C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

LA SAGA DEGLI ANTEF

Di Piero Cargnino

Alla morte di Mentuhotep I gli succede il figlio primogenito Antef I (Horo Sehertawy) che si può considerare a tutti gli effetti il primo sovrano della  XI dinastia il quale si fregerà del titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, ossia di faraone.

Antef I si scontrò subito con il nomarca di Hierakompolis, il principe Ankhtifi, fedele al sovrano di Heracleopolis Magna. Si è venuti a conoscenza di questo personaggio e di altre notizie relative a questo periodo grazie alla scoperta della sua tomba a El-Moalla la quale reca inciso sulle pareti una specie di autobiografia che lo stesso  Ankhtifi fece incidere.

Fedele al sovrano di Heracleopolis Kaneferra (probabilmente uno dei vari Neferkara heracleopolitani), era in lotta contro la neonata XI dinastia di Antef I. Nella sua  vanagloriosa biografia, Ankhtifi tesse le lodi del suo operato in qualità di nomarca di Hierakompolis omettendo ovviamente di citare la sua eventuale sconfitta ad opera di Antef I, non solo ma la conclude affermando trionfalmente di “aver ridonato vita ai nomoi di Hierakonpolis, Edfu, Elefantina ed Ombos”. Con la vittoria su Ankhtifi e la conquista dei governatorati a sud di Tebe, Antef I si annette anche le città di Coptos e di Dendera capoluoghi del 5° e 6° nomos dell’Alto Egitto proclamandosi quindi faraone. Pare che abbia regnato non più di 16 anni e che la sua tomba sia quella trovata ad el-Tarif nella necropoli tebana detta il “cimitero degli Antef”.

Alla sua morte gli successe al trono il fratello minore Antef II che continuò la lotta contro gli heracleopolitani guidati da Uakhara Khen, in effetti non si trattò di una vera guerra ma più che altro di scaramucce di confine intervallate da periodi di pace. In tali periodi Antef II si dedicò ad opere di costruzione e al restauro di templi. E’ citato da diverse fonti quali il “Papiro Abbott”, dove il suo nome compare come “Sa Ra Intef aha” (figlio di Ra, Antef, grande come suo padre),  e nella “Sala degli Antenati” di Karnak.

Secondo gli studiosi regnò per 49 anni ma la sua stele funeraria fu eretta in occasione del suo 50º anno di regno (?). Su di un’altra stele vengono menzionate le sue vittorie nella conquista dell’Alto e Medio Egitto, si tratta della famosa “Stele dei cani”, oggi conservata al Museo Egizio del Cairo (CGC 20512), che riporta le sue conquiste di Abido e Thinis.

A sud sono stati rinvenuti reperti col suo nome nel santuario del nomarca Hekaib ad Elefantina dove è stata pure ritrovata una statua dove compare con indosso il mantello della festa zed. Alla sua morte anch’egli venne quasi sicuramente sepolto nel “cimitero degli Antef” dove sono state trovate le due stele citate sopra.

Il Papiro Abbott riporta che, a seguito di un’ispezione delle tombe reali voluta da Ramesse IX, quasi mille anni dopo, la tomba di Antef II era ancora inviolata.

Arriviamo dunque all’ultimo degli Antef, il terzo, figlio di Antef II, che successe al padre quando si trovava già in tarda età adottando il nome di “Hor nakht-nebtep-nefer” (forte, Signore del buon inizio) anche se “il buon inizio” (la riunificazione delle Due Terre) avverrà solo con il regno di suo figlio Mentuhotep II.

Non conosciamo a fondo gli avvenimenti che caratterizzarono il suo regno; da alcuni testi si evince che durante il suo regno ci fu una grande carestia che però Antef III affrontò con decisione e la superò grazie alle sue capacità organizzative. Menzionato ad Elefantina per la donazione, al tempio locale di Satis di un portale in arenaria e per la sua opera di restauro della tomba rupestre del nomarca Hekaib che si trovava in rovina.

Di lui si possiedono poche rappresentazioni più che altro realizzate dal figlio che gli succedette al trono. In un graffito scoperto nello Uadi Scatt el-Rigal nei pressi del Gebel Silsila viene raffigurato con la moglie Iah ed al figlio Mentuhotep II. Nel tempio di Montu a Tod si trova una rappresentazione di Mentuhotep II insieme ai tre Antef che lo precedettero.

