C'era una volta l'Egitto, Medio Regno, XII Dinastia

LA “PIRAMIDE BIANCA” DI AMENEMHAT II

Di Piero Cargnino

A Sesostri I successe il figlio Amenemhat II, sicuramente figlio della regina Neferu III, alla quale era assegnato il titolo di “Madre del re”. Ma come si suol dire, la madre è certa, mentre per quanto riguarda il padre alcuni studiosi nutrono molti dubbi che fosse realmente Sesostri I in quanto non esistono ritrovamenti che lo confermino.

In un’iscrizione rinvenuta nella tomba di un nomarca omonimo a Beni Hasan, viene riportato che il nomarca Amenemhat ha seguito in una spedizione in Nubia “Ameni, Figlio del re”. Questo Ameni potrebbe essere stato il giovane principe che diverrà poi Amenemhat II anche se si tratta solo di un’ipotesi.

Della sua famiglia si conosce ben poco, non si conosce il nome della sposa reale di Amenemhat II come non è documentato da nessuna parte chi fu la regina madre di Sesostri II, anche se si pensa che comunque fosse figlio di Amenemhat II. Nel grande complesso funerario del faraone si trovano numerose tombe di regine o principesse ma non è stato accertato il loro legame con Amenemhat II, si trova una tomba che potrebbe essere appartenuta alla regina della XIII dinastia Keminub, oltre a quelle delle principesse, con il titolo di “Figlie del re”, Itit, Itaweret e Khnumit, che potrebbero essere state sue figlie.

In un primo momento si riteneva che Amenemehat II avesse condiviso il potere col padre in base all’interpretazione di un testo contenuto su una stele del funzionario, Wepwaweto (conservata a Leiden, V4), ma oggi molti lo ritengono improbabile. Del sovrano rivestono particolare importanza gli “Annali di Amenemhat II”, i cui frammenti sono stati rinvenuti a Menfi e riportano notizie su donazioni a templi e ad alcuni fatti politici. Dai frammenti si è appreso di una spedizione militare in Asia con la distruzione di due città non meglio identificate, Iuai e Iasy. Abbiamo notizie di altre spedizioni militari di Amenemehat II, di cui tre nel Sinai, una nello Uadi Gasus ed una nello Uadi el-Hudi in cerca di ametiste. Amenemehat II fece costruire diversi edifici e templi a Eliopoli, Eracleopoli, Menfi e Ermopoli.

Al Museo del Louvre a Parigi è conservata una colossale sfinge con il volto del faraone Amenemhat II rinvenuta a Tanis, la statua venne poi usurpata da Merenptah (XIX dinastia) e da Sheshonq I (XXII dinastia) con l’apposizione dei loro cartigli.

Nel tempio di Montu, a Tod, località a 20 chilometri a sud di Luxor, è stato ritrovato un tesoro in pezzi d’argento, contenuto in cofani sui quali viene menzionato il faraone:

<<…….possa vivere il re dell’Alto e Basso Egitto Nubkaura, figlio di Ra, Amenemhat, amato da Montu, Signore di Djerty, (Tod)……>>.

Manetone, frequentemente disinformato, racconta che:

<<……..(Amenemhat II) venne ucciso dai suoi eunuchi……..>>,

non esistono testimonianze che confermino questa tesi, molto probabilmente Manetone fa confusione con la morte del faraone Amenemhat I avvenuta circa 80 anni prima.

Per il suo complesso funerario Amenemhat I ruppe la tradizione dei suoi due predecessori ed abbandonò El-Lisht per Dahshur, l’antica necropoli della IV dinastia. Amenemhat fece risistemare l’intera necropoli, grazie al lavoro di prigionieri asiatici. Qui fece costruire il suo complesso piramidale che, nella sua interezza, venne chiamato “Il Sekhem di Amenemhat”.

In realtà si tratta di uno dei più piccoli ivi esistenti cosa che contrasta con la durata del suo regno. La sua piramide, denominata, (forse), “Amenu-sekhem”, (Amenemhat è curato bene), secondo altri era denominata “La piramide possente di Amenemhat”, si ergeva ad est della “Piramide Rossa” di Snefru e, ironia della sorte De Morgan, che la esplorò, la denominò “mastaba bianca”., da cui  “Piramide Bianca”. Il nome è probabilmente dovuto al fatto che era completamente rivestita con blocchi di calcare bianco.

La struttura della piramide si presenta con una base “stellata”, ovvero muri di sostegno in pietra calcarea che si irradiano dal centro, e gli spazi vuoti semplicemente colmati di sabbia. Oggi è ridotta a poco più che un cumulo di macerie in quanto venne quasi completamente depredata del calcare bianco dalle vicine popolazioni locali.

Non è mai stata compiuta un’investigazione su larga scala, venne esplorata, poco più che sommariamente nel 1894-95, da Jacques De Morgan il quale dedicò la maggior parte del suo tempo agli scavi delle tombe presenti nel recinto del tempio, quella del principe Amenemhetankh e delle principesse Ita, Itaweret, Khnumit e Sithathormeret nelle quali furono rinvenuti resti del corredo funerario, fra cui sarcofagi in legno, casse per canopi e vasi di alabastro per unguenti profumati.

Nelle tombe di Ita e Khnumit furono ritrovati i reperti più preziosi, raffinati gioielli che oggi si possono ammirare nella “Sala del tesoro” del Museo Egizio del Cairo. Interessante il fatto che numerosi oggetti d’argento ritrovati non sono manufatti egizi bensì di origine egea, da ciò si deduce che nel Medio Regno esistevano contatti tra l’Egitto e paesi stranieri, con la Grecia in particolare.

L’entrata della piramide di Amenemhat II è situata sotto la cappella nord, un condotto discendente in blocchi di calcare, la cui costruzione è molto simile a quello della piramide di Neferirkare ad Abusir lungo circa 40 metri, presenta un soffitto piatto sormontato a sua volta da una capriata in lastre di calcare sovrapposte. L’ultimo tratto proseguiva in orizzontale e, dopo uno sbarramento con due lastre di granito, terminava nella camera funeraria posta in corrispondenza dall’asse verticale della piramide. La camera funeraria, il cui soffitto era costruito nello stesso modo di quello del corridoio e di quello della camera del re nella piramide di Cheope, ad eccezione delle camere di scarico,  presentava una pianta estremamente articolata, due magazzini si trovavano sulla parete sud e due sulle pareti est ed ovest, era inoltre presente un pozzo dal quale si accedeva ad una sottostruttura contenente i vasi canopi. Inserito nelle murature interne della parete occidentale un sarcofago in quarzite consistente in un vano con le dimensioni di circa 2 per 1 metri con un’altezza di 1 metro. In assenza di reperti di alcun tipo non è possibile accertare con sicurezza che Amenemhat II sia stato effettivamente sepolto nella piramide.

Purtroppo oggi il complesso si presenta quasi interamente sepolto sotto la sabbia in stato di abbandono e le uniche notizie conosciute sono quelle documentate da De Morgan. Poiché il rivestimento in calcare manca quasi completamente non è possibile stabilire l’angolo di inclinazione e di conseguenza l’altezza originale, per quanto riguarda la base si pensa che fosse di circa 50 metri. Amenemhat II si associò al trono il figlio, futuro Sesostri II, col quale condivise una breve coreggenza, l’unica certa del Medio Regno. La stele di Hapu, rinvenuta a Konosso, riporta che il 3º anno di regno di Sesostri II coincide con il 35° di Amenemhat II che pare sia anche l’ultimo del suo regno.

Fonti e bibliografia:

  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto”, Ananke, 2004
  • Manzini, Riccardo, “Complessi piramidali egizi, Necropoli di Dahshur” – Ananke, Torino 2009
  • Cimmino, Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Alessia Amenta, “I tesori del museo egizio del Cairo”, White Star, Giugno 2005
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961 (Einaudi, Torino 1997)
  • John A. Wilson, “Egitto – I Propilei”, Monaco di Baviera 1961 (Mondadori, Milano 1967)
  • Guy Rachet, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, De Agostini, Novara 1993
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LE MERAVIGLIOSE TOMBE RUPESTRI DI BENI HASAN

Di Piero Cargnino

A questo punto, visto che stiamo trattando il Medio Regno e con Sesostri I l’Egitto ha da poco raggiunto quella pace perduta per circa due secoli, facciamo un giro per vedere a cosa aveva portato lo strapotere dei nomarchi.

Primo fra tutti la caduta del dogma che il faraone fosse, in terra, l’unico tramite con gli dei del cielo e che solo a lui fosse riservata la vita eterna.

Con l’accrescere del loro potere a scapito del potere centrale, i nomarchi iniziarono ad aspirare anch’essi al raggiungimento della Duat, a tal fine si arrogarono il diritto ad una dimora eterna più degna del loro grado, pertanto le loro tombe si trasformarono sempre più da semplici mastabe a qualcosa di più bello, grande e lussuoso. Andiamo dunque a visitare la necropoli di Beni Hasan, l’antica città egizia di Menat Khufu.

Il nome della necropoli deriva da quello di una famiglia araba, Beni Hasan appunto, che a lungo dominò questa regione fra il Sette e Ottocento. La necropoli si trova a circa 20 chilometri a sud dell’attuale città di Minya, tra Asyut e Menfi e a nord dell’antica Hermopolis.

In essa sono state rinvenute diverse tombe del Medio Regno (XI e XII dinastia) oltre a circa 900 tombe risalenti alla VI dinastia. Delle tombe in essa ritrovate, circa una decina, appartengono ai nomarchi del 16° Distretto dell’Alto Egitto la cui capitale era Hebenu (l’odierna Zawyet el-Maiyitin) all’epoca della competizione con i faraoni.

Le tombe sono del tipo rupestre scavate in un dirupo roccioso che in quanto a decorazioni non temono il confronto con le sepolture reali dello stesso periodo. La concezione della tomba rupestre si rifà all’idea della tomba intesa come “dimora eterna e residenza”. Seppur limitate in quanto a dimensioni sono magistralmente strutturate e presentano stupende camere funerarie, cappelle votive e vestiboli. In genere troviamo, di fronte all’ingresso sulla parete di fondo, la nicchia votiva che conteneva la statua del defunto o una stele commemorativa. La cripta funeraria si trovava sul fondo di un pozzo che si apriva sul pavimento della sala.

Nella necropoli di Beni Hasan troviamo che in parecchie tombe si fece largo uso di colonne fino ad allora usate molto raramente in tombe private. Queste tombe si possono davvero definire eccezionali per la struttura architettonica e per le meravigliose decorazioni in esse contenute dipinte su stucco che rappresentano una grande varietà di soggetti, scene di attività agricole, di caccia e pesca, navigazione oltre a riprodurre diversi mestieri, compaiono per la prima volta anche scene di esercitazioni militari.

La bellezza delle rappresentazioni ci viene descritta da Mario Tosi nel suo libro citato in bibliografia:

<<……….l’uso del colore assume quì una nuova importanza, i colori si differenziano liberandosi da ogni schematismo. La rappresentazione di animali e piante ci offre una nuova scala cromatica ricca di sfumature armoniosamente elaborate, si riscontra un rapporto nuovo  tra l’artista e la natura stessa. Il paesaggio diventa cornice dell’azione rappresentata……….la pittura fa rivivere il colorito mondo della natura in tutte le sue manifestazioni………>>.

Tra le tombe meglio conosciute spiccano per bellezza quelle dei nomarchi Amenemhat, padre del futuro faraone Amenemhat II ed a Khnumhotep, governatore del Nomo di Oryx.

