate sulla superficie superiore della base.

Fonte

Tesori egizi nella collezione del Museo del Cairo – F. Tiradritti – foto Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Amarna, Palazzi

SPLENDORI DI AMARNA

Di Patrizia Burlini

Clara Siemens, acquarello
Tavola XI, fig 34 da « Encyclopaedia of Colour Decoration from the Earliest Times to the Middle or XIXth Century », Berlin, 1928

Spesso ci chiediamo come dovevano apparire i palazzi egizi. I palazzi di Malqata e Akhetaton erano un tripudio di colori, che possiamo ammirare ancora in alcuni frammenti e ricostruzioni moderne.

Durante gli scavi del 1891-1892 ad Akhetaton, Flinders Petrie, di cui potete leggere QUI la storia, scoprì nel Grande Palazzo Reale un intero pavimento decorato, di circa 78 mq, oggi conservato al museo del Cairo, appartenente alla Sala E (vedere pianta).

Pianta della porzione del Great Palace in cui è visibile la stanza E

Per proteggerlo dagli eventi atmosferici e dagli scavi dei tombaroli, Petrie vi costruì sopra un riparo e creò un percorso intorno ad esso affinché fosse possibile ammirarlo senza danneggiarlo. Per qualche incomprensibile ragione, la protezione fu demolita il 1 febbraio 1920 e il pavimento fatto a pezzi dagli abitanti locali. Fu in seguito pazientemente restaurato e ricomposto così com’è possibile ammirarlo oggi. Incredibilmente, il restauro non seguì esattamente i disegni di rilievo di Petrie e la posizione dei pezzi non é sempre accurata. Come se non bastasse, alcuni pezzi, ad esempio quelli rappresentanti i prigionieri, furono posizionati al contrario e si trovano oggi in posizione opposta rispetto a come dovrebbero essere.

Pavimento sala E conservato al Museo del Cairo
Pavimento con i prigionieri mediorientali e nubiani
Da questa ricostruzione si nota che i prigionieri sono stati ricomposti al contrario

Nelle foto del post, oltre al pavimento originario, é possibile ammirare uno splendido acquarello con la ricostruzione delle decorazioni sul pavimento , chiamato pavimento Nr 2- eseguita da Clara Siemens nel 1928. La posizione della colonne palmiformi è rappresentata dai cerchi grigi.

La piscina pullula di pesci e vengono rappresentati uccelli in volo e piante di vario tipo. Dei bouquet floreali, con quelli che sembrano dei coni profumati, sono presenti nel perimetro e, in basso, è rappresentata una fila di prigionieri di origine africana e Mediorientale che sarebbero stati opportunamente calpestati .

Pavimento con uccelli e piante acquatiche
Pavimento con uccelli e piante

Il pavimento in situ con la protezione creata da Petrie

Un dettaglio del pavimento fotografato da Jacqueline Engel è stato pubblicato QUI

Mi auguro che la nuova collocazione al GEM consenta una migliore esposizione di questo capolavoro, che sicuramente necessita di essere restaurato, ricomposto e valorizzato per essere restituito allo splendore originario.

Pavimento in gesso decorato proveniente dal Grande Palazzo di Akhetaton, conservato al Museo Egizio del Cairo.

XVIII Dinastia

Fonti:

Tavola XI, fig 34 da « Encyclopaedia of Colour Decoration from the Earliest Times to the Middle or XIXth Century », Berlin, 1928

Weatherhead, F., ‘Painted Pavements in the Great Palace at Amarna’, The Journal of Egyptian Archaeology, 78 (1992), p. 179 fn.

Fran Weatherhead , Painted Pavements in the Great Palace at Amarna, The Journal of Egyptian Archaeology

Vol. 78 (1992), pp. 179-194