Il suo regno fu breve, Antef III regnò solo 8 anni e fu sepolto probabilmente nella necropoli tebana nel “cimitero degli Antef” ad el-Tarif. A questo proposito voglio accennare ad un particolare che forse non tutti conoscono, tutti e tre gli Antef furono sepolti in particolari tombe dette a “Saff” che consistono in ipogei caratterizzati da una facciata a pilastri con uno o più ingressi. Dopo l’ingresso esterno si estendeva un cortile recintato lungo un centinaio di metri, delimitato dalla facciata a pilastri dalla quale si accedeva alle varie stanze funerarie interne. Pare certo che la tomba di Antef III comprendesse anche una piramide, oggi distrutta che si chiamava “Saff el-Kisasiya”.

Fonti e bibliografia:

  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999 Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno, Statue

STATUA DEL MAGGIORDOMO SAKAHERKA

Di Grazia Musso

Quarzite
Altezza 62 cm
Karnak, Tempio di Amon-Ra
Fine della XII – inizio Dell XIII Dinastia
Museo Egizio del Cairo

Questa statua raffigura Sakaherka, un maggiordomo vissuto verso la fine della XII Dinastia, fu depositata a scopo votivo nel grande tempio di Karnak.

Il proprietario è seduto su un trono massiccio, con le mani appoggiate sulle gambe e lo sguardo fisso davanti a sé.

I volumi della scultura, dai toni caldi emanati dalla Quarzite gialla, sono sobri ed armoniosi.

Il copricapo, modellato secondo la consuetudine dell’epoca presenta una superficie arrotondata che si armonizza con il volto, dove sono sottolineati i lineamenti di Sakaherka.

Il corpo è avvolto in una gonna fissata sull’addome, sulla quale è stata tracciata una colonna di geroglifici recante il nome del maggiordomo.

Fonte

I tesori dell’antico Egitto nella collezione del museo Egizio del Cairo – National Geographic. – Edizioni White Star

Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

RICCIO IN FAIENCE AZZURRA

Di Grazia Musso

Altezza 5,3 cm, Lunghezza 7 cm
Necropoli tebana – Medio regno
Museo Egizio del Cairo – JE 30742.

Tra gli animali che venivano realizzati a tutto tondo o rappresentati in bassorilievi e pitture, il riccio è una presenza costante nell’arte egizia.

Questa figurina rispecchia fedelmente l’aspetto reale dell’animale: il muso allungato con piccoli occhi e orecchie appuntite.

Le zampe grosse su cui appoggia il corpo ricoperto di aculei, realizzati in modo piuttosto schematico, con incisioni intersecantisi sulla superficie della schiena ricurva.

Il riccio appoggia su una base ovale.

La sua figura è attestata su bassorilievi di tombe dell’Antico Regno, come decorazione della prua delle barche, in forma di statuina a tutto tondo in argilla.

Fino all’epoca Tarda continua a essere raffigurato come animale del deserto, sia in rappresentazioni di caccia, sia come offerta funeraria.

Deposto nella tomba questo animale aveva probabilmente il valore di amuleto, forse connesso alle due divinità Mut e Bes , entrambe legate alla nascita:Mut quale dea madre per eccellenza, Bes come protettore della puerpera e del nascituro.

L’immagine del riccio venne utilizzata anche per la realizzazione di vasi teriomorfi, in particolare nella produzione di aryballoi in Faience di epoca greco-romana, sopratutto a Naukrati.

L’aryballoi è un piccolo vaso con corpo globulare o puriforme, senza distinzione tra spalla e pancia, con un corto e stretto collo e un ampio orlo piatto.

Era utilizzato per contenere oli profumati.

Fonte

Tesoro Egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Francesco Tiradritti – fotografia Arnaldo De Luca – Edizioni White Star

Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno, XII Dinastia

TESTA DI STATUA FEMMINILE

Di Grazia Musso

Legno dipinto con doratura, Altezza 10,5 cm
El- Lisht, area della piramide di Amenemhat I
Scavi del Metropolitan Museum of Art ( 1907)
XII Dinastia
Museo Egizio del Cairo – JE 39390

Questa bellissima statuina faceva parte di una scultura femminile, della quale in un momento successivo furono ritrovate le braccia, fu ritrovata nell’area della piramide di Amenemhat I.

Non è possibile affermare che ritragga una principessa della famiglia del sovrano, ma certamente la finezza dell’opera e i preziosi ornamenti della parrucca fanno pensare a un prodotto delle botteghe di artigiani reali.