All’interno della tomba di Khnumhotep sono rappresentati gruppi di nubiani ed un gruppo di 37 asiatici guidati dal loro capo che chiede il permesso di stabilirsi in quel territorio, riscontrabile anche in una iscrizione risalente all’anno sesto del regno di Sesostri II.

A scoprire la necropoli per primo fu l’archeologo francese Edme Francois Jomard nel 1798 , le tombe vennero successivamente documentate in “Monumenti dell’Egitto e della Nubia” dalla spedizione franco-toscana del 1828 ed in seguito da Lepsius.

Una esplorazione accurata e completa avvenne solo nel 1890 a cura dell’egittologo britannico Percy Edward Newberry e Howard Carter.

Fonti e bibliografia:

John Baines e Jaromír Málek, “Cultural Atlas of Ancient Egypt”, Andromeda Oxford Limited, 2000

Gay Robins, “The Art of Ancient Egypt”, Harvard University Press, 1997

Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, trad. Paola Poggio, La Spezia, Fratelli Melita Editori, 1995

Arthur Goldschmidt, “Biographical Dictionary of Modern Egypt”, 2000 Mario Tosi, “Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, 2006

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KHEPERKARA SENUOSRET I (SESOSTRI I)

Di Piero Cargnino

Keperkara Senousret, Sesostri I, il cui nome significa “Uomo della dea Uosret”, si trovò ad assumere il potere in modo cruento in seguito alla “congiura dell’harem” nella quale venne assassinato il proprio padre Amenemhat I, sovrano regnante.

La dott.ssa Maria Cristina Guidotti, direttore del Museo Egizio di Firenze, ha trattato questo episodio in una lezione dal titolo: ”Complotti, crimini e processi nell’antico Egitto” tenuta in occasione di una conferenza organizzata dall’associazione culturale fiorentina Eumeswil. La dottoressa Guidotti ha dedicato la parte centrale del suo intervento al racconto di due complotti, mossi contro i faraoni Amenemhat I e Ramesse III, di cui abbiamo oggi testimonianza grazie al ritrovamento di particolari documenti.

Spiega la Dott.ssa Guidotti:

“……Secondo le scritture pervenuteci Amenemhat I, faraone della XII dinastia, fu assassinato nel 1962 a.C., da una congiura ordita da nobili con la complicità di alcuni personaggi di corte, in particolare all’interno dell’harem del faraone……..”.I

l mancato ritrovamento della mummia di Amenemhat I non ha permesso di accertare le effettive cause del decesso del faraone, ma in aiuto alla tesi del complotto ci vengono due documenti. Il primo è il racconto di Sinhue, del quale abbiamo già ampiamente trattato nei precedenti articoli, in esso si afferma che il futuro sovrano, Sesostri I, si trovava in missione nel deserto occidentale contro i libici.  Alla notizia dell’assassinio del proprio padre, Sesostri accorre a Menfi e prende subito il controllo della situazione.

Per farlo, secondo alcuni studiosi, non dovette incontrare problemi in quanto era formalmente faraone già da un decennio. Amenemhat I sarebbe il primo re d’Egitto ad avere nominato come coreggente il figlio per evitare ogni disputa sulla successione. Una stele rinvenuta ad Abidos, oggi al Museo del Cairo, riporta come data il 30º anno di regno di Amenemhat ed il 10° di Sesostri, prova dunque che la coreggenza ebbe inizio nel 20° anno di regno del padre.

Altri egittologi, tra cui Nicolas Grimal, dissentono da questa ipotesi ritenendo che alla morte di Amenemhat I la successione non fosse ancora perfezionata poiché è riportato che Sesostri salì al trono “non senza problemi”. A sostegno della loro tesi citano il secondo documento che ci riporta alla teoria del complotto “L’insegnamento di Amenemhat” al figlio Sesostri (anche di questo abbiamo già trattato).

Comunque sia Sesostri I salì al trono e regnò intorno al 1950 a.C. e fu uno dei più potenti faraoni della XII dinastia, godette di enorme prestigio al punto da essere annoverato fra i sovrani più meritevoli nelle liste d’epoca ramesside. Di lui scrive l’egittologo italiano Franco Cimmino:

“…..con lui l’Egitto della XII dinastia assunse una dimensione classica che rimarrà fino alla fine della storia faraonica…….”.

Dal suo matrimonio con la sorella Neferu III nacque Amenemhat II che gli succederà sul trono. Sesostri I regnò circa 43 anni (45 secondo il Canone di Torino) durante i quali perseguì la politica del padre creando, all’interno del paese, le figure del Visir per il Basso Egitto e del Visir per l’Alto Egitto ai quali i nomarchi furono sottoposti impedendo così che si ricreasse uno strapotere periferico. Respinse i nomadi libici allo scopo di garantire la sicurezza delle piste carovaniere che collegavano Abydos con l’oasi di El-Kharga mentre a sud raggiunse la seconda cateratta del Nilo, la conquista è documentata su alcune stele a Beni Assan e ad Assiut.

Fece iniziare la costruzione delle fortezze di Buhen, Aniba, Faras, Kuban e Ikkur. Ripristinò contatti mercantili con la Siria e la Palestina, assenti fin dai tempi di Pepi II, e i mercanti tornarono a spingersi fino a Ugarit. Organizzò numerose spedizioni alle cave dello Uadi Hammamat dalle quali importò grandi quantità di pietra per la costruzione di 60 sfingi e 150 statue.

Nel terzo anno di regno fece costruire l’importante tempio di Atum-Ra ad Eliopoli ed in occasione del suo Heb-Sed, il giubileo per i trent’anni di regno, fece erigere due obelischi in granito rosso uno dei quali si trova ancora ad Al-Matariyya, (Eliopoli), è alto 20 metri e pesa 121 tonnellate. Fece inoltre costruire altri numerosi templi in varie località dell’Egitto. Sempre in occasione del suo giubileo fece costruire a Karnak la “Cappella Bianca”, che contiene rilievi molto raffinati del sovrano. Di questa parleremo in seguito.

LA PIRAMIDE DI SESOSTRI I

Andiamo ora a visitare il complesso piramidale di Senousret I.

Per la sua piramide Sesostri I scelse anch’esso la necropoli di El-Lisht, la fece costruire circa 1,5 chilometri a sud di quella del padre e la chiamò “Senousret-peter-tawy” (Senousret contempla le Due Terre). Pur essendo poco più grande di quella del padre non si differenzia molto da quest’ultima.

Uno scheletro murario in pietra calcarea poggiante su una piattaforma di blocchi di pietra. Con una base di 105 metri di lato ed una pendenza di 49° 24′ doveva superare i 62 metri di altezza. Quattro pareti costituite da grandi blocchi di pietra solo sbozzati che diventano più piccoli mano a mano che si sale verso il vertice della piramide Come materiale di riempimento vennero usati detriti vari e materiale di risulta del cantiere, il tutto racchiuso dal paramento in blocchi di fine calcare bianco, oggi quasi del tutto scomparso.

Eccezionalmente in questa piramide non sono stati trovati blocchi di pietra depredati da altri complessi funerari. Questa nuova tecnica costruttiva si rivelò ben presto fallimentare presentando presto problemi di stabilità che col passare dei secoli ridusse l’edificio a quello che vediamo oggi, una montagnola di materiale litico.

Sul lato nord della piramide insisteva una cappella sotto la quale era ricavato l’ingresso alla sottostruttura, verso la parete nord della cappella era incuneata una stele di alabastro con innanzi un altare in granito. Le restanti pareti erano decorate con scene a bassorilievo policromo raffiguranti probabilmente rituali di sacrificio e processioni di divinità, oggi si trovano in pessimo stato di conservazione.

Il corridoio discendente in direzione sud-est era rivestito in calcare nel quale ancora oggi vi sono incastrati gli enormi blocchi della chiusura originaria ciascuno del peso di circa 20 tonnellate.

Tutta la parte sotterranea è sommersa dall’acqua, come nel caso della piramide di Amenemhat I, Arnold ipotizza che la camera funeraria si trovi ad una profondità di circa 24 metri. Al di sotto del corridoio discendente fu scoperto un tunnel anch’esso discendente che probabilmente era servito per il trasporto del materiale per la costruzione della sottostruttura che successivamente, ad ultimazione dei lavori fu chiuso e riempito di terra.

Una prima cerchia di mura racchiudeva la piramide, la parte occidentale del tempio funerario e la piccola piramide cultuale. Il muro reca nella parte inferiore  raffigurazioni a bassorilievo con le divinità dell’abbondanza che porgono offerte mentre nella parte superiore compare il serech con il nome del faraone, quello di Horo Ankhmesut seguito alternativamente da quello di incoronazione Kheperkare e da quello comune Senousret.

Il tempio funerario, chiamato “I luoghi (di culto di Senousret) sono uniti”, è stato completamente devastato dai saccheggiatori e cavatori di pietre come pure la piramide cultuale nelle cui camere sotterranee Arnold ipotizzò che vi si trovassero la statua del ka reale e la cassa dei canopi.

Una seconda cerchia di mura racchiude l’intero complesso con il tempio funerario e ben nove piccoli complessi piramidali, ciascuno dotato di un muro di cinta che racchiude la piramide e una o più cappelle, questi complessi si trovano, tre sul lato sud e due per ogni lato, ovest, est e nord. In un primo momento Lensing ritenne che si trattasse di semplici cenotafi. Oggi però si pensa piuttosto a tombe di regine e membri della famiglia reale, per due di questi complessi è stato possibile identificare le proprietarie che sono le regine Nofret I, figlia di Amenemhat I e moglie di Senousret I, e di Itakaiet, figlia o ulteriore moglie di Senousret I.

Per quanto riguarda Nofret il suo nome si trova iscritto in un cartiglio, privilegio fino ad allora riservato solo al faraone. Secondo alcuni egittologi si tratterebbe della regina che ordì il complotto nel quale venne ucciso Amenemhat I come pare riscontrarsi nel “Racconto di Sinhue”.

Il tempio a valle si trova sepolto sotto immensi cumuli di sabbia ai limiti del deserto, doveva trattarsi di un complesso simile a quello di Mentuhotep II, nella lontana Tebe, con al suo interno statue policrome del re stante in forma di mummia di Osiride con le braccia incrociate sul petto e la testa coronata alternativamente con le corone dell’Alto e del Basso Egitto. Alcune di queste statue ritrovate in loco si trovano oggi suddivise tra il Museo Egizio del Cairo ed il Metropolitan Museum di New York.

Prima di concludere è necessario citare l’importante scoperta fatta da Gautier nel 1884. Sotto il pavimento del cortile interno, a nord del tempio funerario, Gautier scoprì un nascondiglio nel quale si trovavano dieci statue in calcare del faraone Senousret I assiso in trono, più grandi che in natura, che oggi sono esposte al Museo Egizio del Cairo. Fra gli egittologi prevale l’idea che la statue, alcune delle quali evidentemente incompiute, fossero poste nel cortile aperto a pilastri del tempio e che siano state rimosse velocemente e nascoste dai sacerdoti all’arrivo degli Hyksos per preservarle dalla profanazione degli asiatici. Arnold invece ritiene che fossero state predisposte per la decorazione della rampa cerimoniale, sostituite poi da quelle in forma osiriaca e pietosamente riposte nel nascondiglio sotto il lastricato del cortile.

LA CAPPELLA BIANCA

Kheperkara Senuosret I, (in greco Sesostri), fu un grande sovrano, di lui abbiamo parlato in precedenza e penso che non sia necessario aggiungere molto altro. Con il suo popolo fu molto magnanimo, attuò una illuminata politica di riforme amministrative, legislative e sociali che gli guadagnarono titoli quali: “Stella che illumina il Doppio Regno” o anche “Falco che conquista alla sua potenza”. Nel racconto di Sinuhe viene definito “Maestro di saggezza i cui piani sono perfetti”. Liberò dalla schiavitù molti prigionieri di guerra e dal capestro dei debiti, tutti i sudditi dimostrandosi però risoluto e severo nel sedare ogni tentativo di ribellione per evitare il ritorno all’anarchia del Primo Periodo Intermedio appena chiuso. Dedicò templi  a tutti gli Dei, da Ra ad Ammon, da Atum a Ptha, il più superbo, di cui rimangono solo poche tracce, fu un grandioso Tempio dedicato a Ra-Haracthy. Valorizzò il Fayyum dove intraprese una vasta opera di canalizzazione e qui fondò la sua capitale, Shedet (dai Greci chiamata Coccodrillopolis) sotto la protezione di Sobek, il Dio-Coccodrillo, “Signore dei Pantani”.

Per celebrare il suo giubileo, la festa Heb-Sed per i trent’anni di regno, il faraone Senousret I fece costruire, tra l’altro, una piccola cappella a Karnak, dedicata ad Amon-Ra, la cosiddetta “Cappella Bianca” (o il “Chiosco di Senousret I”).

Si tratta di un piccolo edificio a pianta quasi quadrata di circa 7 metri per lato, un piccolo tempio periptero, interamente circondato da un portico con sedici colonne. E’ situata su un basso piedistallo accessibile tramite due rampe d’accesso contrapposte che salgono a poco più di un metro dal livello del suolo. Ciascuna rampa conduce ad un trono simboleggiante uno l’Alto Egitto e l’altro il Basso Egitto.

Poiché la cappella era parte dell’apparato cerimoniale della festa giubilare di Senousret I, dove si sarebbe dovuto ripetere la cerimonia dell’incoronazione, si pensa che ospitasse la barca solare di Amon.

Al suo interno si possono ammirare gli stupendi  rilievi, tracciati con grande precisione sui pilastri, dove si vede il faraone Senousret I, con il dio Amon e altre divinità come Min, Thoth, Ptah e Horus.

Il vestiario del faraone, come quello degli dei, presenta una raffinatezza unica nel suo genere, è rappresentato fin nei minimi particolari che ne mettono in risalto la pieghettatura, la dimostrazione di un’estrema abilità la si ammira nella trasparenza delle ali dell’ape. I geroglifici che accompagnano le rappresentazioni recano i titoli e gli epiteti del re e delle divinità che sono finemente lavorati nel rispetto degli attributi iconografici.

Sulle pareti, insieme ai magnifici geroglifici che spiegano i riti della festa Heb-Sed, è rappresentata una lista dei Nomoi dell’Egitto, cioè delle province amministrative in cui il paese era diviso fin dall’antichità.

La cappella venne poi demolita all’epoca di Amenofi III della XVIII dinastia ed i suoi blocchi utilizzati come materiale di riempimento durante i lavori di ristrutturazione del terzo pilone del tempio di Karnak. Vennero ritrovati soltanto quando si effettuarono i lavori di restauro del suddetto pilone. L’ottima condizione in cui vennero rinvenuti ha permesso la fedele ricostruzione della Cappella Bianca, avvenuta  negli anni ’30 del secolo scorso ad opera di  Henry Chevrier utilizzando i blocchi di pietra originali, cosa che gli guadagnò il titolo del “lavoro di rilievo più delicato del Regno Medio”. Al momento della sua scoperta, la Cappella Bianca era unica in quanto non era conosciuto nessun altro esempio di questo tipo di edificio, e divenne il primo monumento installato nel Museo all’aperto del tempio di Karnak a Luxor.

Fonti e bibliografia:

  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002
  • M. Cristina Guidotti, ”Complotti, crimini e processi nell’antico Egitto”, Dossier & Intelligence 2004
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Amenemhat I e Senusert I”, Torino, Ananke, 2007
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961, Einaudi, Torino 1997
  • Mark Lehner, “The Complete Pyramids”, London: Thames and Hudson Ltd. 1997 Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
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L’INSEGNAMENTO DI AMENEMHAT I AL FIGLIO SESOSTRI I

Di Piero Cargnino

Altra opera letteraria, facente parte dei cosiddetti “Testi sapienziali”, relativa al Medio Regno, XII dinastia (1950 a.C. circa.) ma, come la maggior parte dei testi, prodotta nel Nuovo Regno XVIII – XIX dinastia (1300 a.C.) è il “l’Insegnamento di Amenemhat I a suo figlio Sesostri I”. Poiché stiamo trattando quel periodo della storia egizia sarebbe un peccato non leggerlo.

Statua calcarea di Sesostri I in trono

L’opera viene attribuita allo scriba Iti ed è composta in forma autobiografica, è come se lo stesso Amenemhat I, dall’oltretomba si rivolge al figlio Sesostri I impartendogli consigli sul comportamento da tenere una volta nominato faraone, alludendo alla congiura di cui sarà egli stesso vittima.

L’opera è giunta a noi in cinque papiri, purtroppo l’unico completo, il papiro Sallier II è scorretto, quello più corretto e quasi completo è il papiro di Millingen. Esistono poi altri reperti tipo un rotolo di cuoio, però è quasi del tutto illeggibile, oltre a tre tavolette di scriba e numerosissimi ostraka del Nuovo Regno. Fra tutto si è riusciti ad estrarne una copia completa.

Il Papiro Sallier II

L’Insegnamento di Amenemhat I è un testo breve dal valore di un testamento politico, scritto secondo l’intenzione regale, con tutta probabilità dallo stesso scriba che ha scritto la “Satira dei mestieri” ed altri testi, lo scriba Kheti, che conosceva bene la storia antica, questo stando a quanto riportato nel Papiro Chester Beatty VI. Nel testo Amenemhat mette in guardia il figlio Sesostri a non fidarsi di amici e servitori in nessun caso, un chiaro esempio di prudenza forse un po eccessiva da sfociare quasi in misantropia. Infatti il re porta come esempio la sua situazione, lui, che diffondeva beneficenza a tutti, cosa ha avuto in riconoscenza? E’ stato ucciso da un complotto ordito nel suo stesso palazzo proprio da coloro che gli stavano accanto. Il re racconta appunto del complotto confessando la sua impotente ingenuità e di essere stato preso alla sprovvista non dubitando minimamente dell’attentato che si stava tramando. Secondo Gardiner, ancorché la stesura che conosciamo risalga al Nuovo Regno, si sarebbe indotti a credere che sia stato copiato da un testo più antico, forse commissionato dallo stesso Sesostri I, destinatario dell’Insegnamento, onde usarlo come strumento di deterrenza nei confronti dei suoi eventuali avversari (o rivali al trono).

Amenemhet I

<<  Inizio dell’insegnamento fatto dalla Maestà del Re dell’Alto e del Basso Egitto, Sehotepibra, figlio di Ra, Amenemete (Amenemhat), giustificato, quando parlò in un sogno rivelatore di verità a suo figlio, signore universale. Egli disse:

“Tu che sei apparso come re, dà ascolto a ciò che ti dirò, che tu sia re sulla terra e sovrano delle regioni, e tu aumenti il benessere. Diffida dei tuoi sottoposti, che non avvenga qualcosa i cui preparativi sono stati trascurati. Non avvicinarti a loro, quando sei solo, non aver fiducia in un fratello. Non conoscere un amico, non crearti degli intimi: non c’è vantaggio. Quando dormi, ti guardi il tuo stesso cuore, perché l’uomo non ha amici il giorno della disgrazia. Ho dato al bisognoso, ho fatto vivere il povero, ho fatto giungere fino a me chi non aveva niente come chi possedeva. Ma colui che mangiò i miei alimenti fece una sollevazione, colui al quale avevo dato la mano, ne ha profittato per suscitare spavento, colui che indossava i miei lini, mi guardava come se fossi un’ombra, coloro che si erano unti della mia mirra, intanto versavano acqua. La mia immaginazione era tra i viventi, la mia partecipazione era fra gli uomini, e facevano per me un ricordo non udito, un grande combattimento non visto. Ecco, si combatte sul campo di battaglia ché si dimentica lo ieri, ma non potrà andar bene a chi ignora colui che conosceva. Era dopo la cena ed era venuta la notte: mi presi un’ora di tranquillità, sdraiato sul mio letto. Ero stanco, e la mia mente cominciò a seguire il sonno. Ecco, furono fatte circolare armi; era devoto il capo (della guardia), ma altri erano come serpenti della necropoli. Mi svegliai al combattimento ed ero solo, trovai un caduto, era il capo della guardia del corpo. Se avessi preso prontamente in mano le armi, avrei potuto far indietreggiare i vigliacchi con la lancia: ma non c’è uno valoroso la notte, non c’è chi combatta solo, non avviene un’azione con successo senza un protettore. Ecco l’aggressione venne, mentre ero senza di te, prima che i cortigiani avessero udito che ti avevo lasciato in eredità (il regno), prima che avessi seduto sul trono con te, sicché potessi fare le tue decisioni. Ma non ero preparato a questo, non ne ero a conoscenza, e il mio cuore non poteva pensare la negligenza dei servitori. Forse che un harem comanda il combattimento? Forse che si introducono i banditi nell’interno della casa? Si apre forse ai ladri? I borghesi sono staccati dal loro dovere. (Eppure), da quando sono nato, la disgrazia non è venuta dietro a me, e non è esistita nessuna azione simile alla mia come valoroso. Sono andato fino a Elefantina e sono andato indietro fino nel Delta, avendo controllato le frontiere del paese, ho sorvegliato il suo interno. Mi portai ai confini della fortificazioni con il mio braccio potente e i miei prodigi. Io sono uno che creava l’orzo, che era amico di Nepri, il Nilo mi rispettava in ogni pianura. Non si aveva fame nei miei anni, non vi si aveva sete, ma si restava seduti, grazie a ciò che avevo fatto, e si parlava (con elogio) di me. Tutto ciò che ordinavo era al suo (giusto) posto. Ho domato i leoni e ho catturato i coccodrilli; ho vinto gli abitanti di Uauat e ho catturato i Megiai, ho fatto camminare gli asiatici come cani. Mi sono fatta una casa ornata d’oro, con il soffitto di lapislazzuli e le pareti d’argento, i pavimenti di legno di sicomoro, le porte di rame e i chiavistelli di bronzo. Il mio personale ha fatto i preparativi per essa. Lo so perché sono il suo signore. Certo, molti (ignari come) ragazzi sono nella strada. L’intelligente dice “Sì”, lo stolto dice “No”, poiché non lo sa, essendo senza vista, che tu eri la mia lingua, o Sesostri, figlio mio, i miei piedi mentre camminavo, che tu eri il mio proprio cuore e i miei occhi mentre guardavo, che tu fosti generato in un’ora di serenità per gli uomini, sicché ti danno lode. Ecco, ho fatto l’inizio, tu annoda la fine. Io sono approdato a quelli che sono là, e tu sei incoronato con la corona bianca del rampollo divino. I sigilli sono al loro (giusto) posto: ha cominciato per te il giubilo nella barca di Ra. Levati per la regalità che è esistita prima di me, e non per ciò che ho fatto. Sii valoroso, innalza i tuoi monumenti, abbellisci le tue costruzioni, combatti contro coloro che conosci (come cattivi), perché non li amerei accanto alla Tua Maestà” >>.