La testa è composta da due parti il volto è la parrucca, unite da tenoni.

Al di sopra della fronte, lievemente in rilievo, sono resi I capelli neri della donna, su cui è appoggiata la parrucca ampia e lunga che crea una preziosa cornice intorno al viso.

Sulla superficie della parrucca sono inseriti tasselli dorati di forma quadrata che sembrerebbero disposti a scacchiera.

Il fatto che la parrucca sia più sottile sulla sommità fa pensare che fosse sormontata da un diadema.

Il bellissimo volto è sottile e levigato, esprime dolcezza, e ricorda l’immagine di una giovane donna.

La fronte alta mostra sopracciglia in rilievo sopra gli occhi, (un tempo incastonati e di cui non si è trovato traccia) , dalla forma sottile e allungata che presentano un incavo alle due estremità per la linea prolungata del trucco.

Il naso è diritto e affilato, la bocca proporzionata con un lieve sorriso.

Benché di proporzioni ridotte, la testa presenta la stessa perfezione della grande statuaria caratteristica questa che accomuna la scultura reale a quella dei privati in diverse epoche

Vedi anche https://laciviltaegizia.org/2023/01/13/fine-wooden-head-of-a-woman/

Fonte

Tesori Egizi nella collezione del Museo Egizio del Cairo – Francesco Tiradritti – fotografie Araldo De Luca – Edizioni White Star

C'era una volta l'Egitto, Medio Regno

UN DIFFICILE INIZIO

Di Piero Cargnino

Inizia così il Medio Regno, la fase della storia dell’Egitto che corrisponde ad una ripresa dello stato unitario dopo il caos del Primo Periodo Intermedio che per quasi due secoli ha segnato lo sfaldamento del potere centrale e la frammentazione del paese.

Manetone inserisce in questo periodo due dinastie di sovrani la XI e la XII dinastia. Con i primi due sovrani del Medio Regno il controllo dello stato è caratterizzato da lotte intestine che vedono contrapposti i principi tebani, fautori dell’unificazione dei territori sotto la loro autorità centrale, ai governatori Heracleopolitani.

Da Tebe il governatore Inyotef (o Intef X dinastia) esercita il suo potere su gran parte dell’Egitto, a sud fino ad Assuan e a nord fino a Coptos. Molti lo considerano il capostipite della XI dinastia, in effetti non lo è anche se il suo nome compare nella “Sala degli Antenati” dell’Akh-Menu, il Tempio di Milioni di Anni di Karnak fatto erigere da Thutmose III (posizione 13) 600 anni dopo per onorare le sue origini. Infatti nella Sala, il nome di Inyotef non compare racchiuso nel cartiglio tipico dei faraoni ma con il titolo di “iry-pat-haty-a” (Principe ereditario e Governatore).

Molto probabilmente Inyotef è da identificare con la statua in postura da scriba che Sesostri I (XII dinastia) fece erigere e che riporta l’iscrizione “Realizzata dal Re dell’Alto e Basso Egitto Kheperkara come monumento per suo padre, il principe Intef il Grande (o il Vecchio) nato da Iku” oggi conservata al Museo del Cairo (CG 42005).

Vediamo ora la prima parte della XI dinastia che, come abbiamo detto, viene da molti studiosi considerata come un’appendice del “Primo Periodo Intermedio”.

Alla morte di Inyotef gli succede il figlio, Mentuhotep I in qualità di nomarca principe di Tebe (2137 a.C.). Mentuhotep I vero capostipite della XI dinastia è un fiero sostenitore di una politica indipendentista dagli avversari heracleopolitani della IX dinastia, continuerà la politica del padre Inyotef.

Non risulta che Mentuhotep I si sia mai fregiato del titolo di “Re dell’Alto e Basso Egitto”, in epoche successive gli venne attribuito un nome Horo del tutto generico, “Tepia” (l’antenato) e con il suo nomen racchiuso in un cartiglio, compare nella “Sala degli Antenati” e  Thutmose III lo onorerà col padre Inyotef.

Anche se non ufficialmente faraone, Mentuhotep I fu il primo a portare un nome teoforo, ovvero contenente un nome divino, associato a Montu, dio guerriero del quarto nomo dell’Alto Egitto, con l’intento di assicurarsi la protezione divina.