Fonti e bibliografia:

  • Edda BrescianI, “Letteratura e poesia dell’Antico Egitto”, Ed. Einaudi, Torino 2007
  • Edda Bresciani, “Testi religiosi dell’Antico Egitto”, Mondadori, Milano 2001
  • Alessandro Roccati, “Sapienza Egizia”, Brescia 1994
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Einaudi, Torino 1997
  • Sergio Donadoni, “Storia della letteratura egiziana antica”, Milano, Nuova Accademia, 1957
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Biblioteca Storica Laterza, Roma-Bari, 2011
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Amenemhat I e Senusert I”, Torino, Ananke, 2007
C'era una volta l'Egitto, Letteratura, Medio Regno

SINUHE, IL FIGLIO DEL SICOMORO

Di Piero Cargnino

Come ebbi modo di scrivere in precedenti articoli, col Medio Regno, ed in particolare con la XII dinastia, l’Egitto conobbe una notevole rinascita culturale. Nell’architettura, come nell’arte in generale, assistiamo all’emergere di nuove concezioni esecutive, un’armonia nuova nelle costruzioni  mentre la statuaria presenta una delicatezza nei tratti che denota una maturazione artistica straordinaria.

Tra le opere architettoniche più importanti del Medio Regno ricordiamo le piramidi di Sesostri II e di Amenemhat III (che tratteremo in seguito), la statuaria non rappresentava più il faraone come un essere solenne ed impassibile ma evidenziava, nei tratti del volto, un’immagine più umana e meno divina di un sovrano che si occupa del benessere del suo popolo.

La letteratura subì un notevole sviluppo quale mezzo di promozione nei confronti di un faraone più umano e generoso, guida del popolo, non più come un dio inaccessibile. Il sovrano non era più considerato come l’unico ad avere accesso alla vita eterna, prerogativa che ora veniva estesa anche alle fasce socialmente meno elevate. Oltre ai testi che ci sono giunti nei numerosi papiri, le lamentazioni, gli insegnamenti ed altri papiri sapienziali, è giunta sino a noi l’opera letteraria più importante e completa di tutta la letteratura antico egizia, “Il racconto di Sinuhe”.

L’opera si inserisce perfettamente nella cronologia del periodo che sto trattando in quanto si sviluppa proprio nella XII dinastia a cavallo tra i regni di Amenemhat I e del figlio Sesostri I.

A questo punto mi voglio permettere una parentesi ed anziché parlare di storia voglio parlare di letteratura, poiché la storia di Sinuhe si inserisce in questa epoca, purtroppo buia per l’Egitto, credo che seguirne l’evoluzione, oltre che interessante, ci può dare anche il senso del livello raggiunto nella letteratura del Medio Regno. Si tratta di un’opera autobiografica dove l’autore (ignoto) dimostra un autentico interesse alle finezze ed una padronanza del linguaggio che, pur mantenendosi nel lirismo, non disdegna qualche divagazione di humor pittoresco. Lo scriba esprime se stesso alternando e variando costruzioni sintattiche e coniando espressioni nuove e ricercate, quale ad esempio: “dare strada ai piedi”, invece del banale “andare”.

Il racconto dovette incontrare un enorme successo e la sua diffusione è dimostrata dal fatto che fu più volte copiato dagli altri scribi tanto che è giunto a noi su numerosi papiri e ostraca in scrittura ieratica. Il papiro meglio conservato è il “Papiro di Berlino 3.022” che consta di 311 righe ma purtroppo è mancante della parte iniziale.

Supplisce a questa lacuna il “Papiro di Berlino 10.499”, risalente alla fine del Medio Regno che contiene 203 righe tra cui l’intero inizio. Talmente il racconto era divenuto popolare che veniva utilizzato nelle scuole per la formazione degli scribi i quali se ne servivano per i loro esercizi su ostraca che sono pervenuti fino a noi in grande quantità.

Il più famoso è l’ostrakon che oggi si trova presso l’Ashmolean Museum di Oxford che contiene 130 righe. Quest’ultima versione si presenta con un valore filologico nettamente inferiore poiché fu redatta in epoca molto posteriore a quella in cui fu composta l’opera originale, essa risale alla XIX dinastia del Nuovo Regno.

La storia di Sinuhe venne definita dallo scrittore inglese Rudyard Kliping come una delle più grandi opere della letteratura universale e, di certo, pur non essendo molto vasta, è sicuramente l’opera di letteratura egizia, non religiosa, più elaborata e che presenta le sfumature più numerose. Questo capolavoro trascende gli altri numerosi testi letterari di questo tipo trovati nelle tombe dell’Antico Egitto. Il protagonista si presenta come un vero essere umano qualunque, con le sue paure, le sue debolezze ed incertezze e non come un mitologico eroe guerriero. L’elaborazione letteraria dell’intero racconto, confermata ed ampliata da approfondite ricerche, pare dimostrare che il testo sia scritto in versi e non in prosa, come tale, a ragione, fu considerata già dagli antichi egizi come un classico per eccellenza della loro letteratura.

Il nome di Sinuhe è stato elaborato dai filologi moderni traendolo da un geroglifico che significa “Il figlio del sicomoro”, o “Il figlio di Hator”. Il geroglifico è composto dalla rappresentazione di un’oca che precede il segno dell’albero della dea Hator al quale viene aggiunto il segno determinativo che indica che si riferisce ad un uomo.

Il racconto si colloca in quel clima di torbidi di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, la fine del regno di Amenemhat I che cade vittima di una congiura del suo stesso Harem mentre suo figlio Sesostri si trovava impegnato in una campagna militare. Sinuhe inizia il racconto con la sua presentazione:

<< ……Ero un compagno che seguiva il suo signore, un servo dell’harem reale e della principessa ereditaria, la grande favorita, la sposa reale di Sesostri nella città di Khnumsut, la figlia di Amenemhat nella città di Qaneferu, Neferu, signora di beneficio. L’anno di regno XXX, nel terzo mese della stagione dell’inondazione, il giorno sette, il dio (il re) salì al suo orizzonte (morì)…… >>.

Improvvisamente arriva la notizia che il re  Amenemhat I è stato assassinato,

<<……il re dell’Alto e Basso Egitto fu sollevato al cielo e unito con il disco solare…….il corpo divino si assorbì in colui che lo aveva creato……>>.

L’intera residenza tace, i cortigiani sono disperati ed il popolo è in lamento. Sesostri era stato inviato dal padre  Amenemhat con un esercito a combattere

<<……i paesi stranieri e punire quelli che erano tra i Tehenu…….>>.

La notizia della congiura raggiunse Sesostri mentre stava rientrando con prigionieri libici ed un ingente bottino, senza indugio <<……il falco volò…..>> mentre ancora l’esercito non sapeva nulla.   

Come abbiamo detto Sinuhe non era certo quell’eroe tipo quelli descritti dagli storici antichi, Sinuhe era un semplice cittadino del popolo al servizio del suo faraone, Amenemhat I, e la cosa lo turbò parecchio. In preda alla paura, all’incertezza, o forse in quanto, anche se indirettamente, implicato nella congiura, Sinhue teme per la sua vita, teme che il complotto nel quale è stato ucciso il faraone possa ingenerare una guerra civile e sopratutto è preso dal terrore di esserne coinvolto. Decide quindi di fuggire lontano verso la Siria, attraversa il lago Maaty e giunge all’isola di Snofru, il giorno dopo raggiunge la città del Bove. Con una zattera senza timone passa oltre la Signora della Montagna Rossa e da qui

<< …..detti strada ai miei piedi verso nord……..>>

(notare l’effetto e la finezza letteraria già menzionata, “detti strada ai miei piedi”). Sinhue arrivò fino ai “Muri del Principe” (fortificazioni per tenere lontani gli asiatici), e qui rimase fino a notte rannicchiato in un cespuglio. Dopo aver camminato tutta la notte

<<……..quando s’imbiancò la terra giunsi a Peten…….>>. Con la gola riarsa dalla sete pensò <<……questo è il gusto della morte…….>>, ma si rincuorò quando udì la <<……voce del muggito degli armenti……>> e scorse degli asiatici. Il capo tribù che era stato in Egitto lo riconobbe e lo rifocillò con acqua e latte cotto e lo trattò con grande amicizia <<……..fu bello quello che fecero per me, paese mi dette paese……..>>.

Lasciati gli asiatici riprese il suo cammino finché giunse a Biblo e raggiunse Qedem dove venne accolto da Amu-Nenesei, principe di Retenu che lo rassicurò dopo averlo riconosciuto da quanto riportato dagli egiziani che erano ivi residenti, <<…..e passai là un anno e mezzo……>>.

Sinhue racconta al principe le vicissitudini che lo hanno portato così lontano dal suo paese, la paura di quanto sarebbe successo, dopo aver appreso dell’assassinio del faraone Amenemhat I, pur ammettendo che contro di lui in Egitto non vi era nulla che gli fosse stato rimproverato, non sapeva perché si era diretto là, forse

<<…….fu il consiglio di un dio, come quando un uomo del Delta si vede a Elefantina o un uomo della palude in Nubia……..>>.

Il principe di Retenu, sbalordito si chiese come avrebbe fatto ora l’Egitto senza quel dio perfetto, (il faraone),

<<……..la paura del quale era presso i paesi stranieri come (quella) di Sekhmet in un anno di pestilenza…….>>.

Sinhue afferma che il figlio di Amenemhat, Sesostri, che succederà al padre, provvederà a punire i colpevoli del complotto e prenderà saldamente in mano le redini del paese. Sarà lui il nuovo dio

<<……..è un dio, invero, di cui non c’è l’eguale……è un signore della saggezza…….ci proteggerà ora che è entrato nel palazzo e ha ottenuto l’eredità di suo padre……>>.

E qui lo scriba si dilunga nel tessere le lodi al nuovo faraone, ne esalta le qualità in battaglia

<<…….non c’è riparo per chi gli volge la schiena…….la sua gioia è far prigionieri i barbari…….>>,

osannando il suo coraggio e la sua forza. Come sempre accade nella storia anche il nostro scriba si prodiga dilungandosi in elogi e adulazioni verso il sovrano regnante che non è solo un guerriero

<<…….ma è (anche) un signore d’amore…….la sua città lo ama più del suo dio……>>.

Sinhue consiglia al principe di Retenu di far visita al nuovo faraone

<<…….vallo a trovare, fagli conoscere il tuo nome…….non mancherà di far del bene a un paese che sarà leale verso di lui…….>>.

Allora il principe di Retenu si compiace ed invita Sinhue a fermarsi presso di lui dove troverà una nuova casa in pace e tranquillità. Sinhue viene trattato con tutti gli onori

<<…….mi mise avanti ai suoi figli e mi sposò alla sua figlia maggiore……>>.

Gli venne fatto scegliere un ricco possedimento,

<<……Iaa è il suo nome…..>> dove abbondavano ogni sorta di delizie, <<…….vi erano fichi, e uva, olio e miele abbondante e c’era più vino che acqua…….>>,

e dove era numeroso il bestiame di ogni tipo. Gli viene assegnata una tribù, una di quelle più scelte del suo paese alla quale viene messo a capo.

Passarono molti anni ed i suoi figli crebbero forti ciascuno a capo di una tribù. Quando i beduini del deserto insorsero, Sinuhe dette consigli su come condurre la guerra allora il principe Amu-Nenesei lo mise a capo dell’esercito e Sinuhe marciò

<<……..in battaglia contro beduini del deserto……>>.

Ovviamente il trattamento a lui riservato e gli onori conquistati in battaglia alimentarono le invidie,

<<……venne un forte di Retenu e mi sfidò nella mia tenda…….intendeva lottare con me e portarmi via il mio bestiame……>>.

Sinhue si confida col principe chiedendosi cosa potesse volere costui al quale lui non aveva mai fatto nulla,

<<…….è invidia perché mi vede eseguire i tuoi ordini?……. C’è forse un uomo di umile nascita che sia amato una volta divenuto un capo?……>>.