Nella tomba di Hekaib, nomarca del distretto di Elefantina, vennero rinvenuti decine di manufatti come statue e stele relative a vari sovrani tra cui i resti di una statua di Mentuhotep I, fatta realizzare probabilmente da Antef II  sulla quale compare il titolo di “Padre degli dei”, da ciò si pensa che sia stato il padre di Antef  I e di Antef II.

L’egittologo Alan Gardiner ritenne di aver individuato il nome di Mentuhotep nella posizione 5,12 del Canone reale. Forse il suo scopo iniziale, per la situazione esistente in Egitto a quei tempi, era solo quello di affermare la propria sovranità sui territori che si erano venuti a creare sotto l’autorità tebana. Ad un certo punto però Mentuhotep I inizia la sua espansione contro Heracleopolis i cui sovrani si erano appropriati del titolo appartenuto ai sovrani di Menfi di “Re dell’Alto e Basso Egitto” anche se dovrà passare ancora del tempo prima che l’Egitto torni ad essere interamente riunificato. Cosa che avverrà soprattutto ad opera dei faraoni, “Horo Wah-ankh” (Antef II) e “Horo Samtawy” (Mentuhotep II) che porranno così definitivamente fine al Primo Periodo Intermedio inaugurando l’inizio del Medio Regno.

Questi due faraoni riconquistarono le regioni del delta del Nilo, che erano state occupate dalle popolazioni libiche e da quelle del Sinai, riunificando così l’intero Egitto. La gestione e organizzazione vere e proprie di questo nuovo regno arriverà poi solo con la XII dinastia che acquisì appieno la necessità di dare unità politica all’Egitto anche, e soprattutto, ridimensionarono il potere dei vari nomarchi che, privi di un controllo centrale avevano causato rivolte e instabilità; ora essi vennero sottoposti a rigidi controlli da parte di ispettori inviati direttamente dai faraoni. Venne instaurata una sorta di organizzazione feudale al fine di accontentare in tal modo la nobiltà provinciale e la loro voglia di potere. Il Medio Regno divenne  quindi nuovamente un periodo di stabilità politica duratura.

Finalmente l’Egitto si trova ad attraversare uno dei periodi più prolifici della sua storia, tornano ad affermarsi i grandi faraoni che intraprendono la riorganizzazione dello stato, favoriscono la ripresa dell’economia, agevolati in questo dalla fine della terribile carestia che ha caratterizzato gran parte del precedente periodo, questo contribuisce al risanamento delle finanze pubbliche e offre una spinta a nuove mire espansionistiche. Vediamo ora nel dettaglio i regni dei faraoni del Medio Regno.

Fonti e bibliografia:

  • Cimmino Franco, “Dizionario delle dinastie faraoniche” – Bompiani, Milano 2003
  • Guy Racket, “Dizionario Larousse della civiltà egizia”, Gremese Editore, 1994
  • Edda Bresciani, “Grande enciclopedia illustrata dell’antico Egitto”, De Agostini, 2005 
  • Salima Ikram, “Antico Egitto”, Ananke, 2013
  • Mario Tosi, “Dizionario enciclopedico delle divinità dell’Antico Egitto”, Ananke, Torino, 2006
  • Toby Wilkinson, “L’antico Egitto. Storia di un impero millenario”, Torino, Einaudi, 2012
  • Nicolas Grimal, “Storia dell’Antico Egitto”, Roma-Bari, Biblioteca Storica Laterza, 2011
  • Alan Gardiner, “La civiltà egizia”, (Einaudi, Torino, 1997), Oxford University Press, 1961
  • Margaret Bunson, “Enciclopedia dell’antico Egitto”, Fratelli Melita Editori, 1995
  • Sergio Donadoni, “Tebe”, Electa, 1999
  • Federico A. Arborio Mella, “L’Egitto dei faraoni”, Mursia, 2012
Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

IL MEDIO REGNO E LA SUA FINE

1650 a.C.

Di Franca Loi

Località dell’Egitto, nel deserto a ovest del Fayyūm, dove sorge un tempio che consta di un corridoio su cui si aprono numerose celle-sacrario. La datazione di questo monumento, assai interessante nella storia dell’architettura egiziana, è spesso riportata all’Antico Regno; ma sembra più probabile si tratti di un edificio della XII dinastia, che riprende, semplificato in alcuni elementi (mancanza del pronao), complicato in altri (molteplicità delle celle), lo schema del tempio di Medīnet Mādi (v.).