Dopo aver passato la notte a preparare le sue armi, giunse infine il mattino e con esso il suo sfidante con tutta la sua gente. Sinhue lascia che l’avversario scagli le sue frecce ed i suoi giavellotti scansandoli tutti, e quando l’altro si lancia su di lui egli lo trafigge con una freccia nel collo per poi finirlo con la sua stessa ascia,

<<…….resi grazie a Montu mentre la sua gente si lamentava sopra di lui……>>,

quindi distrugge il suo accampamento e si impossessa dei suoi averi.  

A questo punto lo scriba ci descrive lo stato d’animo di Sinhue che dopo tutti questi anni sente, più che mai, la nostalgia per il suo paese, ora che ha tutto ciò che si può desiderare, il suo pensiero vola lontano, verso l’Egitto, le Due Terre che ha lasciato.

<<……..c’era un (uomo) fuggito verso un altro paese: oggi il mio cuore è gioioso…….era fuggito un fuggiasco al suo tempo, ora si riferisce di me alla Residenza……>>, egli sa che in Egitto si parla di lui alla corte di Sesostri I. Rispolvera quello che fu e quello che invece è oggi, <<……vagava un vagabondo in preda alla fame, ora do pane al mio vicino. Un uomo lasciò nudo il suo paese, ora splendo in vesti di lino. Un uomo correva per non avere chi mandare, ora sono ricco di servitori………>>.

Apprezza tutto ciò che possiede ora, la sua casa è bella e ampia, è la sua sede, e mentre al palazzo del faraone ci si ricorda di lui, il suo cuore piange ed implora il suo dio di farlo tornare in Egitto.

<<……..O dio, chiunque tu sia, che hai predestinato questa fuga, sii clemente!………>>.

Grande è il desiderio del ritorno, dove verrà sepolto il suo corpo? In un paese straniero? Prega il suo dio, Sinhue, lo implora affinché ascolti le preghiere di colui che oggi è esiliato,

<<……..si commuova il suo cuore per colui che avevi bandito a vivere in un paese straniero…….>>.

La vecchiaia incalza ed è sopraggiunta la debolezza, Sinhue è affranto

<<……..sono pesanti i miei occhi, deboli le braccia, le mie gambe si rifiutano di servire, il mio cuore è stanco………>>.

Le lamentazioni di Sinhue giungono fino al faraone Sesostri al quale viene riferito riguardo alle sue condizioni. Sua maestà dell’Alto e Basso Egitto Kheperkara (giustificato), invia subito doni come ad un re di terre straniere ed anche i figli del sovrano fanno udire i loro messaggi. Il messaggio del faraone è un’interrogazione a Sinhue,

<<………che cos’era che tu avessi fatto sicché si dovesse agire contro di te?……>>. Qui lo scriba riporta il testo dell’ordine che il faraone Sesostri invia a Sinhue, <<………l’Horo che vive dalla nascita, ……..il re dell’Alto e Basso Egitto, Kheperkara (giustificato), il figlio di Ra, Sesostri, possa egli vivere eternamente e per sempre………ti si porta questo ordine del re per renderti edotto…….Torna in Egitto, che tu riveda la Residenza dove sei cresciuto, che tu baci la tua terra……..>>.

Il sovrano promette a Sinhue che gli verrà riservata una tomba, che si procederà all’imbalsamazione con oli e <<………bende (fatte) con le mani di Tait……..>>. Il suo corpo verrà inumato in un sarcofago, (antropoide), d’oro con la testa di lapislazzuli, si farà una grande processione ed il suo sarcofago sarà trainato da buoi e preceduto da musicisti e la sua tomba verrà eretta tra quelle dei figli del re. Sinhue non deve morire fuori dall’Egitto

<<………non morirai in paese straniero, non ti porteranno gli asiatici, non sarai posto dentro una pelle di montone, non ti si farà un tumulo………>>.

Non appena gli fu letto il messaggio Sinhue esulta incredulo che il suo sovrano e dio possa fare una cosa simile al suo servitore il cui cuore è stato sviato verso i paesi barbari. Risponde al messaggio di Sesostri invocando tutti i possibili dei dell’Egitto affinché diano al sovrano la vita e la forza e gli concedano l’eternità senza limiti. Ora lo scriba riprende una litania di elogi al sovrano che ha avuto tanta clemenza, verso la quale Sinhue trova mille spiegazioni per ciò che ha fatto,

<<……….non so cosa mi ha fatto lasciare (il mio) posto, era come uno stato di sogno……….non avevo paura, non ero stato perseguitato……….le mie membra fremettero, le mie gambe si misero a fuggire e il mio cuore a guidarmi………>>.

Altra finezza letteraria dello scriba, “le mie gambe si misero a fuggire”. Ancora un giorno nel paese di Iaa per passare tutti i suoi possedimenti ai figli lasciando in mano al maggiore la guida della sua tribù. L’indomani partì verso sud facendo sosta alle Strade di Horo, l’ufficiale di guardia mandò un messaggero al re per informarlo del ritorno di Sinuhe. Sesostri inviò subito un  <<………eccellente ispettore di contadini del dominio reale…….>>, questi portò con se navi cariche di doni del sovrano per i beduini che lo avevano accompagnato fin li.

Lasciati i beduini Sinuhe partì a vele spiegate, durante il viaggio ciascun servitore faceva il suo lavoro,

<<………si pestò e si filtrò (la birra) davanti a me finché raggiunsi la città di Itu………quando la terra s’imbiancò, di mattina prestissimo…….>>

vennero dieci uomini e lo condussero a palazzo. Sinuhe, piegato, con la fronte a terra percorse il viale delle sfingi mentre i figli del re lo aspettavano all’ingresso. I cortigiani lo condussero nelle stanze private dove il sovrano riceveva le personalità

Avvolto in uno splendido costume dorato, con accanto la sua regina (forse Neferu III), Sesostri I assiso sul trono delle Due Terre riceve Sinuhe che, si stende pancia a terra mentre davanti a lui,

<<…….trovai Sua Maestà sopra un trono tutto d’oro. io ero steso sul ventre e persi conoscenza davanti a lui benché questo dio mi salutasse affabilmente……ma io ero come un uomo preso nel crepuscolo: la mia anima mancava, il mio corpo vacillava, il mio cuore non era più nel mio petto a che potessi distinguere la vita dalla morte……>>.

Sesostri ordina ai cortigiani presenti di sollevarlo <<…….alzalo, che possa parlarmi….…>>. poi Sesostri si rivolge a lui

<<…….ecco, sei venuto. Hai calcato i paesi stranieri. Ora è calata su di te la vecchiaia, hai raggiunto la tarda età. Non tacere più. Tu non parli quando il tuo nome è pronunciato!……>>.

Sinuhe, sempre in preda alla paura di ricevere una punizione, risponde con la “risposta di uno che ha paura”:

<<……che mi dice il mio Signore? Vorrei rispondere, ma non c’è nulla che possa fare. Veramente è la mano di Dio, la paura è nel mio corpo come quella che causò la fuga predestinata……>>.

Vennero fatti condurre i figli del Re e il sovrano si rivolse alla sposa regale:

<<…….Vedi, Sinuhe è ritornato come un  asiatico nato fra i beduini…….essa lanciò un grande grido e i figli del Re lanciarono esclamazioni tutti insieme. Dissero a sua Maestà: “Non è lui davvero o sovrano mio Signore!” Ma sua Maestà disse: “E’ lui davvero!”………>>.

Segue la solita cerimoniosa elencazione dei titoli del re con l’invocazione alla “Dorata” (Hathor) affinché

<<…….discenda la corrente la corona del Sud e risalga la corrente la corona del Nord, unendosi e incontrandosi secondo il detto di Tua Maestà………>>.

Esaurite le spiegazioni Sinuhe viene quindi condotto al locale delle abluzioni per essere preparato, viene portato nell’appartamento di uno dei figli del re dove c’era <<…….una sala fresca e immagini all’orizzonte……>>. Per lui si preparano vesti di lino regale, mirra e olio fine del re. Tutti i servitori sono accanto a lui,

<<……..si cancellarono gli anni dal mio corpo………si abbandonarono al deserto i vestiti di “quelli che corrono sulla sabbia”……..>>.

Sesostri gli fa dono di una casa con giardino appartenuta in precedenza ad un cortigiano, la casa viene rimessa a nuovo e molti operai vengono impiegati per ristrutturarla, il giardino viene arricchito con nuovi alberi. Il faraone ordinò che gli fosse costruita una piramide di pietra in mezzo alle altre piramidi reali, gli fece allestire <<…….tutto l’arredo funerario che si usa porre dentro la tomba…….>>.

Tale era l’affetto che il faraone provava per Sinuhe che ordinò che gli fosse scolpita una statua e poi ricoperta d’oro. Qui il racconto si chiude

<<……..Non c’è un uomo da poco per il quale sia stato fatto altrettanto. Io stetti sotto il favore del re finché venne il giorno del trapasso. E’ venuto (a compimento) dall’inizio alla fine, come è stato trovato in scrittura…….>>.

Per coloro che avessero letto il romanzo “Sinuhe l’egiziano”, di Mika Waltari, scritto nel 1950, vorrei segnalare che trattasi di un romanzo del genere di fantarcheologia, nonostante vada riconosciuto all’autore una smagliante fantasia ed una precisa conoscenza storica con la quale fa rivivere il fantastico mondo dei faraoni. Va però precisato che il romanzo, come il film che è stato tratto nel 1954, magistralmente interpretato da bravissimi attori è stato ambientato all’epoca dei faraoni Akhenaton e Horemheb della XVIII dinastia, (1330 a.C. circa). Il racconto originale invece, come già detto, si colloca all’epoca dei faraoni Amenemhat I e Sesostri I della XII dinastia, (1950 a.C. circa), ben sei secoli prima.

Spero di non avervi tediato rispolverando il “Racconto di Sinuhe ma l’opera è talmente significativa per il periodo considerato da potersi definire un’eccellenza di letteratura

Fonti e bibliografia:

  • E. Bresciani, “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”, Torino II ed., 1990
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961, Einaudi, Torino 1997
  • Bams John W. B., “The Ashmolean Ostracon of Sinuhe”, Griffith Institute, Ashmolean Museum, Oxford, 1968
  • Sergio Donadoni, “Storia della letteratura egiziana antica”, Milano, Nuova Accademia, 1957
  • Naguib Mahfouz, “Il ritorno di Sinuhe”, (tradotto da Robert Stock), Random House, 2003 Mika Waltari, “Sinuhe l’egiziano”, (Romanzo), BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 1997
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno, XII Dinastia

IL FARAONE AMENEMHAT I

Di Piero Cargnino

Secondo molti studiosi è solo con Amenemhat I che ha inizio la XII dinastia e con essa si può dire che inizi il vero Medio Regno.

Le azioni intraprese dai sovrani della XI dinastia hanno ricostruito un Egitto unito ed in pace. Alla morte di Mentuhotep IV a succedergli al trono sale Amenemhat I, forse lo stesso che aveva ricoperto la carica di visir al suo servizio e che, probabilmente, fu anche adottato dallo stesso.

Senza alcuna particolare legittimazione ne rivendicazione da parte di altri possibili eredi, Amenemhat sale al trono inaugurando la XII dinastia che viene anche sottolineata dal Canone Reale di Torino riportando alla riga 5.19 :… ẖnw it t3.wy”, (Re), della residenza di Ity Tawy” (Ity Tawy si trova nel Fayyum e divenne la nuova capitale del regno di Amenemhat, il Canone elenca inoltre tutti i faraoni della XII dinastia.

Con l’avvento della XII dinastia assistiamo ad un rilancio dell’economia messa a dura prova dalla carestia nonché dalla lunga crisi politica. Amenemhat mise subito in mostra la sua ferrea volontà di mantenere un Egitto unito ed in pace per evitare di tornare ai tempi in cui ciascun nomarca si comportava a suo piacere. Subito si mostrò drastico sia nella famiglia reale che nel governo, per dare un segnale forte di rottura con il passato. 

Per confermare che i tempi erano mutati, come detto sopra, spostò la capitale da Tebe a Ity Tawy, (“Dominatrice delle Due Terre”) odierna El-Lisht, nel Fayyum, appena a sud di Memphis. Il suo regno caratterizzò a tal punto la XII dinastia che possiamo senz’altro definirla la più stabile che abbia mai governato l’antico Egitto.

Sette generazioni della stessa famiglia si succedettero con otto sovrani che regnarono complessivamente per quasi 180 anni, dal 1940 al 1760 a.C. circa controllando fermamente il destino delle Due Terre.  Dovendo provvedere a risolvere una situazione così critica dell’economia, i faraoni della XII dinastia si impegnarono per dare un rilancio al paese, vennero intraprese grandi opere di bonifica, particolarmente nella zona del Fayyum, ampi territori vennero utilizzati per ampliare le terre coltivate mediante la costruzione di nuove dighe e canali che permettessero un miglior controllo delle piene del Nilo.

Vengono rilanciati gli scambi commerciali, sia all’interno del paese che con i paesi delle aree vicine. Dal punto di vista militare si provvide alla riconquista dell’alta Nubia e della zona che porta al Mar Rosso onde permettere una maggiore protezione delle piste carovaniere dirette al paese di Punt e, verso nord, per garantirsi l’accesso al Sinai da dove provenivano le materie prime per l’artigianato. Amenemhat I, ed i suoi successori, provvidero anche ad abbellire ed a valorizzazione il territorio costruendo palazzi e sfarzose residenze senza trascurare la protezione dei confini che vennero difesi costruendo fortezze  e torri di avvistamento nei luoghi più a rischio. In quell’epoca assistiamo ad una fioritura della letteratura ed ancor oggi possiamo apprezzare le grandi opere classiche che in quel tempo furono composte.

Di particolare rilevanza è il testo risalente al regno di Amenemhat I, dai “Papiri Sapienziali”:

<< L’insegnamento di Amenemhat per il figlio Sesostri >>.

Il breve testo ha forma di testamento politico, è l’Insegnamento di un re al figlio e successore. Il testo è ovviamente postumo, in quanto Amenemhat I, cadde vittima di un attentato tramato in seno all’Harem nel suo stesso palazzo approfittando del fatto che suo figlio Sesostri si trovava impegnato in una campagna militare contro le popolazioni libiche, cosa che fa pensare che all’interno stesso della famiglia reale ci siano stati oppositori alla stabilizzazione della nuova dinastia.

Nell’Insegnamento infatti Amenemhat I raccomanda al figlio diffidenza verso gli inferiori e gli amici:

<<…….Non c’è un (uomo) valoroso di notte, non c’è chi combatta solo……>>.

Dalle raccomandazioni che il sovrano fa al figlio emerge un diffuso pessimismo e una sorta di misantropia:

<< …….Figlio mio diffida dei tuoi sottoposti……. non aver fiducia in un fratello, non conoscere un amico, non crearti degli intimi….…, l’uomo non ha amici nel giorno della disgrazia……. >>.

L’egittologo Alan Gardiner avanza l’ipotesi, che l’Insegnamento originariamente fosse stato inciso nel tempio funerario di Amenemhat I a Lisht; si spiegherebbe così perché il re, ucciso nell’attentato, parli in prima persona. Il testo si conclude con la dimostrazione dell’affetto del sovrano verso il figlio cui lascerà il regno:

<< ……mentre i miei piedi sono in cammino, tu sei nel mio cuore, i miei occhi ti guardano, figlio nato dalla gioia, mentre il popolo ti acclama………ho costruito il passato e disposto il futuro, ti ho dato ciò che contiene il mio cuore. Tu porti la bianca corona del figlio di un dio…….>>.

A questo punto pare logico credere che il finale del testo sia stato fatto comporre dal figlio e successore Sesostri I, dopo la morte del padre, al fine di usarlo come strumento di propaganda contro gli avversari, (o i suoi rivali al trono). Tornando al periodo in cui regnò Amenemhat I, l’influenza egizia si estese dal Mar Egeo all’Anatolia fino al cuore della Nubia.

Nel 20° anno di regno associò al trono suo figlio Sesostri, (Senwosret), come coreggente istituendo così una pratica che diventerà la regola per l’intera dinastia ed anche oltre. La politica estera di Amenemhat I si indirizzò nelle tre direzioni tradizionali, verso la Nubia dove portò il confine fino alla seconda cateratta, verso la Libia e verso il Sinai. Con lo spostamento della capitale Amenemhat I abbandonò anche la sua tomba rupestre che rimase incompiuta. Scelse di far costruire il suo nuovo complesso piramidale presso le mura della nuova capitale e ad esso assegnò il nome di “I luoghi (di culto) dello splendore di AmenemhatI”.

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Fonti e bibliografia:

  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche”, Bompiani, Milano 2003
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, Oxford University Press 1961, Einaudi, Torino 1997 
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Elio Moschetti, Mario Tosi, “Amenemhat I e Senuseret I”, Torino, Ananke, 2007
  • Miriam Lichtheim, “Letteratura egiziana antica”, University of California Press, 1980 
  • Adolf Erman, “Gli antichi egizi: un libro delle fonti dei loro scritti”, Harper & Row, 1966
  • Florence Maruéjol, “L’amore al tempo dei faraoni”, Gremese, 2012
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi”, Newton & Compton editori, 1997
  • Mark Lehner, “The Complete Pyramids”, London: Thames and Hudson Ltd. 1997 Riccardo Manzini, “Complessi Piramidali Egizi – Abu Roash, El-Lisht, Mazguneh”, Ananke, 2011
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

MENTUHOTEP IV (HORO NEBTAWY)

Di Piero Cargnino

Non abbiamo la certezza assoluta che Mentuhotep IV fosse figlio di Mentuhotep III; il suo nome non compare nella lista di Abydos e neppure nel Canone Reale di Torino, dove però si trova un vuoto di sette anni che completa la lunghezza della XI dinastia; lo troviamo solo nella Sala degli Antenati di Thutmose III.

Rilievo di Lepsius di Montuhotep IV davanti al dio Min

Nulla lo prova, ma alcuni studiosi sono propensi a credere che il suo regno sia frutto di usurpazione. L’ascesa al trono di Mentuhotep IV Nebtawy si presenta molto complessa e poco chiara. Sappiamo che nella Nubia occupata dagli egizi si alternarono praticamente in contemporanea almeno tre personaggi con pretese di successione e che tutti e tre adottarono la titolatura regale completa.

Già nel secondo anno di regno Mentuhotep IV ordinò una spedizione alle cave dello Wadi Hammamat per procurarsi arenaria ed a guidarla pose il suo visir Amenemhat (che si presume sia colui che gli succederà sul trono inaugurando così la XII dinastia). Nelle iscrizioni rinvenute nello Wadi, di cui abbiamo già parlato a proposito di Mentuhotep III, viene citato come “Figlio di Imi”, questo, secondo alcuni significherebbe che sia stato il figlio di una sposa secondaria di Mentuhotep III, Imi appunto.

Pare sia stato lui a far costruire la fortezza di El-Gezira, tra la prima e la seconda cateratta, per proteggere la pista carovaniera che portava alle miniere d’oro di Berenice Pancrisia. Altre iscrizioni in cui appare il nome di Mentuhotep IV sono state rinvenute nello Wadi el-Hudi mentre un’altra iscrizione rilevante è stata trovata ad Ain Sukhna, entrambe le località erano porti dove sostavano le navi dirette in Sinai.

Curioso il fatto che su di un frammento di ciotola di ardesia rinvenuta a Lisht North comparissero i titoli ufficiali di Mentuhotep IV iscritti all’esterno mentre all’interno comparivano quelli di Amenemhat I, suo successore. L’egittologa tedesca Dorothea Arnold, specializzata nella ceramica egizia, esaminando lo stile di scrittura dei due nomi notò che era diverso, da ciò dedusse che il nome di Amenemhat sia stato aggiunto su di un vaso precedente che già recava il nome di Mentuhotep IV. Secondo l’egittologo austriaco Peter Janosi quello sulla ciotola non sarebbe il nome di Mentuhotep IV, il titolo che compare si adatterebbe di più a quello di Mentuhotep II. Infine Mentuhotep IV esce di scena, non si sa se a causa del fatto che Amenemhat abbia usurpato il trono o semplicemente per la sua morte in seguito alla quale, in assenza di figli, Amenemhat abbia assunto il potere.

Siamo così giunti alla fine della XI dinastia che se un merito può vantare è quello di aver riunificato l’Egitto sotto un unico sovrano. Di Mentuhotep IV si perde ogni traccia, il suo luogo di sepoltura e di conseguenza la sua mummia non sono mai stati ritrovati. Con Amenemhat I ha così inizio la XII dinastia.

Fonti e bibliografia:

  • Alfredo e Angelo Castiglioni, “Nubia. Magica terra millenaria”, Giunti, 2006
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999 Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, Istituto Geografico De Agostini, 1993
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

SANKHKARE MENTUHOTEP III 

(HORO SANKTAUEF)

Di Piero Cargnino

Alla morte di Mentuhotep II sale al trono il figlio Mentuhotep III, figlio della “Grande Sposa Reale” Tem la quale si fregiava del titolo di “Madre del doppio Re”. Dopo il lungo regno del padre (51 anni) si ritiene che il nuovo sovrano si trovasse già in età avanzata e che il suo regno sia durato circa 12 anni (sei o sette secondo alcuni) durante i quali la vita tornò a svolgersi pacificamente nel rispetto della Maat. Cambiò due volte il suo praenomen, dapprima si chiamò Sankhkare e, successivamente Nebtawyre  “Colui che abbellisce l’Anima di Ra”.

Sono poche le notizie che conosciamo del suo breve regno, tra queste si sa che fece riaprire la pista carovaniera diretta al Mar Rosso e promosse la ripresa dei commerci con la terra di Punt, località presumibilmente situata sulle sponde somale di cui non si conosce l’esatta localizzazione. Iscrizioni rinvenute nello Wadi Hammamat citano la fine della guerra con Hieracleopolis e la riunificazione delle Due Terre grazie a questo faraone.

Confermano inoltre che Mentuhotep III, intorno all’ottavo anno di regno, disponendo ora anche della forza degli uomini del Delta, inviò verso la terra di Punt una spedizione composta da 3000 uomini forti agli ordini dell’amministratore Henenu. La spedizione partita da Coptos diretta verso il Mar Rosso durante il tragitto scavò 12 pozzi per favorire eventuali altre spedizioni e, soprattutto debellò la regione dai ribelli che la infestavano. Giunsero fino a Punt dove fecero provvista di incenso, gomme e profumi, al ritorno fecero tappa nello Wadi Hammamat per estrarre e trasportare il blocco per il sarcofago del sovrano.

Lo Uadi assunse in seguito grande importanza sia per le numerose cave presenti che per le sue miniere, gli egizi lo chiamarono “Valle di Rohanu” e costituì una delle principali vie verso il Mar Rosso e la mitica terra di Punt.

La composizione della sua famiglia costituisce per lo più un mistero, si ritiene, pur senza averne la certezza, che sia stato il padre del suo successore Mentuhotep IV. Su questo c’è ancora oggetto di dibattito;  si sa che la madre di Mentuhotep IV fu la regina Imi, quello che non si sa con certezza e se la regina Imi sia stata una moglie dell’harem di Mentuhotep III.