I sovrani del Medio Regno avevano intrapreso una energica politica costruttiva, ma delle loro opere oggi conosciamo pochissime vestigia, che comunque sono sufficienti a darci idea della loro eleganza e della loro maestosità.

Il tempio di Medinet Madi fu portato alla luce tra il 1935 e il 1939, cioè fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, da Achille Vogliano. Lo studioso milanese scoprì l’unico tempio di culto del Medio Regno conosciuto finora in Egitto, completo di testi e di sculture, incapsulato e conservato negli ampliamenti fatti durante il periodo tolemaico e romano a sud e a nord della struttura originaria. Il piccolo tempio fu fondato insieme con la città di Gia dal faraone Amenemete III nel II millennio a.C., nel quadro delle misure prese dai sovrani del Medio Regno per accrescere le risorse agricole nel Fayum.

A ricordare le loro piramidi restano i cumuli di mattoni crudi che oggi possiamo vedere tra Dahshur e il Fayyum. Molti templi furono smontati e ricostruiti durante la dinastia tolemaica; si salvarono solamente quelli di Qasr el Sagha e quello di Medinet Madi.

Tempio di Medinet Maadi.
Una veduta della parte tolemaica che precede il tempio del Medio Regno. I faraoni tolemaici continuarono le addizioni frontalmente, con piloni e cortili, e adornando il viale di statue di leoni e di sfingi, come quelle della foto.

Parlando di scultura quella che proviene dal nord è ricca di umanità e dolcezza, quella che proviene da Tebe è caratterizzata da vigore e realismo. Si realizzano anche “tipi di statue con una spiccata preferenza per i modelli aulici. Il corpo è spesso nascosto da vestiti che costringono la scultura in un susseguirsi di figure geometriche”. I sudditi, forse per manifestare fedeltà al sovrano, continuano a farsi ritrarre seguendo i canoni tradizionali della statuaria regale. Quest’epoca è “L’età dell’oro” anche per quanto riguarda la letteratura e l’oreficeria. La XII dinastia, il periodo degli Amenemes, che solo rappresenta tutto il medio regno, resterà agli occhi degli egiziani quello che il secolo di Pericle fu per i greci.

Sfinge di Sesostri III
Il volto, attraverso le palpebre pesanti e i lineamenti scavati, riesce a trasmettere l’idea di una forza interiore ad altri uomini e, al tempo stesso, il peso della responsabilità derivanti dal governo.
The Metropolitan Museum New York

Ukhhotep e famiglia.
Il cosmo Egizio è qui riassunto e simbolizzato dalle due piante araldiche dell’Alto e Basso Egitto (ai lati) e dagli occhi wdiat (in alto); questi quattro simboli racchiudono il gruppo familiare nell’armonia dell’universo.
Il Cairo Museo Egizio

Statua di Khertihotep.


Il personaggio assiso è avvolto in un manto rituale simile a quello del Giubileo reale e per questo simbolo di rinascita.
Questa moda, tipica solo del Medio regno, fornisce da sé un primo elemento di datazione; ma è la pseudo parrucca che ci permette di attribuire un’età più precisa all’opera: è infatti dalla XIII dinastia che si usa questa che in realtà, come lasciano pensare tracce di colore, doveva essere una stoffa che copriva la capigliatura.
Berlino Agyptische Museum

Statua cubo in calcare dipinto di Hotep. La statua a cubo nasce in quest’epoca e ritrae un individuo seduto all’interno di un seggio dagli alti braccioli. Avrà larga fortuna in seguito perché corrisponde al gusto tutto Egizio di racchiudere la figura umana all’interno di un rigido schema geometrico. Il Cairo-Museo Egizio

FONTE:

  • ANTICO EGITTO-MAURIZIO DAMIANO-ELECTA
  • ANTICO EGITTO- GUY RACHET-NEWTON
  • ANTICO EGITTO- LEONARDO
  • ENCICLOPEDIA TRECCANI
  • EGITTOLOGIA UNIVERSITÀ DI PISA

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Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

IL PUGNALE DELLA PRINCIPESSA ITA

Di Franca Loi

ORO, BRONZO, PIETRE SEMIPREZIOSE, LUNGHEZZA CM 26,8
XII DINASTIA, REGNO DI AMENEMHAT II (1829-1898 a.C.)
Ritrovato da Jacques de Morgan a Dashur (1895)
Museo Egizio del Cairo

Questo prezioso e raffinatissimo pugnale, è realizzato in oro e bronzo con il pomo in lapislazzuli a forma di crescente lunare. Sull’impugnatura tubolare, adorna di rosette stilizzate intervallate da losanghe in corniola si innesta la lama in bronzo. Il reperto poco solido per poter essere un’arma, è da considerarsi di tipo cerimoniale ed è stato deposto con la defunta principessa solo per scopi protettivi confidando nella magia specifica attribuita ai metalli e ai colori delle pietre preziose usate.

Fonte:

  • L’EGITTO DEI FARAONI – I TESORI DEL MUSEO EGIZIO DEL CAIRO-ALESSIA AMENTA
  • WIKIPEDIA

Foto fornite da Grazia Musso

Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno, Statue

STATUA-CUBO DI SESOSTRI – SENEBEFNI

Di Grazia Musso

Menfi (provenienza incerta). XII Dinastia, periodo di Amenemhat III
Pietra Arenaria silicificata, Altezza 68,5 cm
New York, The Brooklyn Museum – Clare’s Edwin Wilbur Fund, 39.602.

Le figure a cubo con le ginocchia raccolte contro il petto e le braccia incrociate fecero la loro comparsa durante il Medio Regno.

Venivano poste davanti alle tombe in corrispondenza di una via sacra o all’interno dei Templi.

La postura indica, per il soggetto, il privilegio di potere assistere allo svolgimento del culto regale o divino nonché alle offerte che questi implicano.

Sesostri – Senebefni coinvolge nel privilegio anche la moglie.

Il dio venerato nella formula di offerta è Ptah-Sokar, signore della necropoli di Menfi.

Fonte

Egitto la terra dei faraoni – Regine Schulz e Matthias Seidel – Kpnemann

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

LO SPECCHIO DI SIT-HATHOR-YUNIT

Di Grazia Musso

Da El Lahun, tomba di Sit-Hathor-yunit
XII Dinastia, regno di Amenemhat III
Argento, oro, ossidiana, pietre dure.
Altezza 28 cm.
Museo Egizio del Cairo
Scavi di Petrie 1914
JE 44820 = CG 52663

Nel tesoro della principessa, figlia di Sesostri II, si trovava questo specchio in argento.

Il prezioso manico in ossidiana , oro e pietre semipreziose, raffigura un papiro, fra lo stelo e l’umbrella aperta si incastona la testa aurea della dea Hathor.

Fonte

Antico Egitto di Maurizio Damiano – Electra

Gioielli, Mai cosa simile fu fatta, Medio Regno

LA COLLANA DELLA PRINCIPESSA KHNUMIT

Di Grazia Musso

Oro, cornaline, turchese, lapislazzuli – Lunghezza cm 35
Dahshur, complesso funerario di Amenemhat II
Tomba della principessa Khnumit
Scavi di Jacques De Morgan 1894
XII Dinastia, regno di Amenemhat II 1932-1898 a. C
Museo Egizio del Cairo, JE 31116 = CG 53018.

La tomba, della principessa Khnumit, scavata nel 1894, fu portata alla luce nell’area ovest della piramide reale.

Al momento del ritrovamento, gli elementi della collana erano sparsi sulle bende della mummia.

Questa bellissima collana è composta da due file di perline in oro tra le quali erano fissate dieci coppie di amuleti, posti simmetricamente ai due lati di una composizione di segni geroglifici in cui il segno della vita anks sormontato il segno hetep, che rappresenta una tavola di offerta.

Dal centro verso le estremità si riconoscono il segno user, simbolo di potenza, un’immagine di Anubi, la dea avvoltoio Nekhbet e la dea cobra Uadjet, simbolo della signoria sull’ Alto e Basso Egitto, il sistro hathorico, l’occhio sacro di Horus, il vasetto khenem, il pilastro djed, il segno sema indicante la trachea simbolo dell’ unità, l’ape simbolo del Basso Egitto.

Alla fine inferiore delle perline d’oro è applicata una serie di pendenti a goccia variopinti, mentre l’allacciatura della collana è costituita da due teste di falco.

Eccetto le due catenine, tutti gli altri elementi sono incastonati in pietre dure: turchese, lapislazzuli e cornalina che si alternano sul gioiello formando una ricercata e armoniosa composizione cromatica.

Fonte:

Tesori Egizi nella collezione del Museo del Cairo – Francesco Tiradritti – fotografie Arnaldo De Luca – Edizioni White Star