Nonostante la breve durata del suo regno fu promotore di diversi progetti di costruzione tra i quali il suo tempio a Deir el-Bahari nei pressi di quello di suo padre, che però non fu mai completato. Sankhkare Mentuhotep III fece erigere anche un tempio a Thoth Hill dedicato al dio Montu-Ra, il tempio, in mattoni di fango, fu costruito su un più antico tempio arcaico. Le rovine del tempio furono scoperte solo nel 1904 da George Sweinfurth. In seguito ci lavorò Petrie nel 1909 ma solo per pochi giorni. Tra il 1995 e il 1998 si interessò al sito, in modo sistematico, una spedizione ungherese guidata da Gyozo Voros per l’Università Eotvos Lorand di Budapest.

Il tempio arcaico, sottostante quello di Mentuhotep III,  potrebbe risalire al 3000 a.C. circa e sarebbe il più antico tempio costruito sulla riva occidentale del Nilo a Luxor, questo era sconosciuto già prima degli scavi di Voros. La collina dove sorgono i templi è circondata da burroni desertici e l’antico percorso che porta al tempio è difficile da salire.

Per quanto riguarda il suo complesso funerario non è stato trovato alcun riferimento. Da alcune iscrizioni parrebbe che Mentuhotep III sia stato sepolto in una camera scavata nella roccia. Suscita un notevole interesse una raffigurazione nello Wadi Hammamat dove Mentuhotep III è rappresentato nell’atto di offrire bevande al dio itifallico Min di Coptos. La didascalia racconta che un giorno, in presenza del sovrano, una gazzella con il suo cucciolo si fermò improvvisamente di fronte ad una grande roccia e la osservò con notevole interesse. Mentuhotep III interpretò il fatto come un segno divino, ordinò dunque che da quella roccia, indicata dalla gazzella, venisse scolpito il suo sarcofago.

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Sergio Donadoni, “Le grandi scoperte dell’archeologia”, Istituto Geografico De Agostini, 1993
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012 Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002
C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

IL FANTASMA DI NEBUSEMEKH

Di Piero Cargnino

In ogni cultura, sotto diversi aspetti, l’uomo è sempre stato attratto dalle storie di fantasmi e spiriti. L’origine di queste storie si perde nella notte dei tempi ed a queste non erano esenti neppure gli antichi egizi.

Dopo aver riunito vari frammenti di ostrakon, oggi conservati in diversi musei sparsi per l’Europa, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Louvre di Parigi, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze con l’ultimo frammento, ritrovato nel 1905 a Deir el-Medina da Ernesto Schiaparelli e conservato al Museo Egizio di Torino, è stato possibile ricostruire, almeno in parte, questa ghost story di oltre 3000 anni fa.

Si racconta che un giorno un uomo si recò dal Sommo Sacerdote di Amon, Khonsuemheb a el-Karnak, e gli raccontò che, avendo trascorso la notte accanto ad una tomba nella Necropoli di Tebe nella Valle dei Re, mentre dormiva  fu svegliato e tormentato da uno spirito che gli chiedeva aiuto. Il Sacerdote riuscì ad evocare lo spirito che si presentò come Nebusemekh, (o Niutbusemekh), figlio di Ankhmen e Tamshas. Spiegò che era morto 800 anni prima e che in vita era stato un ufficiale militare sotto il faraone Rahotep, nonché sovrintendente dei tesori reali. Nel corso dei secoli però la sua tomba era crollata ed ora lui era condannato a vagabondare irrequieto nell’Aldilà. Il testo narra inoltre che Khonsuemheb promette allo spirito di rendergli giustizia e di aiutarlo a trovare la pace. Lo spirito però rimane scettico al riguardo perché il Sommo Sacerdote non è il primo a promettergli tale pace.

A questo punto della storia sorgono alcuni  problemi di traduzione ma tutto lascia supporre che lo spirito non trovi pace e sia irrequieto perché la sua tomba non è più stata ritrovata e quindi più nessuno è andato a portargli offerte e ad onorarlo. Khonsuemheb si offre allora di costruirgli una nuova tomba e di fornire allo spirito una bara dorata con ziziphus, una pianta che cresce sotto forma di cespuglio o albero spinoso, un tentativo per placare la sua irrequietezza e renderlo pacifico. Finita la tomba, il Sacerdote manda dieci dei suoi servitori a fare offerte quotidiane nella nuova tomba. Il fantasma però si lamenta che quest’ultima idea non è di alcuna utilità in quanto quella non è la sua vera tomba.

Khonsuemheb, sconfortato si siede accanto al fantasma, piangendo e volendo condividere lo sfortunato destino dello spettro, invia quindi tre uomini a cercare la tomba. E la storia purtroppo si ferma qui, non sono stati, per ora, ritrovati altri ostrakon che ci rivelino il finale.

Secondo alcuni si può supporre che la tomba del fantasma possa trovarsi  vicino a quella del faraone Montuhotep II, a Deir el-Bahri, sulla sponda occidentale del Nilo, proprio di fronte alla città di Luxor. Infatti l’epoca nella quale Nebusemekh, il fantasma, dice di essere morto, cade proprio nell’estate del XIV anno di regno del faraone Montuhotep II. Si presume quindi che, ritrovata e restaurata la tomba,  Khonsuemheb lo abbia comunicato allo spirito il quale finalmente poté godersi il meritato riposo eterno.

Questa è certamente una storia dell’Antico Egitto come è solamente un’ipotesi il finale scritto migliaia di anni fa. Storica invece è la figura del Sommo Sacerdote, la cui tomba, molto ben conservata, è stata scoperta nel 2014 da una missione giapponese della Waseda University, proprio nella necropoli tebana. L’egittologa inglese Rosalie David spiega che gli antichi Egizi credevano che la personalità umana avesse molte sfaccettature, un concetto probabilmente sviluppato all’inizio del Vecchio Regno. Nell’esistenza terrena, una persona era un’entità completa e, se avesse condotto una vita virtuosa, avrebbe potuto anche accedere a una molteplicità di forme nell’altro mondo ma solo se veniva ricordato in questo. In alcuni casi, queste forme potevano essere utilizzate per aiutare coloro che il defunto desiderava sostenere o, in alternativa, per vendicarsi dei suoi nemici.

Fonte: Web, Archaeus, Storia e antropologia sul fenomeno dei fantasmi

C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

MENTUHOTEP II (HORO SAMTAWY)

Di Piero Cargnino

Il Medio Regno nel quale Manetone fa confluire due dinastie, la XI e la XII, in realtà ha inizio solo alla fine della XI dinastia con la riunificazione dell’Egitto ad opera di Mentuhotep II, figlio di Antef III, che regnò dal 2061 al 2010 a.C. circa. L’XI dinastia inizia nel Primo Periodo Intermedio o, meglio, in quella fase in cui si fa più aspra la rivalità fra Tebe ed Eracleopoli. I tre Antef che precedono Mentuhotep II hanno gettato le basi e preparato la strada al loro successore.

Sono molti gli studiosi che considerano la nascita del Medio Regno con l’avvento di Mentuhotep II. A Tebe ora è lui a regnare, con lui ha inizio una lunga lotta per sottomettere i governatori della regione del Delta, lotta che durerà fino al suo 40° anno di regno e terminerà con la riunificazione delle Due Terre sotto un unico sovrano.

A lungo si è dibattuto su quale fosse la corretta identità di questo faraone a causa del fatto che per ben tre volte cambiò il suo nome. In un primo momento, senza però adottare il titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, assunse il nome di Horo Seankhibtawy. Poi, dopo aver represso una rivolta nei distretti tiniti nel 14° anno di regno, lo cambiò in Netjerihedjet per cambiarlo nuovamente in Samatatwi.

Con l’avvenuta riunificazione dell’Egitto e la sua incoronazione mutò ancora il suo nome in Horo Nebhepetre.

Mentuhotep II fissa la sua residenza a Tebe, la “Città dalle 100 porte”, (Pi-Amon, o Wast, o Niwt per gli egiziani), dove la divinità più importante era Montu, dio della guerra, ma pure un’altra divinità fino ad allora poco conosciuta che diverrà di gran lunga la più famosa, Amon.

Gli anni bui del Primo Periodo Intermedio hanno stravolto l’antica concezione religiosa secondo la quale solo al faraone è riservata l’oltretomba, l’immortalità è adesso raggiungibile da tutti. Mentuhotep II si dedicò alla riorganizzazione dell’amministrazione statale con l’obiettivo primario di indebolire il potere dei nomarchi locali ed il conseguente rafforzamento del potere centrale. L’Egitto era stremato dal lungo periodo passato e richiedeva riforme urgenti per risollevarsi.

Mentuhotep II favorì la nascita di un ceto commerciale e riaprì le cave di pietra di Assuan, dello Uadi Hammamat e di Hatnub. A Tebe fece giungere alti funzionari ed artisti specializzati, in gran parte da Menfi, e presto si giunse ad una rinnovata concezione artistica in cui la letteratura godette di un momento di particolare fioritura. Nascono nuovi generi letterari e la lingua raggiunge la massima purezza ed eleganza. L’egiziano che studiamo ancora oggi è quello scritto e parlato nel Medio Regno, la lingua classica per eccellenza.

Mentuhotep II si dedicò anche alla politica estera provvedendo alla difesa della regione del Delta del Nilo rendendone sicuri i confini orientali ed occidentali. Scese in Nubia, che nel frattempo si era proclamata indipendente e la riconquistò. Sempre a sud Mentuhotep II iniziò l’espansione dell’Egitto superando la prima cateratta per garantirsi lo sfruttamento delle miniere d’oro della Nubia e quelle di Berenice Pancrisia oltre al controllo dell’oasi di Kurkuk.

Dopo molto tempo finalmente ripresero nuovamente le spedizioni commerciali a sud verso Punt, anche grazie alla riapertura della pista commerciale che da Coptos conduce al Mar Rosso. Altre spedizioni si diressero a nord, verso il Libano per procurare legno di cedro. Documenti giunti fino a noi parlano di campagne militari di Mentuhotep II contro le tribù nomadi libiche, i Temehu e i Tenehu e contro gli Amu della Terra di Djahi, i  Setjetiu e i Mentju, popolazioni nomadi della penisola del Sinai.

Tra le mogli del sovrano ricordiamo la regina Tem ma poi sposò anche Neferu, forse una sorella. Mentuhotep II scelse per erigere la sua tomba un pendio roccioso, sulla riva occidentale del Nilo, vicino all’odierna Deir el-Bahari.

Il suo complesso funerario, che egli chiamò “I luoghi (di culto) di Mentuhotep risplendono”, esce da tutti gli schemi precedenti. Gli egittologi concordano solo su un punto, il complesso unisce in se sia elementi delle “tombe-saff, (sepolcri la cui facciata è costituita da file, (saff in arabo), di pilastri), sia elementi dei complessi piramidali.

Henri Edouard Naville e Henry Hall indagarono il complesso per quattro anni, dal 1903 al 1907, Il Metyropolitan Museum di New York incaricò Herbert Winlock di effettuare degli scavi che si protrassero dal 1911 al 1931 ma, come i precedenti, non vennero mai completati. Bisognerà aspettare il 1968, quando il gruppo dell’Istituto archeologico tedesco del Cairo, sotto la guida di Stefan Arnold,  riprenda gli scavi.

Il complesso funerario di Mentuhotep II consisteva in un tempio a valle, i cui resti si trovano oggi sotto i campi sul bordo della valle del Nilo, una lunga rampa cerimoniale e la struttura a terrazze sovrapposte del tempio funerario, la cui parte occidentale è direttamente ricavata nella roccia. La rampa, scoperta, era costeggiata ad intervalli regolari, da statue del sovrano in forma osiriaca. Il tempio funerario si stagliava, coi suoi pilastri di calcare, sullo sfondo della parete rocciosa piena di crepacci, mentre una larga rampa dava accesso al tempio. La rampa si presentava contornata sui due lati da un bosco con file di sicomori e tamerici piantati artificialmente.

Il suo complesso sepolcrale, da lui chiamato “I luoghi (di culto) di  Mentuhotep risplendono”, per il periodo rappresenta un’innovazione in quanto consiste in uno dei primi esempi di architettura del Medio Regno a Tebe ovest di fronte al Grande tempio di Amon di Deir el-Bahari. La falesia tebana ne costituisce lo sfondo del complesso così come per altri templi tra i quali spicca quello della regina Hatshepsut. Ho detto che costituisce un’innovazione in quanto il tempio di Mentuhotep II è il primo caso di transizione dal classico complesso piramidale dell’Antico Regno a quello che sarà il “Tempio di Milioni di Anni” con tomba ipogea del Nuovo Regno.

In questo caso si tratta dell’unione della caratteristica tomba a “Saff” con la mastaba sormontato il tutto dal tumulo primordiale della II dinastia. Scoperto da Lord Frederik Dufferin nel corso di molte missioni svoltesi tra il 1859 ed il 1869 il quale però lo attribuì ad una necropoli. Fu Howard Carter a scoprire il cenotafio nel 1899 ed a pubblicarne il resoconto nel 1901. A differenza di quello di Hatshepsut, abbastanza simile ma di dimensioni più ridotte si trova in cattive condizioni.

Ora andiamo a visitare l’intero complesso cercando di capire come è composto. Secondo l’egittologo Herbert Winlok il complesso a terrazze venne eretto in tre fasi, mentre secondo Arnold in quattro: a) l tempio a valle, di cui oggi non rimane nulla poiché si trova sepolto sotto i campi, b) la rampa cerimoniale scoperta e costeggiata da statue del sovrano in forma osiriaca e c) il tempio vero e proprio formato da terrazze sovrapposte e da una camera funeraria sotterranea.

La facciata orientale del terrazzamento inferiore, con la cosiddetta “Aula a pilastri inferiore”, era costituita da un portico con due file di pilastri diviso a metà dalla rampa di accesso al primo terrazzamento le cui pareti erano decorate con scene di battaglia a rilievo. Una rampa, molto ampia, contornata sui due lati con file di sicomori e tamerici, dava accesso alla prima terrazza e quindi al tempio vero e proprio.

La terrazza si componeva di tre parti, il nucleo centrale in argilla indurita stava a rappresentare il colle primigenio formato da un corpo murario cubico. Intorno, sui quattro lati, si trovava un ambulacro colonnato a sua volta delimitato sui lati nord, sud ed est da un portico a pilastri, la cosiddetta “Aula a pilastri superiore”, costituita da due file di pilastri in calcare. La parte anteriore dei pilastri era interamente ricoperta da bassorilievi che rappresentavano il sovrano con delle divinità e numerose iscrizioni.

All’ambulacro colonnato si accedeva dall’ala orientale dell’aula in corrispondenza dell’asse principale del complesso. L’ambulacro era sostenuto da centoquaranta colonne ottagonali che si ergevano su tre file, ad ovest solo su due. Una scarsa illuminazione proveniva solo dai lucernari presenti nel muro esterno.

Sul lato occidentale della terrazza centrale, dietro agli edifici principali, sono state rinvenute sei tombe a pozzo scavate nel fondo roccioso, sormontate da cappelle costruite con blocchi di calcare con false porte e statue cultuali. Si tratta delle tombe delle regine e principesse della famiglia di Mentuhotep II, Aashait, Henhenet, Kawit, Kemsit, Sadeh e Mayet. Le indagini portano a presumere che siano morte più o meno nello stesso periodo forse per una disgrazia o una epidemia.

Aashait, dalla cui carnagione marrone si deduce che fosse nubiana, il cui rango era palesato sul suo sarcofago dorato, vantava tra gli altri il titolo di “Amata Sposa del Re”, lei e altre tre delle sei donne furono regine e la maggior parte di loro, secondo Arnold, sarebbero tutte appartenenti alla categoria delle “Sacerdotesse di Hathor”, dea protettrice della necropoli tebana. Callender invece pensa abbiano fatto parte dell’Harem di Mentuhotep II in qualità di garanti delle alleanze che il sovrano si sforzava di mantenere per rendere stabile la situazione politica e mantenere unito il paese. Il sarcofago in calcare di Aashait è un manufatto di notevole pregio.

All’interno il corpo della regina giaceva in un sarcofago di legno mentre dalla tomba proviene anche una statua lignea della regina, il tutto è conservato al Museo Egizio del Cairo. Dalla tomba di un’altra moglie, Kawit, fu rinvenuto un sarcofago in calcare con stupendi rilievi, anch’esso oggi si può ammirare al Museo Egizio del Cairo.

In un secondo tempo il complesso di Mentuhotep II venne ampliato verso ovest, al livello della terrazza centrale, formando il cortile colonnato aperto, la sala ipostila, formata da ottantadue colonne ottagonali ed il tempio rupestre, (speos). Lo Speos si trovava nella parte più occidentale del complesso ed era formato da un ambiente stretto e lungo con il soffitto a volta in blocchi di calcare ed il pavimento in arenaria.

Qui fu scoperta una statua del dio Amon assiso ed altri strumenti per il culto delle varie divinità, Amon, Month, Osiride e Hathor. Nella terza parte scenderemo nell’ipogeo ed esamineremo le varie supposizioni avanzate dagli egittologi sia sulla forma che sul significato, soprattutto religioso, del monumento funerario di Mentuhotep II

Proseguiamo nell’esplorazione del tempio funerario di Mentuhotep II e andiamo a visitare l’ipogeo. Superato l’ingresso un corridoio discendente, con soffitto a volta,, lungo alcune dozzine di metri, conduce alla camera funeraria. Indagato da Naville nel 1906 poi da Arnold nel 1971 il corridoio presenta numerose nicchie sulle pareti laterali dove erano collocate seicento figure in legno che riproducono modelli di botteghe, panifici ed imbarcazioni che appartenevano al corredo funerario.

La camera funeraria è costruita in granito con il soffitto a doppio spiovente. Gran parte della camera era occupato da una cappella in alabastro il cui accesso avveniva da una porta di legno a doppio battente. L’assenza di un sarcofago al suo interno venne interpretata da Naville come trattarsi di una camera simbolica per il Ka reale. Arnold arrivò ad una diversa conclusione rifacendosi ad un’altra scoperta curiosa.

Nel 1899, Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, stava facendo una cavalcata nella parte anteriore del cortile del complesso di Mentuhotep II quando all’improvviso il cavallo inciampò in qualcosa, sceso per controllare che il cavallo non si fosse ferito, Carter fece una straordinaria scoperta, davanti a lui si presentò un ingresso che accedeva al sottosuolo. In seguito a quell’episodio gli arabi lo chiamarono poi, “Bab el-hussan”, (Porta del cavallo).

Dapprima si presentava come un fossato a cielo aperto poi continuava in un corridoio in mattoni crudi con il soffitto a volta. Carter si inoltro all’interno e, ad una profondità di circa 17 metri scoprì una porta sigillata da un muro di mattoni largo 4 metri. Alle spalle dello sbarramento il passaggio continuava per un tratto verso ovest per poi piegare a nord nella parte terminale. Nel punto in cui il passaggio svoltava Carter scoprì un pozzo profondo circa 2 metri con sul fondo i resti di una cassa di legno sulla quale era riportato il nome di Mentuhotep. Il corridoio continua fino ad un altro pozzo sul pavimento del quale si trova l’ingresso alla camera funeraria situata sotto il tempio.

All’interno furono rinvenuti i resti di un sarcofago vuoto e privo di iscrizioni, oggetti in ceramica e ossa di animali probabilmente offerti in sacrificio. Ma la sorpresa fu il ritrovamento di un oggetto più prezioso di tutti, avvolta in tele di lino fine, una statua di calcare policromo che raffigurava un uomo assiso. La statua raffigura Mentuhotep II con la corona del Basso Egitto, questa è diventata uno dei più celebri reperti custoditi al Museo del Cairo e contrassegnata con la sigla JR 36.1957.

E qui la conclusione cui arrivò Arnold, questa sarebbe una tomba simbolica costruita forse in occasione di una festa sed di Mentuhotep II. Sulla terrazza superiore del monumento, secondo Naville, avrebbe spiccato una piccola piramide, Arnold obiettò che, in assenza di almeno un frammento di roccia che presentasse un’inclinazione tipica delle piramidi, sulla sommità del tempio ci sia stata una massiccia costruzione rettangolare con una bassa terrazza di coronamento, il tutto a rappresentare in forma stilizzata il colle primigenio. Stadelmann avanzò un’ulteriore ipotesi, sull’ultima terrazza avrebbe trovato posto una collinetta di sabbia con alberi, secondo la sua rielaborazione il tutto avrebbe rappresentato una fusione del colle primigenio e della tomba di Osiride dio dei morti.

Indipendentemente dalle varie supposizioni persistono ancora molti dubbi motivati da un’altra importante scoperta, un documento risalente ad oltre mille anni dopo. Come noto a seguito dei crescenti episodi di saccheggio di tombe, i sovrani cercarono di porvi rimedio ordinando periodiche ispezioni alle varie tombe.

Dal Papiro Abbot, risalente all’epoca di Ramesse IX, apprendiamo:

<< Diciottesimo giorno del terzo mese della stagione dell’inondazione, nel sedicesimo anno del regno del sovrano dell’Alto e Basso Egitto, il signore dei due paesi Neferkare Stepenre.……..che viva a lungo, che goda di buona salute e sia prospero……..figlio di Ra……..Ramesse Miamun……piramidi, tombe.…….visitate dagli ispettori……..>>.

Nel documento il complesso di Mentuhotep II viene espressamente definito come una piramide. Malgrado ciò i dubbi rimangono anche perché il Papiro Abbot nomina come piramidi anche altre tombe dell’XI dinastia che in realtà non lo sono affatto.

Graffiti risalenti al Nuovo Regno scoperti nei dintorni, che si riferiscono alla tomba di Mentuhotep II, ricordano una terrazza sormontata da un obelisco con tanto di pyramidion. Il tutto nasce probabilmente da un equivoco, in passato, descrivendo la tomba di un sovrano gli scribi usavano accostare al nome il determinativo che designa la piramide, è probabile che la cosa sia continuata anche quando la tomba del sovrano non era più una piramide.

Comunque sia è innegabile che la forma così originale di questo monumento abbia ispirato gli architetti posteriori. Ciò è testimoniato dal fatto che circa mezzo secolo dopo, proprio vicino a quello di Mentuhotep II, sia stato realizzato il tempio a terrazze della regina Hatshepsut della XVIII dinastia.

Nel 2014, a soli 150 metri dal tempio di Seti I di Abydos, è stata scoperta una cappella funeraria in pietra calcarea, le iscrizioni in essa trovate confermano che trattasi di una cappella del faraone Nebhepetre Mentuhotep II dedicata a Khenti-Amentiu, antica divinità di Abydos.  Le foto di “Luxor Times Magazine” sono pubblicate su autorizzazione de “Il Fatto Storico” rilasciata il 27.04.2021), “Una cappella egizia di Mentuhotep II ad Abydos”, 15 luglio 2014

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
  • Miroslav Verner, “Il mistero delle piramidi” Newton & Compton editori, 2002